Risanare il debito, abbassare lo spread, promuovere lo sviluppo: tante misure per affrontare i problemi economici ma non si vuole vedere che dalla crisi si esce soltanto ridando forza alla famiglia, primo motore dell’economia. Invece l’Europa pensa solo a distruggerla
Crisi, crisi, si continua a parlare di crisi e se ne continuerà a parlare per molto. La questione economica è sempre in testa ai titoli di giornali e tv; malgrado le diverse riforme e misure dei governi europei la situazione generale – debito, tassi di interesse, fiducia dei mercati – non sembra cambiare di molto mentre le conseguenze dei provvedimenti sulla vita quotidiana della gente sono molto pesanti. Si continua a discutere di misure per garantire lo sviluppo, ma continua ad essere assente una seria riflessione sui veri mali che hanno provocato la crisi. Più volte su questa rivista si è spiegato che alla radice della crisi c’è il problema strutturale rappresentato dallo squilibrio demografico causato dalla denatalità. Ed è appunto su questo aspetto che bisognerebbe riflettere per individuare una strada realistica per uscire dalla crisi, questione tanto più urgente quando si consideri che i movimenti demografici si realizzano nei decenni.
Ma c’è una questione che viene ancora prima, e che riguarda la risposta alla domanda su cosa si debba fare per invertire la tendenza demografica. Alcune regioni, come la Lombardia, hanno proposto il sostegno economico per madri in difficoltà; a livello nazionale sono state proposte facilitazioni per la conciliazione di famiglia e lavoro, che in altri paesi d’Europa sono già applicate da tempo; altrove, nella Ue, vi sono cospicui assegni e facilitazioni per chi ha una prole numerosa. Tutte misure giuste e necessarie, se si vuole, ma il primo interesse di un paese che vuole uscire dalla crisi demografica, e quindi da quella economica, dovrebbe essere la famiglia: rafforzarla, difenderla e darle lo spazio che le è proprio nella costruzione della società. E quando parliamo di famiglia intendiamo l’unica, vera, famiglia: quella naturale, fondata sul matrimonio tra uomo e donna.
La famiglia è infatti il punto chiave per la questione demografica, essenzialmente per due motivi: primo, perché mediamente le coppie sposate hanno più figli di quelle conviventi; secondo, perché la natalità non è solo una questione di numeri, ma anche di qualità, ovvero di educazione.
Nel primo caso si potrebbe obiettare che nei paesi europei ormai molti figli nascono fuori dal matrimonio, percentuale che nei paesi scandinavi supera addirittura il 50% ma che in gran parte d’Europa è tra il 30 e il 40%. Ma questo dato non significa che sono le coppie conviventi ad avere più figli; al contrario, questo fenomeno è parte del problema perché indica la crescente irrilevanza del matrimonio nelle nostre società. Non c’è dubbio che se le stesse coppie fossero stabilmente sposate in questi paesi ci sarebbero più figli.
Dicevamo però che non è soltanto un problema di numeri, ancora più seria è la questione dell’educazione, per la quale la stabilità familiare è un requisito fondamentale. E lo dimostrano numerose ricerche in questo campo, come quella pubblicata pochi mesi fa dal Social Trends Institute, con sede a Barcellona e New York, dal titolo “The Sustainable Demographic Dividend: What Do Marriage & Fertility Have To Do With the Economy?” (Il dividendo demografico sostenibile: come matrimonio e fertilità influenzano l’economia). Quanto alla stabilità, il rapporto ribadisce che i figli nati da coppie conviventi hanno una probabilità del 75% più alta, rispetto a quelli nati da coppie sposate, di vedere la separazione dei propri genitori prima di aver compiuto i 15 anni di età.
E i bambini che vivono in famiglie con un solo genitore hanno probabilità almeno il 50% superiori, rispetto ai figli di famiglie con due genitori, di sviluppare problemi psicologici, di tossicodipendenza, alcolismo, di tentare il suicidio o di suicidarsi. La ricerca dimostra inoltre i figli che crescono in nuclei familiari instabili hanno minori probabilità di successo nello studio e nel lavoro. Con conseguenze evidenti per l’economia sia per la minore qualità della forza lavoro sia per le spese sociali da sostenere per rimediare ai problemi derivanti dalla disgregazione delle famiglie.
Dunque ogni governo che fosse realmente intenzionato a portare il proprio paese fuori dalla crisi economica dovrebbe avere al primissimo posto dell’agenda il tema famiglia. E invece cosa accade? Non solo della famiglia ci si continua a non interessare, ma addirittura la si prende a picconate. Tutta l’Unione Europea, infatti, sembra attraversata dalla grande fregola di promuovere il matrimonio di coppie omosessuali, o comunque di elevare al grado di famiglia qualsiasi unione affettiva. A volte con il falso pretesto di curare l’indebolimento della famiglia aumentandone la quantità, con l’introduzione di nuove forme. È questo il caso del governo conservatore britannico di David Cameron, il premier che pure un anno fa aveva speso parole importanti a difesa della famiglia ma che ora non sa distinguere tra una coppia etero e una omosessuale. Nel Nord Europa, il matrimonio omosex è già una realtà così come in Spagna dove il crollo dello zapaterismo e il ritorno di un governo conservatore non promette di cambiare molto in fatto di famiglia. In Francia il neo presidente Francois Hollande ha messo le unioni omosessuali tra le priorità di governo e anche in Irlanda spira un forte vento omosessualista. Non solo nelle presidenziali dell’anno scorso ha rischiato di vincere David Norris, gay dichiarato, ma il passato presidente Mary McAleese – considerata cattolica praticante – ha rifiutato nel marzo 2011 di partecipare alla tradizionale sfilata di San Patrizio a New York perché gli organizzatori rifiutavano di far sfilare le organizzazioni Lgbt (acronimo che sta per lesbiche, gay, bisex, trans).
E in Italia? Non potevamo certo essere da meno e così, dopo un congresso Pd che si è spaccato proprio sul grado di riconoscimento delle coppie omosessuali, e la corsa di vari esponenti di diverso orientamento (da Beppe Grillo ad Antonio Di Pietro fino a Gianfranco Fini) a cercare il consenso della comunità gay, a settembre ci ha pensato il leader di Sinistra, Ecologia e Libertà Nichi Vendola a riportare la politica a discutere della vera emergenza nazionale: la sua ferma volontà di sposare il suo “compagno”, e quindi la necessità di cambiare la legge italiana (quando si dice le leggi ad personam).
Dunque mentre a parole – e con qualche provvedimento che interviene sui sintomi – l’Europa cerca l’uscita dalla crisi, nei fatti sta procedendo velocemente a distruggere l’unica vera risorsa che potrebbe rilanciare i nostri paesi, l’unica risorsa su cui contare per il futuro.
RICORDA
«In un momento storico nel quale la famiglia è oggetto di numerose forze che cercano di distruggerla o comunque di deformarla, la Chiesa, consapevole che il bene della società e di se stessa è profondamente legato al bene della famiglia (cfr. Gaudium et Spes, 47), sente in modo più vivo e stringente la sua missione di proclamare a tutti il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia, assicurandone la piena vitalità e promozione umana e cristiana, e contribuendo così al rinnovamento della società e dello stesso Popolo di Dio».
(Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Familiaris consortio, 1).
IL TIMONE N. 116 – ANNO XIV – Settembre/Ottobre 2012 – pag. 18 – 19
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