Libertà religiosa e “dittatura del relativismo”
Il primo riguarda il concetto stesso di libertà religiosa, che spesso viene confusa con il relativismo, come se tutte le religioni fossero uguali, negando così l’unicità del sacrificio salvifico di Cristo. Nell’enciclica Caritas in veritate Benedetto XVI nega questa affermazione, sostenendo che «libertà religiosa non significa indifferentismo religioso e non comporta che tutte le religioni siano uguali» (n. 55). Il problema non è soltanto teoretico, ma ha importanti ricadute nella vita pubblica delle nazioni e nelle relazioni internazionali. Per esempio, diversi Paesi con una forte identità religiosa, islamica, buddhista o induista, temono che l’accoglienza della libertà di religione comporti l’accettazione del relativismo e dell’indifferentismo religioso, così come lo riscontrano in una certa cultura presente nell’Occidente moderno. Bisogna convincerli che questa loro preoccupazione non è vera e che proprio Benedetto XVI ha denunciato il pericolo della “dittatura del relativismo”, dimostrando come libertà religiosa e denuncia del relativismo possano e debbano coesistere.
Fondamentalismo
Il secondo rischio per la libertà religiosa proviene dall’islam ultra-fondamentalista e dal suo tentativo di eliminare, anche utilizzando il terrorismo, le antiche comunità cristiane presenti nel Vicino Oriente. I governi dei Paesi dove esiste il rischio reale della pulizia etnica contro i cristiani spesso prendono le distanze da queste violenze anticristiane, ma devono seguire anche i fatti: occorrono «misure efficaci per la protezione delle minoranze religiose », ha scritto Benedetto XVI.
Il problema non è soltanto un problema di polizia, ma riguarda la legislazione di diversi Paesi a maggioranza islamica, dove spesso la libertà religiosa è ridotta a libertà di culto, e spesso anche quest’ultima con forti limitazioni. Papa Benedetto ricorda «che la libertà religiosa non è pienamente applicata là dove è garantita solamente la libertà di culto, per di più con delle limitazioni». Non solo, ma la libertà religiosa deve anche prevedere la possibilità di cambiare religione senza incorrere nella punizione della legge, come avviene in quei Paesi dove esistono leggi contro l’apostasia, oppure anche dove queste leggi sono state abrogate in seguito a pressioni di governi occidentali, ma sono state sostituite da norme contro la blasfemia che spesso sono solo leggi contro le conversioni mascherate. In modo esplicito e diretto, il Papa va a toccare il problema della legge sulla blasfemia vigente in Pakistan e a chiederne l’abrogazione: «tra le norme che ledono il diritto delle persone alla libertà religiosa, una menzione particolare dev’essere fatta della legge contro la blasfemia in Pakistan: incoraggio di nuovo le autorità di quel Paese a compiere gli sforzi necessari per abrogarla, tanto più che è evidente che essa serve da pretesto per provocare ingiustizie e violenze contro le minoranze religiose».
Nazionalismo “religioso”
Un terzo rischio poco conosciuto oppure sottovalutato riguarda le aggressioni contro i cristiani praticate da “fondamentalisti” indù o buddhisti che spesso identificano l’identità nazionale dei loro Paesi con un’identità religiosa, spesso affermata con modalità violente contro la presenza cristiana. Queste situazioni sono state definite dal Papa come preoccupanti, diffuse nel Sud e nel Sud est del continente asiatico, «in Paesi che hanno peraltro una tradizione di rapporti sociali pacifici ». D’altra parte, ricorda sempre il Pontefice, «il peso particolare di una determinata religione in una nazione non dovrebbe mai implicare che i cittadini appartenenti ad un’altra confessione siano discriminati nella vita sociale o, peggio ancora, che sia tollerata la violenza contro di essi».
Comunismo
Il quarto rischio deriva dal permanere in alcune aree del mondo di regimi comunisti, i quali formalmente sembrerebbero garantire una certa libertà, salvo poi contraddirla a causa dell’ideologia totalitaria che ispira questi regimi. «In diversi Paesi – scrive Benedetto XVI con evidente riferimento a questi Paesi – d’altronde, la Costituzione riconosce una certa libertà religiosa, ma, di fatto, la vita delle comunità religiose è resa difficile e talvolta anche precaria (cfr Conc. Vat. II, Dich. Dignitatis humanae, 15), perché l’ordinamento giuridico o sociale si ispira a sistemi filosofici e politici che postulano uno stretto controllo, per non dire un monopolio, dello Stato sulla società». Il Pontefice ricorda due casi emblematici di questa situazione, la Cina e la Corea del Nord. Alla prima il Papa rivolge la propria attenzione preoccupata perché «la comunità cattolica della Cina continentale e i suoi Pastori […] vivono un momento di difficoltà e di prova », mentre per quanto riguarda la Corea del Nord e il dramma della presenza cristiana in questo Paese sfortunato, basti pensare che esso vince ogni anno la medaglia d’oro della organizzazione protestante “Porte Aperte” come il Paese dove in assoluto è più pericoloso essere cristiani.
Cristianofobia
Il quinto rischio è quello della «cristianofobia » dell’Occidente. Il Papa ha usato questo termine nel discorso alla Curia romana del 20 dicembre 2010, prendendolo dal giurista ebreo statunitense di origine sudafricana Joseph Weiler, che in diverse opere ha denunciato questa profonda malattia che avvolge il mondo occidentale nel nostro tempo. Vi è, appunto in Occidente, un altro modo di violare la libertà religiosa rispetto ai Paesi fondamentalisti, un modo per cui «la religione subisce una crescente emarginazione. Si tende a considerare la religione, ogni religione, come un fattore senza importanza, estraneo alla società moderna o addirittura destabilizzante, e si cerca con diversi mezzi di impedirne ogni influenza nella vita sociale». Se l’OSCE ha istituito l’ufficio di un Rappresentante per la lotta alla discriminazione contro i cristiani ciò segna un successo della diplomazia della Santa Sede e di quei governi, come l’italiano, che hanno sostenuto tale proposta. Si tratta adesso di superare le opposizioni e le difficoltà, che non mancano, ma l’esistenza di questa agenda pontificia è di grande aiuto. Si tratta di realizzare quanto in essa indicato.
Essendo da poche settimane Rappresentante dell’OSCE (l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione e l’intolleranza contro i cristiani e i membri di altre religioni, sono molto grato al Pontefice per avere indicato alle diverse organizzazioni internazionali – tra cui dunque l’OSCE, che è stata definita nel recente rapporto annuale dell’Aiuto alla Chiesa che Soffre sulla libertà religiosa come l’organizzazione più importante al mondo dopo le Nazioni Unite nel campo dei diritti umani – un’agenda precisa delle priorità che cercherò di fare mia nella misura delle mie possibilità e capacità.
IL TIMONE N. 101 – ANNO XIII – Marzo 2011 – pag. 50 – 51
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