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Cristiani: un martire ogni cinque minuti
31 Gennaio 2014

Cristiani: un martire ogni cinque minuti

 

 

È il dato che emerge dalle statistiche più aggiornate. Tanto spaventoso quanto ignorato. I cristiani sono i più perseguitati, ma anche i meno ricordati. Si ripete il film già visto prima del 1989. I persecutori saranno sconfitti se si comincerà a denunciare i loro crimini

Nel mese di marzo ho ricordato sul Timone la volontà di Benedetto XVI di fare del 2011 un anno dedicato alla difesa della libertà religiosa. Nel gennaio 2011 ero stato nominato Rappresentante dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) per la lotta al razzismo, alla xenofobia e all’intolleranza e discriminazione contro i cristiani. L’anno di mandato volge al termine, ed è tempo di bilanci, non tanto della mia attività all’OSCE ma dello stato della persecuzione dei cristiani nel mondo.
Cominciamo dalle cifre. Se il mio mandato all’OSCE ha come parte centrale la diffusione della consapevolezza, ancora scarsa, di quanto ampio sia il problema dei cristiani perseguitati, forse un aspetto positivo dell’anno trascorso è notare quanti media – parecchie migliaia, a giudicare da una semplice ricerca su Google, e in tutto il mondo – hanno ripreso una mia nota del giugno scorso secondo cui ogni anno i cristiani uccisi nel mondo per la loro fede sono 105.000, uno ogni cinque minuti. La base è costituita dai lavori del principale centro mondiale di statistica religiosa, l’americano Center for Study of Global Christianity, diretto da David B. Barrett (1927-2011) fino alla sua morte nello scorso agosto. I lavori di Barrett e del suo centro sono i più citati nel mondo accademico, e non solo, per le statistiche internazionali sui membri delle diverse religioni. Nel 2001 Barrett e il suo collaboratore Todd M. Johnson nella loro opera World Christian Trends AD 30 – AD 2200 cercarono di calcolare il numero totale di martiri nei primi due millenni cristiani, fino all’anno 2000. Naturalmente, Barrett e Johnson avevano anzitutto bisogno di una definizione di martiri cristiani. Scelsero «credenti in Cristo che hanno perso la loro vita prematuramente, nella situazione di testimoni, come risultato dell’ostilità umana». Avvertivano che perdere la propria vita «nella situazione di testimoni» non implica alcun giudizio sulla santità personale del martire ma comporta che sia stato ucciso perché cristiano, non come vittima di una guerra o di un genocidio con motivazioni prevalentemente non religiose. Lo studio concludeva che i martiri cristiani nei primi due millenni erano stati circa settanta milioni, di cui quarantacinque milioni concentrati nel solo secolo XX.

Le cifre della persecuzione
Da allora, Barrett e Johnson hanno aggiornato annualmente i loro calcoli. Negli anni 2000 il numero di martiri è cresciuto fino a raggiungere verso la metà del decennio il tasso allarmante di 160.000 nuovi martiri all’anno. Nel 2011, secondo le proiezioni del centro fondato da Barrett, il numero di martiri è in diminuzione rispetto alla metà del decennio precedente, principalmente perché la persecuzione dei cristiani nel Sud del Sudan si sta placando come effetto del nuovo assetto politico. Tuttavia rimangono, o si aggravano, altri focolai di martirio. Considerati questi fattori una stima prudenziale per il 2011 è intorno ai «centomila martiri in un anno».
Questa cifra è considerata troppo prudente in un volume importante sul tema della libertà religiosa pubblicato nel 2011, The Price of Freedom Denied dei sociologi statunitensi Brian J. Grim e Roger Finke, i quali citano altri dati secondo cui il numero di martiri cristiani che perdono la vita ogni anno potrebbe essere più alto, fra 130.000 e 170.000. Adottando una revisione della stima di Barrett molto più prudente, si può avanzare la cifra di 105.000 vittime per il 2011. 105.000 morti all’anno significano fra 287 e 288 morti al giorno e dodici all’ora, cioè uno ogni cinque minuti. Se anche i minuti fossero – rimanendo fedeli alla stima originaria di Barrett – cinque e mezzo, la linea di tendenza rimarrebbe comunque spaventosa.
Inoltre, sono cristiani tre quarti delle persone perseguitate e discriminate per la loro fede nel mondo. Questo dato, ricordato più volte nel 2011 anche dal Papa, ha fatto da sfondo il 12 settembre a Roma al vertice dell’OSCE sul tema Prevenire e rispondere agli incidenti e ai crimini di odio contro i cristiani. Io stesso ho pensato e promosso questa iniziativa, fortemente sostenuta dal governo italiano, dalla Santa Sede e dalla presidenza di turno, lituana, dell’OSCE.
L’idea del vertice di Roma è nata dalla consapevolezza che le persecuzioni e discriminazioni dei cristiani sono da una parte le più diffuse e gravi nel mondo, dall’altra quelle meno conosciute. Da questo punto di vista, che l’evento sia stato organizzato e che vi abbiano aderito 56 Paesi, oltre a numerose organizzazioni non governative, è più importante di qualunque singolo discorso tenuto a Roma. Ma i discorsi sono stati a loro volta di speciale livello. Vanno segnalate le relazioni del metropolita Hilarion, “ministro degli Esteri” del Patriarcato di Mosca, e del vescovo mons. Dominique Mamberti, incaricato dei rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato vaticana, il quale ha affermato nel suo importante intervento che non si può ridurre la libertà religiosa alla sola libertà di culto, e che discriminazioni contro i cristiani sono in corso anche in Europa.
È stata la prima volta che un vertice internazionale ha chiesto esplicitamente che si riconosca quella dei crimini di odio contro i cristiani come una categoria di rilievo anche giuridico e come un’emergenza umanitaria. Questi crimini sono commessi principalmente in Africa e in Asia – in Paesi che non fanno parte dell’OSCE – ma le nazioni dell’area OSCE (USA, Canada, Europa, Asia Centrale) possono e devono urgentemente coordinarsi fra loro per un intervento più incisivo in queste regioni.

Cristiani perseguitati anche in Occidente
I crimini contro i cristiani però sono in preoccupante aumento anche nell’area OSCE: violenze e aggressioni contro sacerdoti, religiosi e “predicatori di strada” protestanti, e soprattutto attacchi alle chiese e ai cimiteri. Al vertice di Roma ho ricordato il caso della serva di Dio suor Laura Mainetti (1939-2000), di cui è in corso la causa di beatificazione, uccisa nel 2000 a Chiavenna da tre ragazze che erano state indotte da siti Internet all’odio e alla violenza contro la Chiesa Cattolica. È stata presentata anche una statistica della Gendarmeria francese secondo cui una volta ogni due giorni in Francia è attaccata una chiesa cattolica o un cimitero con profanazioni, distruzioni o gesti vandalici. Di solito questi attacchi sono attribuiti dalla stampa a “giovani balordi”, ma sempre più spesso sono rinvenute scritte con slogan contro la Chiesa o i preti che portano a inserire questi attacchi nella categoria dei crimini di odio. Dopo il vertice di Roma c’è stato di peggio, con le profanazioni nate in cortei degli indignados contro simboli religiosi, prima in Spagna in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, e poi a Roma il 15 ottobre, con l’assalto ai locali di una parrocchia e la profanazione di un crocefisso e di una statua della Madonna. E le teorie sociali sui crimini di odio insegnano che dalle violenze sulle cose a quelle sulle persone non c’è che un passo. L’OSCE non ha truppe e non può imporre sanzioni. I suoi metodi sono quelli della persuasione morale e della diplomazia, che richiedono tempi lunghi e molta pazienza. Una delle proposte operative che ho lanciato e che sta facendo il suo cammino è quella di creare una banca dati internazionale sui crimini contro i cristiani, che favorisca sia la consapevolezza e la conoscenza del fenomeno sia la collaborazione tra le polizie. Un’altra, che ha incontrato consensi ma anche resistenze, è quella di una giornata europea che ricordi ogni anno i martiri cristiani dell’epoca contemporanea, non nelle chiese ma nelle scuole e nelle città, che ho suggerito di fissare il 7 maggio in ricordo della commovente celebrazione ecumenica nel Colosseo dedicata il 7 maggio 2000 dal beato Giovanni Paolo II (1920-2005) a questi martiri. Ma, soprattutto, è necessario continuare a diffondere presso l’opinione pubblica internazionale la consapevolezza di una doppia emergenza.

Denunciare i persecutori salverà molti innocenti
La prima è la vera e propria persecuzione sanguinosa dei cristiani in numerosi Paesi con omicidi, stupri, torture. Certamente di questi orrori non sono responsabili i Paesi occidentali, ma essi possono fare di più coordinandosi fra loro per esercitare pressioni più efficaci sui governi che perseguitano le minoranze cristiane. L’Italia è uno dei Paesi più consapevoli e attivi in questo campo, ma il gruppo di governi che collaborano con il nostro nel denunciare e cercare di fermare le persecuzioni dei cristiani è ancora decisamente troppo esiguo.
La seconda emergenza è quella dell’intolleranza e discriminazione contro i cristiani in Occidente. Nessuno vuole paragonare le torture o gli omicidi in Africa o in Asia con i tentativi laicisti di emarginazione del cristianesimo dalla vita sociale in Europa o le campagne ridicolizzanti e ostili contro la Chiesa di alcuni media occidentali. C’è tuttavia, come spiega il Papa, un effetto piano inclinato. Si comincia con il ridicolo e la discriminazione e si arriva ai veri e propri crimini. Il processo ha tre stadi: dall’intolleranza, che è un fatto culturale, si passa alla discriminazione, che è un dato giuridico e quindi alla vera e propria violenza. «Nemo repente fit pessimus», insegnava san Bernardo (1090-1153): non si arriva subito al peggio. Ma, come spiega in termini sociologici il libro che ho citato di Grim e Finke, quella secondo cui l’intolleranza e la discriminazione preparano la violenza è quasi una legge sociale.
Non confondiamo, dunque, i tre fenomeni: intolleranza, discriminazione e persecuzione violenta. Ma partiamo almeno dal terzo, e forse riusciremo a fare qualcosa anche per i primi due. Se non si gridano al mondo le cifre della persecuzione dei cristiani, se non si ferma la strage, se non si riconosce che la persecuzione dei cristiani è la prima emergenza mondiale in materia di violenza e discriminazione religiosa, il dialogo tra le religioni e le culture produrrà solo convegni, ma nessun risultato concreto.
Chi nasconde le cifre forse semplicemente preferisce non fare nulla per fermare il massacro.

RICORDA

«Il martire cristiano, come Cristo e mediante l’unione con Lui, “accetta nel suo intimo la croce, la morte e la trasforma in un’azione d’amore. Quello che dall’esterno è violenza brutale, dall’interno diventa un atto d’amore che si dona totalmente. La violenza così si trasforma in amore e quindi la morte in vita” (Omelia a Marienfeld – Colonia, 21 agosto 2005). Il martire cristiano attualizza la vittoria dell’amore sull’odio e sulla morte». (Benedetto XVI, Angelus del 26 dicembre 2007).

 

 

 

IL TIMONE n. 108 – Anno XIII – Dicembre 2011 – pag. 22 – 24
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