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13.12.2024

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Cristo, la Cina e il Medio Oriente
31 Gennaio 2014

Cristo, la Cina e il Medio Oriente

 

 

Che cosa c’entra la risurrezione di Cristo con i fatti che accadono nel mondo? E come la libertà religiosa incide nel cammino delle nazioni?
Spunti per una riflessione.

 

Se Cristo è risorto – e davvero è risorto!- questo Corpo glorioso risorto investe inevitabilmente l’intera creazione materiale (noti: materiale!) e spirituale, politica e civile, del mondo”. Sono parole pronunciate molti anni fa da Giorgio La Pira, l’ex sindaco di Firenze morto nel 1977 e di cui è in corso il processo di beatificazione.
La Pira ha sempre insistito molto sulla resurrezione di Cristo, punto unico e originale della storia dell’umanità, e sulla sua concretezza, tale da costituire – tra l’altro – un modo nuovo e diverso di giudicare la realtà politica e internazionale. In qualche modo fa da eco alle parole di San Paolo ai Romani, laddove esorta: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto” (Rm 12,2).
Si impone dunque una domanda. Di fronte ai grandi eventi di cui siamo testimoni – dalla crisi mediorientale alla lotta al terrorismo, dalla globalizzazione alla ricerca di un nuovo equilibrio mondiale – qual è il punto di partenza per chi crede e fa esperienza della resurrezione di Cristo?
Sia ben chiaro: tale domanda non implica una traduzione automatica della fede in scelte politiche, ad esempio pro o contro la globalizzazione, pro o contro un certo intervento militare e via dicendo. E tuttavia “se Cristo è risorto” non si può finire subalterni alla “mentalità di questo secolo”, ovvero alle varie ideologie dominanti, per quanto “umanitarie” esse appaiano.
Da dove partire dunque?
Necessariamente dall’uomo, perché se Cristo è morto e risorto lo ha fatto per amore dell’uomo, vertice della Creazione. E rivelandosi, Cristo ha anche rivelato l’uomo a se stesso tale da donargli una coscienza della propria dignità sconosciuta al di fuori del cristianesimo. Non a caso Giovanni Paolo II ha iniziato il suo pontificato con l’enciclica “Redemptor hominis” (Il Redentore dell’uomo). Ecco allora che la salvaguardia e la promozione della dignità dell’uomo diventa il criterio fondamentale per giudicare ogni avvenimento internazionale, e il punto di partenza per ogni iniziativa politica. In questa prospettiva si comprende, ad esempio, l’insistenza del Papa sulla necessità di porre la famiglia al centro di ogni iniziativa politica, perché è nella famiglia che la persona “riceve la sua prima formazione riguardo alla verità e al bene, e impara cosa significhi amare ed essere amato, e perciò quello che effettivamente significhi essere una persona” (Centesimus Annus, n. 39).
Come dunque possiamo rimanere insensibili di fronte alle pressanti politiche messe in atto dalle agenzie dell’Onu e da singoli governi che mirano in molti modi a distruggere l’istituzione della famiglia?
Se dunque la persona – la sua dignità, la sua verità deve essere al centro di ogni giudizio, ne consegue anche che la “libertà religiosa” è un criterio fondamentale per questo stesso giudizio. Essa infatti non si identifica con l’appartenenza a una Chiesa o a una qualsiasi confessione, piuttosto con quella radicale esigenza di Verità e felicità che è insita nella natura dell’uomo, di ogni uomo, di ciascuna epoca e di ciascun Paese (cfr. Redemptor hominis, 17 e Dignitatis humanae, 6). Dunque, la garanzia per ogni uomo di poter ricercare e vivere la Verità è il fondamento di una società civile e il fondamento di tutti i diritti umani.
Essere coscienti di questo significa cominciare a guardare alla realtà con occhi diversi da quelli che ci vengono proposti e imposti dalle culture dominanti.
Prendiamo ad esempio la Cina. Da tantissimi anni si sottolineano – a seconda degli interessi di chi ci parla – le “aperture” di questo grande Paese e il potenziale mercato che esso rappresenta da una parte; e dall’altra il mancato rispetto dei diritti umani e la concreta minaccia alla stabilità internazionale che può portare. Posizioni opposte, destinate a non trovare un punto di sintesi perché in fondo sono entrambe riduttive: la questione è che uno sviluppo fondato sulla mancanza di libertà religiosa è come una casa costruita sulla sabbia; significa ridurre lo sviluppo a pura crescita economica e la persona a macchina. significa, in estrema sintesi, negare e svilire la natura dell’uomo e questo non può che porre le premesse per futuri disastri, sociali ma anche economici. Lo dimostra tragicamente una inchiesta nazionale pubblicata lo scorso 29 novembre che pone il suicidio come prima causa di morte per i giovani e la quinta causa di morte per gli adulti. Due milioni di cinesi ogni anno tentano il suicidio (che riesce nel 15% dei casi) e la caratteristica è che, mentre in Occidente gli aspiranti suicidi sono per il 90-95% malati mentali, in Cina questa percentuale scende al 65%.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare per dimostrare come il rispetto o meno della libertà religiosa incida sul cammino delle nazioni, ma mi preme sottolineare qui un ulteriore aspetto, ovvero l’attenzione che noi cattolici dovremmo avere per la sorte dei cristiani nelle varie aree del mondo, specie quelle più tribolate. E non solo perché dovrebbe essere un dovere istintivo verso dei fratelli nella fede (quando, ad esempio, abbiamo notizia di qualche disastro in città dove vivono nostri familiari, non ci precipitiamo forse a telefonare per sapere subito delle loro condizioni?); ma soprattutto perché i cristiani – e in modo particolare la Chiesa cattolica – sono gli unici ad avere una coscienza chiara dell’importanza della libertà religiosa, per tutti e non come affermazione di una Chiesa sull’altra. Allora come si può stare davanti alla tragedia del Medio Oriente assumendo gli schemi che ci sono imposti (la sinistra con i palestinesi, la destra con gli israeliani) senza neanche porsi il problema della sorte dei cristiani, schiacciati da entrambi e costretti alla fuga? Che speranza di pace può sopravvivere in Medio Oriente se viene meno l’unica fetta di popolazione in grado di apprezzare e comprendere la presenza degli uni e degli altri? Il diritto dei palestinesi allo Stato e il diritto di Israele alla sicurezza sono entrambi sacrosanti, ma con la progressiva scomparsa dei cristiani sarà sempre più difficile conciliare questi diritti.

RICORDA
“(…) in virtù del mio ufficio, desidero, a nome di tutti i credenti del mondo intero, rivolgermi a coloro da cui, in qualche modo, dipende l’organizzazione della vita sociale e pubblica, domandando ad essi ardentemente di rispettare i diritti della religione e dell’attività della Chiesa. Non si chiede alcun privilegio, ma il rispetto di un elementare diritto. L’attuazione di questo diritto è una delle fondamentali verifiche dell’autentico progresso dell’uomo in ogni regime, in ogni società, sistema o ambiente”.
(Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, n. 17).

 

 

IL TIMONE N. 23 – ANNO V – Gennaio/Febbraio 2003 – pag. 16 – 17

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