Molti anche tra i cattolici non sanno più quali sono i requisiti indispensabili per appartenere alla Chiesa e per distinguere chi vi è incluso, chi ne è ai margini e chi se n’è voluto escludere. Facciamo un po’ di chiarezza.
Un poco sempre, ma soprattutto in periodi di turbamento, rispunta il problema dei criteri di appartenenza alla Chiesa una. Oggi tale interrogativo si fa particolarmente acuto non solo a motivo della cultura relativistica in cui vivono i credenti e del confronto interreligioso che è in atto, ma anche perché nella Chiesa stessa non sempre è data una vivida chiarezza circa i motivi che determinano chi vi è incluso, chi ne è ai margini e chi se n’è voluto escludere.
Più che a eresie vere e proprie e a scismi proclamati, si è di fronte a confusioni che non permettono alcun giudizio chiaro, nemmeno il più motivato.
Meglio: sembra che vadano invalendo ragioni nuove che decidano dell’appartenenza, piena o parziale o nulla, alla comunità ecclesiale.
Per esempio, pare che sempre meno si attribuisca valore all’ortodossia per stabilire se si è nella Chiesa o no. Non è raro imbattersi in opinioni, sostenute anche da teologi di grido e diffuse in modo talvolta semplicistico tra la gente, opinioni che contrastano con le certezze anche fondamentali della Chiesa cattolica.
Un segno di questo fenomeno lo si può avere in alcune reazioni critiche che si sono levate contro la Dichiarazione Dominus Iesus, dove si riaffermava soltanto che il Signore Gesù, appunto, è l’unico salvatore di tutti gli uomini. Si è parlato di ostacolo all’ecumenismo – quale? – e al dialogo – quale? – con le grandi religioni del mondo.
La situazione è ancora più grave quando in questione sono principi di morale evangelica e umana, per non parlare di direttive pastorali. Si ha l’impressione, in qualche caso, che ogni fedele possa scegliersi le proprie credenze, le proprie norme di agire e la propria disciplina canonica. Al fondo di tale convinzione può essere identificato un atteggiamento secondo il quale non esisterebbe nella Chiesa un Magistero dalla parola autorevole e certificante nell’ambito religioso in forza di una singolare assistenza dello Spirito, ma ciascuna persona stabilirebbe da sé quanto deve credere e come deve agire. Risulta ovvio che una simile diffidenza si esprima ancor più nei confronti della prassi sacramentale e disciplinare.
Come in filigrana si può leggere una concezione di Chiesa dove non pare vigere più nemmeno il libero esame della Scrittura. In una condizione poco o tanto anarchica – dove si sorpassa anche un certo democraticismo ecclesiale –, la Chiesa appare poco o tanto come una giusta posizione di originalità informali che non si sforzano neppur più di accordarsi tra loro. E sembra ci si debba curvare davanti a una forma mentis la quale esige la santità quale condizione unica di appartenenza alla Chiesa. Salvo, poi, a precisare in che cosa consista questa santità. Rimane la buona fede, pur difficile da raggiungere.
Già, perché, tolto di mezzo il supremo criterio oggettivo che è la presenza di Cristo, il quale agisce nello Spirito e viene inteso dal senso della fede autenticato dal Magistero, la Chiesa si espone inevitabilmente a subire condizionamenti teorici e pratici della cultura in cui si muove: condizionamenti che possono aiutare la comprensione della parola rivelata e l’esperienza della vita di grazia, ma possono anche presentarsi come non concordabili con il mistero di Cristo. In questo senso la Chiesa rischia fortemente di conformarsi a un mondo – in senso paolino e giovanneo – che non si può concordare con il Signore Gesù. Allo schema di instrumentum regni, subentra per la Chiesa lo schema della dipendenza dal secolo. Non senza una qualche soggezione a potentati economici e perfino politici, oltre a quelli culturali.
Con una osservazione da aggiungere: non tutto ciò che viene imposto dal mondo è da buttare. Solo occorre spirito critico e capacità di discernimento. Si pensi a certe concezioni che vedono la Chiesa come un’aggregazione sociologica formata soltanto da poveri – da precisare in quale senso –; si pensi ad altre concezioni che immaginano la Chiesa come un’accolita di pacifisti diversi dai pacificatori, etc.
Abbandonato un criterio normativo di appartenenza alla Chiesa, se ne cercano altri e si finisce magari per accorgersi di aver quasi eliminato la Chiesa stessa.
Occorre il coraggio di accettare la Chiesa come Cristo ce l’ha donata. Autorità compresa, la quale può pur avere qualche lampo di comprensione della Parola rivelata e qualche impeto di conversione.
Occorre il vigore di chi accoglie nella comunità cristiana quanto sembra contrastante a prima vista: visibilità e mistero, obbedienza e libertà, fede e ragione, etc.
Occorre la pazienza di chi si innesta in una Chiesa santa ma abitata anche da peccatori – da noi –, per renderla sempre più bella e pura. Nella preghiera. Nella carità verso il prossimo: anche quello del terzo mondo. Nel dominio di sé.
L’unità della Chiesa è obbedienza a Cristo. C’è già a modo di dono. Va sempre raggiunta mediante l’impegno che risponde alla grazia.
RICORDA
“Che cos’è la Chiesa? La Chiesa è la società dei veri cristiani, cioè dei battezzati che professano la fede e dottrina di Gesù Cristo, partecipano ai suoi sacramenti e ubbidiscono ai Pastori stabiliti da lui”.
(Catechismo della Dottrina Cristiana, pubblicato da san Pio X, n. 105).
“Perciò, in connessione con l’unicità e l’universalità della mediazione salvifica di Gesù Cristo, deve essere fermamente creduta come verità di fede cattolica l’unicità della Chiesa da lui fondata. Così come c’è un solo Cristo, esiste un solo suo Corpo, una sola sua Sposa: una sola Chiesa cattolica e apostolica”.
(Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Iesus, n 16).
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