Contrordine, compagni. O meglio, è il caso di dire, contrordine laicisti e anticlericali di tutti i colori e le “famiglie” politiche, con (o meno) la rosa nel pugno. Il crocifisso deve restare nelle aule scolastiche, non perché sia un “oggetto di culto” o una “suppellettile”, ma – udite! udite! – perché «è un simbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili» (tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti, riguardo alla sua libertà, autonomia della sua coscienza morale nei confronti dell’autorità, solidarietà umana, rifiuto di ogni discriminazione), che hanno sì una origine religiosa, ma «che sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato». Lo ha stabilito, a sorpresa e stupendo un po’ tutti, il Consiglio di Stato che, con una significativa e articolata sentenza, ha respinto il ricorso di una cittadina finlandese, la signora Solle Lauti, che chiedeva la rimozione del crocifisso dalla scuola media frequentata dai suoi figli ad Abano Terme (Padova). La donna aveva già fatto ricorso al Tar del Veneto che, prima di darle torto, aveva sollevato una questione di legittimità davanti alla Corte Costituzionale.
A dicembre 2004 i giudici della Consulta avevano però dichiarato inammissibile la questione (senza quindi entrare nel merito) poiché l’affissione del crocifisso nelle scuole non era prevista da una legge, ma da due regolamenti del 1924 e del 1927 sugli arredi scolastici, sui quali il giudice delle leggi, appunto la Corte Costituzionale, non può sindacare.
A risolvere la delicata questione, trattandosi di atti amministrativi, sono stati perciò i supremi giudici amministrativi della sesta sezione del Consiglio di Stato, che nella sentenza 556, di una ventina di pagine, chiariscono alcuni aspetti decisivi dell’annosa questione. Dopo aver premesso che lascia alle «dispute dottrinarie» la definizione astratta di “laicità”, il Consiglio di Stato afferma che in sede giurisdizionale «si tratta in concreto e più semplicemente di verificare» se l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche sia «lesiva dei contenuti delle norme fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, che danno forma e sostanza al principio di “laicità” che connota oggi lo Stato italiano». Prosegue la sentenza: «È evidente che il crocifisso è esso stesso un simbolo che può assumere diversi significati e servire per intenti diversi; innanzitutto per il luogo in cui è posto». Così, se in un luogo di culto «è propriamente ed esclusivamente un simbolo religioso, in una sede non religiosa, come la scuola, destinata all’educazione dei giovani, il crocifisso potrà ancora rivestire per i credenti i suaccennati valori religiosi, ma per credenti e non credenti la sua esposizione sarà giustificata ed assumerà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile (al pari di ogni simbolo), valori civilmente rilevanti», ovvero «quei valori che soggiacciono ed ispirano il nostro ordinamento costituzionale, fondamento del nostro convivere civile. In tal senso il crocifisso potrà svolgere, anche in un orizzonte “laico”, diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli
alunni». Si tratta di valori che «hanno impregnato di sé tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano». Il richiamo, attraverso il crocifisso, all’origine religiosa di questi valori e alla «loro piena e radicata consonanza con gli insegnamenti cristiani… serve dunque a porre in evidenza la loro trascendentale fondazione, senza mettere in discussione, anzi ribadendo, l’autonomia dell’ordine temporale rispetto all’ordine spirituale». Questi valori, per il Consiglio di Stato, vanno vissuti nella società civile in modo autonomo (di fatto non contraddittorio) rispetto alla società religiosa, sicché possono essere «laicamente sanciti per tutti, indipendentemente dall’appartenenza alla religione che li ha ispirati e propugnati».
La decisione del Consiglio di Stato segna un punto a sfavore dei paladini di quel livore ideologico trasversale che ha come scopo di dare una lezione alla Chiesa, riducendola all’insignificanza, come già avviene nella gran parte d’Europa. È, questa sentenza, uno spunto serio di riflessione per i laicisti in servizio permanente effettivo, che dovrebbero meditare anche sul fatto che, secondo un sondaggio dell’Eurispes, più di otto italiani su dieci (per la precisione l’80,3 per cento) si dice favorevole all’esposizione del crocifisso nelle scuole e nelle istituzioni statali. In altri termini, questa maggioranza “bulgara” ritiene che non si debba rimuovere il crocifisso dalle aule scolastiche e da quegli edifici pubblici sulle cui pareti è stato finora presente. Coloro che (e sono gli stessi che cacciano i presepi e i canti di Natale dalla scuola), in nome del laicismo si mettono a fianco degli Adel Smith di turno (Adel Smith ha definito il crocifisso un “cadaverino”), hanno pertanto l’arrogante pretesa di discriminare il sentire più genuino della gente. Si potrebbe anche osservare che, se è vero che in democrazia è giusto rispettare le minoranze, anche le più sparute, non si può certo stravolgere la regola aurea secondo cui è la maggioranza che, in nome di tutti, prende decisioni e garantisce il buon funzionamento della vita civile, il rispetto della legge e la sua corretta applicazione.
Passando dal piano dei principi e degli enunciati teorici alla realtà concreta, peccato che in metà delle aule scolastiche italiane il crocifisso non ci sia. Tra sezioni dell’infanzia e classi delle elementari, medie inferiori e superiori, nelle sole scuole statali dovrebbero essere 373.190 i crocifissi esposti; in realtà non sono più di 180-230 mila, secondo una attendibile stima di Tuttoscuola on line. È accaduto che nel tempo le vecchie norme siano state sempre più trascurate, soprattutto da parte degli Enti locali (e andiamo a vedere il “colore” politico di molti di essi!), cui spetta l’obbligo dell’arredo scolastico. E così in molti istituti, dopo traslochi, ristrutturazioni o altro, il crocifisso è sparito; o in quelli di nuova costruzione (ad esempio in tante scuole dell’infanzia) non è addirittura mai stato appeso. Insomma, la sentenza dei giudici di Palazzo Spada pare abbia finalmente risolto una questione controversa da anni: peccato che, per quanto riguarda le scuole, riguardi ormai solo una parte di esse. Chi, nel nuovo Parlamento, si assumerà il compito di lanciare una “battaglia
di civiltà” per mettere (o rimettere) i crocifissi accanto alle lavagne? O piuttosto nascerà uno schieramento che chiederà invece di abolire i regolamenti che ne sanciscono la presenza negli edifici pubblici?
«Tutti vi esorto a fondare la vostra vita sulla parola di Dio, per essere costruttori della civiltà dell’amore, di cui simbolo eloquente è la croce di Cristo, sorgente di luce, di conforto e di speranza per gli uomini di tutti i tempi».
(Giovanni Paolo II, Udienza generale del 29 ottobre 2003).
IL TIMONE – N. 52 – ANNO VIII – Aprile 2006 – pag. 12 – 13