È in atto nella vita sociale un grande conflitto fra la cultura della vita e la cultura della morte.
La cultura della morte, che è caratterizzata da una straordinaria ricchezza di mezzi scientifici e tecnologici e da strumenti di pressione sulla coscienza delle nazioni e dei popoli, è la cultura dell’uomo che si considera al centro della realtà e che pertanto considera la realtà come un “dato” a sua totale disposizione. L’uomo che si considera al centro della realtà, dotato di un potere assoluto, intellettuale, morale, scientifico e politico considera la persona dell’altro semplicemente come un “dato” da conoscere, da organizzare ed eventualmente da manipolare.
Per secoli la persona dell’altro è stata ridotta alle caratteristiche socio politiche ed economiche.
L’individuo (perché questo termine era largamente preferito al termine persona) valeva come dato da manipolare per la creazione dei grandi sistemi politici, in cui si è espressa negli ultimi due secoli l’ideologia sociologica. L’individuo aveva tutto e solo il valore della sua funzionalità al processo ideologico politico destinato a creare un nuovo potere o a conservare un potere già acquisito.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Gaudium et Spes, ha parlato dell’uomo ridotto a “cittadino anonimo della città umana” (GS, 23). Oggi, nell’orizzonte della grande ideologia tecnocratica che domina il mondo la persona umana è considerata semplicemente un dato di carattere biologico, su cui la scienza è abilitata a operare tutti i possibili esperimenti in vista della creazione di livelli di vita fisica sempre più rispondenti agli ideali di comodità.
La vita umana ha perso qualsiasi dimensione di mistero: non è un dato, originariamente gratuito da accogliere e da amare, è una situazione che deve essere razionalizzata e dominata.
Quando la vita fisica mostra i suoi limiti, al suo sorgere, al suo declinare, per la presenza di condizionamenti che ne aggravano la procedura o anche quando soltanto ostacola un benessere economico e fisico considerato irrinunciabile, allora la vita umana può essere variamente manipolata o addirittura negata.
Le manipolazioni genetiche, l’aborto, la contraccezione, le varie forme di eutanasia costituiscono, secondo il magistero di Giovanni Paolo II, una immensa congiura dei nuovi potenti contro i poveri, i nuovi poveri di questa società in cui domina un concetto di libertà assolutamente falso.
È una libertà che trova esclusivamente in sé, come pura reazione istintiva, le proprie ragioni ed il proprio dinamismo, non più nell’essenziale riferimento alla verità.
Ma una libertà senza verità è soltanto un arbitrio, dei potenti contro i deboli. E quando le strutture sociali e politiche assecondano questa congiura, conferendo alle violenze contro la vita il valore di leggi, proprio allora si inizia il cammino verso il totalitarismo.
In troppi paesi del mondo il totalitarismo tecnocratico scrive ogni giorno infiniti episodi di violenza contro il mistero della vita, come dono gratuito ospitato nel cuore di ogni persona che Dio chiama alla vita.
Di fronte a questa situazione, che Giovanni Paolo II ha molte volte descritto in modo lucido, penetrante ed impegnativo sta il grande Vangelo della vita che è fondamento ed energia alimentante una autentica cultura della vita.
“L’uomo è chiamato a una pienezza di vita che va ben oltre le dimensioni della sua esistenza terrena, poiché consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio.
L’altezza di questa vocazione soprannaturale rivela la grandezza e la preziosità della vita umana anche nella sua fase temporale. La vita nel tempo, infatti, è condizione basilare, momento iniziale e parte integrante dell’intero e unitario processo dell’esistenza umana.
Un processo che, inaspettatamente e immeritatamente, viene illuminato dalla promessa e rinnovato dal dono della vita divina, che raggiungerà il suo pieno compimento nell’eternità (cf. 1 Gv 3, 1-2).
Nello stesso tempo, proprio questa chiamata soprannaturale sottolinea la relatività della vita terrena dell’uomo e della donna. Essa, in verità, non è realtà “ultima”, ma “penultima”; è comunque realtà sacra che ci viene affidata perché la custodiamo con senso di responsabilità e la portiamo a perfezione nell’amore e nel dono di noi stessi a Dio e ai fratelli.
La Chiesa sa che questo Vangelo della vita, consegnatole dal suo Signore, ha un’eco profonda e persuasiva nel cuore di ogni persona, credente e anche non credente, perché esso, mentre ne supera infinitamente le attese, vi corrisponde in modo sorprendente.
Pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore (cf. Rm 2, 14-15) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine, e ad affermare il diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario. Sul riconoscimento di tale diritto si fonda l’umana convivenza e la stessa comunità politica.”
(Evangelium Vitae, n 2)
Proclamare il Vangelo di Gesù Cristo è proclamare coerentemente e con-seguentemente il Vangelo della vita. La vita della persona è sacra, perché la persona appartiene integralmente al mistero di Cristo e di Dio e, in questo mistero e per questo mistero, la persona umana è “per sempre”.
La vita fisica è la condizione inevitabile perché la persona umana viva sulla terra e viva quindi il suo cammino di responsabilità verso Cristo nelle varie circostanze della sua esistenza; poiché è condizione dell’esistenza storica della persona umana, la vita fisica affonda le sue radici dove affonda le sue radici la persona, cioè nel mistero di Dio. Per questo la vita fisica non è a disposizione di nessuno, né dei genitori né dello Stato, né della scienza né della tecnica, perché è integralmente dono di Dio concesso misteriosamente ad una libertà umana perché potesse vivere la sua avventura terrena come cammino verso Dio o contro Dio. La fine della vita fisica, mediante la morte fisica, non annulla la persona come avvenimento di perennità in Dio, muta solo le condizioni entro le quali la persona vive il dramma del suo amore o del suo odio al mistero di Dio.
La proclamazione della cultura della vita, attraverso la testimonianza impegnata di tanti cristiani che fanno dell’amore alla vita, anche nei suoi aspetti più gravi o più deboli o dei suoi condizionamenti più penosi, occasione di testimonianza quotidiana di fronte al mondo e alla sua violenza è la grande responsabilità che incombe su tutta la Chiesa e su ogni cristiano. Aprire ogni giorno, con la parola e con le opere quella via nuova che va dal cuore di Dio al mondo e che rende il mondo un luogo di positività, contro ogni tentazione di violenza, di sopraffazione o di meschinità.
Evangelium vitae
La gravita morale dell’aborto procurato appare in tutta la sua verità se si riconosce che si tratta di un omicidio e, in particolare, se si considerano le circostanze specifiche che lo qualificano. Chi viene soppresso è un essere umano che si affaccia alla vita, ossia quanto di più innocente in assoluto si possa immaginare: mai potrebbe essere considerato un aggressore, meno che mai un ingiusto aggressore! È debole, inerme, al punto di essere privo anche di quella minima forma di difesa che è costituita dalla forza implorante dei gemiti e del pianto del neonato. È totalmente affidato alla protezione e alle cure di colei che lo porta in grembo. Eppure, talvolta, è proprio lei, la mamma, a deciderne e a chiederne la soppressione e persino a procurarla”.
(Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n. 58).