NOI ABBIAMO RAGIONI DA VENDERE, LORO NO.
Poiché l’apologetica ha il compito di fornire qualche motivo per credere, chi se ne occupa ha fiducia nella ragione dell’uomo. La ritiene in grado, se ben impiegata, di dare risposte convincenti a domande decisive e di acquisire i presupposti necessari per dare un assenso ponderato agli articoli di fede proposti dalla divina Rivelazione.
Oggi, nessuno al pari della Chiesa cattolica ha tanta fiducia nella ragione umana. Nemmeno la scienza, che ormai da anni valuta le sue affermazioni come “vere” fino a quando non vengono smentite – come spesso accade – da altre di carattere ugualmente scientifico.
La parabola iniziata con l’illuminismo settecentesco, che accusava la Chiesa di oscurare il lume dell’intelletto con la sua superstizione religiosa, è penosamente finita tre secoli dopo con il trionfo del pensiero debole, vale a dire con la dichiarazione di resa della ragione, che non sarebbe in grado di conoscere infallibilmente alcuna verità.
Il fatto che solo la Chiesa abbia ancora fiducia nella ragione umana dovrebbe far riflettere più di un non cattolico. Apologeticamente, infatti, si può ricordare ad ogni uomo come, fallite tutte le ideologie anticristiane sorte per garantirgli felicità e successo in variegati paradisi terreni, soltanto la Chiesa resta, solidale, al suo fianco. Apprezzando la più nobile delle sue facoltà.
Anche nella battaglia in corso tra la cultura della vita e la cultura della morte, espressioni utilizzate dal Santo Padre nell’enciclica Evangelium vitae (n. 28), ogni cattolico dovrebbe appellarsi alla ragione umana per cercare di convincere gli avversari a rivedere le loro posizioni, a correggere i loro errori, a convertirsi.
La ragione ha una sua forza intrinseca. Un esempio ci è stato offerto, sul finire dello scorso anno, dal coraggioso giornalista cattolico Antonio Socci, conduttore del programma televisivo Excalibur. Nell’ultima puntata, che ha suscitato aspre polemiche, l’onorevole Giovanna Melandri, esponente dei Democratici di Sinistra, e Daniele Capezzone, dei radicali, esponenti politici favorevoli a divorzio, aborto, eutanasia, manipolazioni genetiche, fecondazione in vitro, libertà per le coppie omosessuali e altre aberrazioni via dicendo, sono stati “inchiodati” dall’invito a “ragionare” posto loro da Socci – forse con qualche eccesso di foga – evidenziando la strutturale debolezza del loro argomentare.
Discutendo di fecondazione in vitro, Socci domandava loro perché, pur non considerando l’embrione un essere umano, sostenevano il divieto di commercializzarlo, scambiarlo o venderlo. Il conduttore chiedeva di conoscere il “perché”, dunque la ragione delle loro affermazioni.
Tanto è bastato per mettere i due in palese difficoltà. La Melandri, non avendo, appunto, ragioni da addurre, tentava ripetutamente di svicolare, ma Socci non mollava la presa. Quella era la domanda e a quella voleva fosse data risposta. A quel punto, l’onorevole diessina preferiva tagliare la corda, abbandonando la postazione.
Diverso l’atteggiamento di Capezzone il quale, dopo molti minuti impiegati a tergiversare, doveva ammettere, alla fine, che sì, per lui, gli embrioni si potevano benissimo vendere e comprare.
Qui ci porta la cultura della morte, della “non ragione”. Cultura che, guarda caso, trova nella sinistra del nostro schieramento politico i suoi maggiori promotori.
Non siamo politici, ma apologeti cattolici e dunque il nostro agire farà ricorso in primo luogo alla preghiera per chiedere a Dio di illuminare testa e cuore di tali interlocutori.
Ma dovremo altresì curare particolarmente la nostra formazione, per sfidare sul campo della ragione, come ha fatto Socci, quanti si oppongono alla verità naturale e cristiana.
Tutto ciò con serena fiducia: noi abbiamo ragioni da vendere. Loro no.
IL TIMONE – N. 30 – ANNO VI – Febbraio 2004 – pag. 3