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12.12.2024

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Democrazia & Verità
31 Gennaio 2014

Democrazia & Verità

 

 

Si è diffusa in moltissime nazioni, ma porta con sé un virus: il relativismo. La chiamano democrazia, ma rischia di trasformarsi nel “braccio secolare” del nichilismo. È questa la nuova sfida della Chiesa.

 

Una testa, un voto. Tutti conoscono il caposaldo del metodo democratico: i membri di una comunità sono chiamati periodicamente a esprimere la loro volontà, scegliendo fra candidati e partiti che si presentano a libere elezioni. Ci sono molti modelli istituzionali – ad esempio repubblica parlamentare o presidenziale – ma tutti i sistemi democratici sono accomunati da un criterio di fondo: la maggioranza decide.
 

Il metodo democratico

 
Questo è il succo della democrazia, almeno dal punto di vista del suo funzionamento. Ne costituisce anche la causa del dirompente successo, che ha portato il modello democratico a diffondersi in moltissime regioni del mondo a partire dalla seconda parte del ventesimo secolo: ogni uomo si sente istintivamente attratto dall’idea che potrà scegliere liberamente e personalmente coloro che devono esercitare il potere pubblico. La democrazia sembra la medicina giusta – l’unica – per cancellare dalla faccia della Terra la dittatura, la prevaricazione di un singolo che con la forza soggioga la libertà di molti. Inoltre, il metodo democratico sembra fondarsi su un criterio di intuitiva ragionevolezza: se su un’isola abitano nove persone, sem-bra logico che di fronte a una decisione contrastata, alla fine si scelga ciò che è voluto da almeno cinque persone. La democrazia è percepita dall’uomo medio della civiltà occidentale come una garanzia: se c’è la democrazia – pensa il cittadino qualunque – certe cose terribili del passato non possono più succedere. Perché, appunto, “la maggioranza comanda”.

I contenuti della democrazia

Ma, come in tutte le cose umane, c’è un problema. Che si materializza sottoforma di questa semplice ma scomoda domanda: la maggioranza può decidere qualsiasi cosa? In altre parole: il contenuto della “volontà dei più” è totalmente libero, e può comprendere le più svariate azioni e decisioni? Oppure esistono dei vincoli, dei limiti, dei contenuti appunto, che limitano – anche pesantemente – la volontà di potenza della maggioranza? Sembra una questione molto astratta, ma un esempio potrà chiarire subito la concretezza del problema. Abbiamo detto che in un’isola-Stato abitata da nove persone, cinque d’accordo fra loro possono democraticamente comandare. Ma che cosa possono comandare? Possono, ad esempio, decidere l’eliminazione fisica di tutti gli abitanti dell’isola che abbiano una statura inferiore al metro e settanta? Oppure: possono decidere che su quell’isola i malati non devono essere curati ma eliminati? O ancora: possono decidere l’abolizione del reato di furto? Istintivamente, ognuno risponderà subito di no. Giustamente: perché sarebbe mostruoso che, in nome del principio di maggioranza, in uno Stato venissero legalizzati l’omicidio e la rapina.
Ma in questo modo, noi stiamo introducendo nel metodo democratico un fortissimo elemento di limitazione. Stiamo dicendo che la verità prevale sulla libertà dei singoli. Per impedire che una maggioranza di persone – magari schiacciante – eserciti il potere in maniera indiscriminata, dobbiamo ammettere che esistono alcune verità le quali, è proprio il caso di dirlo, “non si possono mettere ai voti”. L’innocenza di Gesù fu sottoposta a referendum, e sappiamo come andarono le cose. Per impedire che il nostro immaginario abitante dell’isola ammalato venga abbandonato al suo destino per “volontà democratica”, dobbiamo implicitamente ammettere che esiste una verità più forte del voto della maggioranza: la verità in base alla quale far morire un uomo innocente, anche malato, è un’orribile ingiustizia.

Democrazia e relativismo

 
Qualcuno si chiederà: ma perché fare tanta fatica per dimostrare cose ovvie, scontate, chiare come la luce del sole? È semplice: questa fatica è necessaria perché la democrazia contemporanea si sta allontanando sempre più dall’idea che esista una verità, e che questa verità sia più forte e più importante della volontà della maggioranza. Di più: la democrazia post moderna si sta rivelando il baluardo del relativismo e dello scetticismo. Quando sono nati i primi sistemi parzialmente democratici, questa deriva spaventosa non era ancora iniziata, perché le società erano ancora severamente ancorate, nel loro tessuto di valori e di principi morali e religiosi, alle solide radici della tradizione. Per cui, quando ad esempio nasce la democrazia americana, essa sorge contro un certo potere costituito – quello del re d’Inghilterra – ma non in opposizione a un nucleo di verità oggettive incontrovertibili. Il modello nasce cioè come affermazione della libertà, ma non come negazione della verità oggettiva. I fondatori di quel nuovo Stato non avrebbero potuto scrivere alcuna Dichiarazione d’Indipendenza, se non avessero affermato anche una “verità” sull’uomo. Una verità non arbitraria, ma riconosciuta grazie all’esistenza della legge naturale.
Questo è del tutto normale, perché, a ben guardare, il fondamento di un’autentica democrazia non è il pallottoliere, ma un nucleo di verità intangibili – “non negoziabili” direbbe Papa Ratzinger – che non possono essere manomesse nemmeno dalla volontà di tutti i cittadini. La verità è più forte della libertà.

Democrazia, il dio che ha fallito

Oggi, però, le cose sono molto diverse: la democrazia sta diventando sempre più il braccio secolare di quella “dittatura del relativismo” di cui parla Benedetto XVI. A questo pensava il grande Papa Beato Pio IX, quando nel suo Sillabo fulminava le moderne democrazie liberali: aveva intuito che esse si sarebbero contrapposte a Dio e alla verità. La democrazia è la forma moderna della torre di Babele, il simbolo dell’umanità che si affranca dal riferimento all’autorità che proviene da Dio, per affermare che “il potere appartiene al popolo”. Così facendo, però, non ci si accorge che si espone l’uomo a una tragedia immane: all’avvento di un nuovo totalitarismo, fondato sì sulla volontà della maggioranza, ma che nei contenuti può esprimere le medesime aberrazioni che hanno sconvolto il Ventesimo secolo. È quella che il filosofo del diritto Luigi Lombardi Vallari chiamava polemicamente “reductio ad Hitlerum”. Se infatti il consenso è l’unica regola che conti, allora dovremmo ammettere che lo sterminio del popolo ebreo sarebbe “democratico” se godesse del voto favorevole di una maggioranza?
Questo è un discorso duro, che espone a immediate rappresaglie nella società attuale. Perché ogni discorso critico sulla democrazia è considerato un vero e proprio sacrilegio, un reato di lesa maestà. Abbiamo un problema, e un problema grave: le democrazia è diventata un idolo del qua-le non si può che parlare bene. Tagliate le teste degli antichi monarchi, buttato a mare il patrimonio storico di secolari sistemi di potere – come ad esempio il grande impero austro-ungarico – il nuovo modello di esercizio dell’autorità viene rivestito dei paramenti sacri. E – pur nel nome di una laicità fortemente intrisa di anticattolicesimo e di odio per la religione – si candida a diventare l’unico elemento “divino” della cultura contemporanea. Per cui, chi critica la democrazia è colpito da una rappresaglia culturale di inaudita violenza. Ed è esattamente questo lo scontro di civiltà che si prepara all’orizzonte del Ventunesimo secolo: da un lato, la Chiesa e tutti quei non cattolici che riconoscono la necessità di ancorare il metodo democratico a una verità intangibile sull’uomo, riscoprendo la signoria di Dio sulla storia; dall’altro, le democrazie relativiste e nichiliste – guidate dal “modello” dell’Unione Europea – che predicano e diffondono il verbo del nichilismo.

Democrazia e bioetica

Ma se qualcuno avesse ancora dei dubbi circa la deriva antiumana assunta dalla democrazia contemporanea, allora provi a considerare che cosa è avvenuto negli ultimi quarant’anni nella quasi totalità degli Stati “liberi”. L’aborto procurato – l’uccisione cioè di un essere umano innocente prima della nascita – è stato legalizzato e riconosciuto come lecito. E ciò è avvenuto non per volontà di un dittatore sanguinario, ma a seguito di un voto espresso democraticamente dai Parlamenti. Erode non ha più il volto di Hitler o di Stalin, ma quello anonimo di milioni e milioni di uomini che esercitano il potere della maggioranza. È accaduto con l’aborto, accadrà presto con l’eutanasia. A meno che non si metta in crisi la radice malata della democrazia relativista.

Ricorda

«In realtà, la democrazia non può essere mitizzata fino a farne un surrogato della moralità o un toccasana dell’immoralità. Fondamentalmente, essa è un «ordinamento» e, come tale, uno strumento e non un fine. Il suo carattere «morale» non è automatico, ma dipende dalla conformità alla legge morale a cui, come ogni altro comportamento umano, deve sottostare: dipende cioè dalla moralità dei fini che persegue e dei mezzi di cui si serve. Se oggi si registra un consenso pressoché universale sul valore della democrazia, ciò va considerato un positivo «segno dei tempi», come anche il Magistero della Chiesa ha più volte rilevato. Ma il valore della democrazia sta o cade con i valori che essa incarna e promuove: fondamentali e imprescindibili sono certamente la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei suoi diritti intangibili e inalienabili, nonché l’assunzione del «bene comune» come fine e criterio regolativo della vita politica. Alla base di questi valori non possono esservi provvisorie e mutevoli «maggioranze» di opinione, ma solo il riconoscimento di una legge morale obiettiva che, in quanto «legge naturale» iscritta nel cuore dell’uomo, è punto di riferimento normativo della stessa legge civile. Quando, per un tragico oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo giungesse a porre in dubbio persino i principi fondamentali della legge morale, lo stesso ordinamento democratico sarebbe scosso nelle sue fondamenta, riducendosi a un puro meccanismo di regolazione empirica dei diversi e contrapposti interessi».
(Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium Vitae, n. 70).

Bibliografia

Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, in particolare n. 70.
Joseph Ratzinger, Tra Cielo e Terra, Piemme, 1997.
Mario Palmaro, Patì sotto Ponzio Pilato?, in «il Timone» n. 51, marzo 2006.

IL TIMONE – N.65 – ANNO IX – Luglio/Agosto 2007 pag. 52-53

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