La lunga e difficile battaglia contro nazionalsocialismo e comunismo. Prima come diplomatico, poi come Pontefice.
Per la libertas Ecclesiae.
Il XX secolo ha sperimentato forme di govi inedite nella storia delle dottrine politiche, sia regimi totalitari di massa, condotti da d tori che avevano ottenuto seguiti plebiscitari, in possesso di tutti i mezzi di comunicazione di massa che proprio in quel momento, col cinema e la radio, avevano assunto il completo controllo l’opinione pubblica. Che cosa poteva fare la diplomazia della Santa Sede nei confronti di nazismo, fascismo, comunismo?
Papa Benedetto XV (1914-1922), che aveva vista lire i suoi tentativi di scongiurare l’entrata nella ma guerra mondiale dell’Italia e poi di far cessare «l’inutile strage”, fu escluso dalle trattative di pace concluse con il trattato di Versailles. Ebbe per successore papa Pio XI (1922-1939), uno studioso, già Prefetto della Biblioteca Ambrosiana e poi di quella Vaticana. Tuttavia, dal 1918 al 1920 il futuro papa stato Nunzio in Polonia dove ebbe modo di assistere agli sviluppi della rivoluzione sovietica e alle reazioni che provocava negli altri paesi.
Ben presto Pio XI s’accorse che a Berlino risiedeva un diplomatico quanto mai sagace e buon interprete delle sue direttive, mons. Eugenio Pacelli. Nel dicembre 1929 si rese vacante la carica di Segretario di Stato tenuta dal card. Pietro Gasparri (18 1934), che nel febbraio precedente aveva firmato il Concordato tra la Santa Sede e l’Italia, ponendo fine a un contenzioso che durava da quasi sessant’anni. Pio XI chiamò mons. Pacelli a ricoprire quella carica e perciò le successive iniziative prese dal Papa si devono intendere concordate con il suo principale collaboratore.
Nel 1931 Mussolini ordinò l’aggressione ai danni delle sedi dell’Azione Cattolica, accusandole d’ essere rifugio di esponenti del disciolto Partito Popolare e di fare politica attiva perché una circolare raccomandava lo studio della dottrina sociale cristiana. Pio XI rispose in modo forte con la lettera Non abbiamo bisogno per far comprendere al governo fascista che dalla rottura delle relazioni diplomatiche i danni maggiori sarebbero ricaduti sullo stesso governo italiano. Mussolini comprese il passo falso compiuto e un poco alla volta fece cessare le persecuzioni.
Nel 1937, quando da più di un anno Stalin aveva lanciato il programma di appoggiare quei governi borghesi disposti a praticare una politica antifascista (si tratta del Fronte Popolare, che subito colse il successo elettorale in Francia e in Spagna), nel giro di una settimana furono pubblicate due lettere encicliche. La prima, del 14 marzo, intitolata Mit brennender sorge (Con viva ansia), esponeva i motivi per cui il regime nazista doveva esser rifiutato da chi era deciso a vivere in modo coerente la sua fede. La seconda, del 19 marzo, si intitolava Divini Redemptoris e spiegava i motivi per cui andava respinto il comunismo ateo, anche se in quel momento dispiegava un’azione diplomatica mondiale per contenere la potenza militare nazista. Forse non è inutile ricordare che nell’agosto 1939 l’URSS di
Stalin stipulò il patto di non aggressione con la Germania, permettendo l’inizio della Seconda guerra mondiale. Nei progetti di Stalin quella guerra doveva annientare tutte le potenze europee, lasciando sussistere l’Unione Sovietica come unica dominatrice del continente.
Nel febbraio 1939, dopo breve malattia, morì Pio XI e tre settimane dopo fu eletto il cardinale Eugenio Pacelli con il nome di Pio XII. Quell’elezione non fu una sorpresa perché non c’era persona più adatta del nuovo Papa a guidare la Chiesa in quei frangenti.
Dopo la guerra Pio XII dovette affrontare le conseguenze dell’indebolimento europeo e della formazione di due blocchi di Stati guidati dalle due superpotenze USA e URSS. L:atteggiamento assunto nei confronti delle potenze del blocco sovietico, che nel 1949 lo indussero a ribadire la condanna già implicita nell’enciclica Divini Redemptoris, era quanto meno scontato e inevitabile. In quella occasione fu inflitta la scomunica a quei fedeli che promovessero attivamente la diffusione e l’affermazione del comunismo ateo, sempre ricordando che era prassi abituale di quei regimi proporre un ateismo positivo, dove l’aggettivo assume il significato di “postulatorio”, ossia richiesto come condizione per creare una società nuova.
Concludendo, si può affermare che con atteggiamento profetico la Chiesa aveva saputo indicare ai fedeli la via da percorrere, sgusciando tra le Scilla e Cariddi del XX secolo. Perché la persona e le scelte di Pio XII sono aggredite con tanta acrimonia dentro e fuori la Chiesa? Le accuse di parte ebraica le lascerei cadere, perché sono bilanciate da riconoscimenti ancora più importanti. L:accusa del silenzio di Pio XII di fronte allo sterminio di ebrei prende corpo solamente durante i lavori del Concilio Vaticano Il ed è una faida interna tra cattolici, in seguito utilizzata dai non cattolici. Tale accusa spinge alla contrapposizione fra il “buono” Giovanni XXIII e il “cattivo” predecessore. Il silenzio sulla strage degli ebrei fu mantenuto da tutti gli Stati e da tutte le organizzazioni internazionali, comprese quelle ebraiche, per evitare il pericolo di provocare danni ancora più gravi. Solamente dopo il Concilio Vaticano Il tutti assegnano al Papa il compito di rappresentare non solo i cattolici, ma anche tutti gli uomini di buona volontà, col dovere di condannare le violazioni dei diritti umani dovunque accadano.
LA PRIMA ENCICLICA
«(…) quanto più gravosi sono i sacrifici materiali richiesti dallo Stato agli individui e alle famiglie, tanto più sacri e inviolabili devono essergli i diritti delle conoscenze. Può pretendere beni e sangue, ma non mai l’anima da Dio redenta. La missione, assegnata da Dio ai genitori, di provvedere al bene materiale e spirituale della prole e di procurare ad essa una formazione armonica pervasa da vero spirito religioso, non può essere loro strappata senza grave lesione del diritto».
(Enciclica Summi pontificatus, del 20 ottobre 1939).
Dossier: Pio XII. Un Papa per la Chiesa di sempre
IL TIMONE – N. 42 – ANNO VII – Aprile 2005 pag. 44- 45