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14.12.2024

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Dio è amore
31 Gennaio 2014

Dio è amore

 

 

 

 

Il centro della fede cristiana: Dio è amore e chi sta nell’amore dimora in Dio. Un vescovo commenta alcuni punti dell’enciclica Deus Caritas est, di papa Benedetto XVI.

 
 

«DIO È AMORE; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1 Gv 4,16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell’esistenza cristiana: “Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto”» (Deus Caritas est, 1).
L’Enciclica di papa Benedetto XVI, Deus caritas est, costituisce un aiuto importante ad individuare le linee di una concezione originale di Dio e dell’uomo.
Da secoli la cultura, soprattutto quella occidentale, sotto l’urto del movimento protestantico, del razionalismo, dell’illuminismo e dei grandi sistemi ideologici e totalitari, ha presentato una concezione di Dio come alternativo e competitivo dell’uomo. Dio è stato sentito come una presenza minacciosa per l’identità e la libertà dell’uomo, come un condizionamento negativo dal quale l’uomo poteva liberarsi, utilizzando spregiudicatamente la propria capacità di conoscenza scientifica, la propria volontà di realizzazione storica, la propria capacità di manipolazione tecnologica. L’imperativo era: vivere la pienezza dell’umanità in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue dimensioni, “come se Dio non esistesse”, o meglio essendosi finalmente emancipati dalla Sua presenza minacciosa o coartante.
Benedetto XVI, per guidarci in questa ricognizione sulla verità di Dio e sulla verità dell’uomo, non parte né da una idea astratta dell’uomo, né da una idea astratta di Dio; parte dal desiderio di amore che caratterizza l’esperienza elementare dell’uomo (come diceva mons. Giussani). E quindi il discorso si apre sull’amore, nonostante che, come ricorda il Papa, il termine amore per gli abusi e le violenze
ideologiche degli ultimi secoli risulti oggi termine particolarmente compromesso.
Ma l’uomo vive per amare: per riconoscersi ed attuarsi pienamente non nell’affermazione egoistica di sé ma in una oblazione di sé all’altro sentito come segno dell’Altro.
Il termine eros dice questa tendenza dell’uomo ad uscire da sé per affermare l’alterità: ma dice anche l’inesorabile tentazione di una esperienza egoistica ed istintuale dell’eros, per cui l’eros finisce per essere l’affermazione dell’individuo e la volontà di possesso dell’altro.
Troppo spesso l’uomo ritiene che questo processo di potere costituisca l’esperienza determinante per la verità della vita. Ma purtroppo non è così.
L’eros esige di essere coinvolto in un processo di razionalità e di benevolenza. Ed il termine agape costituisce la nostalgia delle grandi religioni naturali ed è il “proprium” specifico dell’esperienza del popolo dell’Antico Testamento. L’agape è un misterioso incontro fra la benevolenza di Dio che tende a coinvolgere l’uomo attraverso i canali della natura e della storia, ed è insieme la tendenza dell’uomo a percorrere questi canali come occasione di avvicinamento al Mistero, fonte di purificazione e di benevolenza.
Così mentre l’eros ha al suo centro un individuo che afferma esclusivamente sé stesso, il soggetto dell’agape è la persona umana che tende a vivere in pienezza il dialogo sostanziale con il Mistero di Dio.
Tale dialogo è avvertito come la strada per un riconoscimento vero della propria identità personale e come ragione viva e dinamica di ogni impegno con se stesso e con gli altri. Ma questa apertura, grandissima eppure fragilissima, è investita dall’iniziativa di Dio che in Gesù Cristo ha aperto la via definitiva e nuova per vivere e comunicare il Suo amore verso l’umanità. Gesù Cristo è l’amore di Dio che diventa carne e storia, che diventa presenza mobilitante e coinvolgente definitivamente l’uomo.
Benedetto XVI ha saputo riproporci la continuità ed insieme la discontinuità radicale fra l’esperienza biblica e l’avvenimento della fede.
«La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti: un realismo inaudito. Già nell’Antico Testamento la novità biblica non consiste semplicemente in nozioni astratte, ma nell’agire imprevedibile e in certo senso inaudito di Dio. Questo agire di Dio acquista ora la sua forma drammatica nel fatto che, in Gesù Cristo, Dio stesso insegue la «pecorella smarrita», l’umanità sofferente e perduta. Quando Gesù nelle sue parabole parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare. Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo: amore, questo, nella sua forma più radicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cfr 19,37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: «Dio è amore» (1 Gv 4,8). È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l’amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare» (ibidem, 12).
Nell’amore vivente di Dio, che è Gesù Cristo, ecco finalmente la visione autentica di Dio. Dio non è nella sua individualità il padrone del mondo, e non è neppure geloso dell’uomo e della sua libertà, non lo costringe a riti o sacrifici abominevoli: Dio è una eterna e permanente comunità di persone che si amano di un amore assoluto e in questa dedizione incondizionata ogni persona è totalmente salvaguardata nella sua personalità ed eternamente esaltata. In Cristo questa esperienza di amore che è la Trinità diviene storia e permane come accoglienza dell’uomo dentro la vita stessa di Dio.
Il Mistero dell’amore di Dio, Gesù Cristo, diviene mistero dell’amore dell’uomo verso Dio in Cristo e, per Lui e con Lui, amore verso Dio in tutti coloro che credono in Lui.
Così, con singolare profondità e grande elementarità, Benedetto XVI ci aiuta a comprendere che l’amore verso il Padre diviene anche, senza soluzione di continuità, capacità di dedizione agli uomini, per Cristo ed in nome di Cristo.
«Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento. Entrambi però vivono dell’amore preveniente di Dio che ci ha amati per primo. Così non si tratta più di un “comandamento” dall’esterno che ci impone l’impossibile, bensì di un’esperienza dell’amore donata dall’interno, un amore che, per sua natura, deve essere ulteriormente partecipato ad altri. L’amore cresce attraverso l’amore. L’amore è “divino” perché viene da Dio e ci unisce a Dio e, mediante questo processo unificante, ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia “tutto in tutti” (1 Cor 15,28)» (ibidem, 18).
Amore di Dio ed amore del prossimo divengono dunque la dimensione normale dell’esistenza del cristiano, e rivelano tutta la capacità di novità culturale ed etica. Novità culturale, cioè affermazione della dimensione dell’amore cristiano come superamento di ogni concezione ridotta e parziale dell’uomo e della realtà. Si rivela qui quella “antropologia adeguata”, come ci è stata insegnata da Giovanni Paolo II. L’amore e solo l’amore rivela la natura profonda dell’uomo e chiarisce il senso del suo vivere e del suo esistere. L’amore è la denuncia che la Chiesa deve rinnovare tutte le volte che è necessario di fronte alla cultura della morte, cioè una concezione individualistica e violenta dell’uomo e del suo rapporto con la realtà, umana, sociale, naturale. Ma l’amore cristiano sorregge dall’interno ogni movimento ed ogni azione, conferendo ad ogni iniziativa personale e sociale una radicale gratuità ed insieme una rigorosa responsabilità. La carità non si esaurisce in nessuna iniziativa sociale e non si identifica con nessun movimento per la giustizia, ma rende pienamente umano ogni tentativo. Anche perché solo il cristiano può offrire al Signore l’inevitabile peccato delle sue azioni come oggetto di perdono e quindi come possibilità di ripresa, che si rinnova continuamente.
Così la carità qualifica in modo definitivo la missione della Chiesa e la presenza dei cristiani nel mondo, come popolo e come singole persone.
Le circostanze della vita, nella loro varietà, nella loro concretezza, addirittura nel loro limite sono occasioni per vivere un’offerta che, come diceva don Giussani, rende eterno ogni istante, e sono congiuntamente le occasioni per amare veramente gli uomini e per dare un apporto positivo alla vita della società.

IL TIMONE – N. 52 – ANNO VIII – Aprile 2006 – pag. 48 – 49

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