«Se vedi la carità, vedi la Trinità». Queste famose parole di sant’Agostino si trovano al centro della prima enciclica di papa Benedetto XVI Deus caritas est (Dio è amore). Già, perché “carità” vuol dire proprio “amore”. I cristiani si sono trovati ben presto in imbarazzo nell’uso di questa parola che aveva ed ha una posizione centrale nel loro credo e nella loro vita e per questo sono ricorsi a termini alternativi, tra cui “carità”. “Amore” è infatti una parola che si consuma. Con il termine “amore” si designano troppo spesso cose che con l’amore vero non hanno nulla a che vedere, che ne sono anzi la più radicale contraddizione. Se ne era già accorto san Giovanni, che è il sublime cantore dell’amore di Dio che si è manifestato in Cristo Gesù: «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità» (1Gv 3,18), a cui fa eco sant’Ignazio di Loyola: «L’amore si deve porre più nei fatti che nelle parole» (Esercizi spirituali, n. 230). Spesso il linguaggio dell’“amore” si esprime così: «Mi piaci, ti prendo, ti uso, ti butto…». Ma questo non è amore.
È nella Trinità che si manifesta il vero volto dell’amore. Per due volte san Giovanni nella sua prima lettera ripete «Dio è amore» (vv. 8 e 16). Il Papa spiega nell’enciclica che «l’Antico Testamento greco usa solo due volte la parola eros, mentre il Nuovo Testamento non la usa mai: delle tre parole greche relative all’amore — eros, philia (amore di amicizia) e agape — gli scritti neotestamentari privilegiano l’ultima, che nel linguaggio greco era piuttosto messa ai margini» (n. 3). Questo cambiamento nell’uso dei termini non è casuale, non è solo una questione di parole.
Che cos’è eros per i greci? Nel linguaggio della mitologia greca: chi è Eros? A questa domanda risponde Platone nel dialogo Simposio. Eros secondo Platone non è un dio ma un démone, cioè un essere intermediario tra il mondo degli dei e quello degli uomini. Afrodite dà un banchetto a cui invita tutti gli dei, tra i quali anche Poros (il mercantile “ingegno” o “espediente”). Penìa (la povertà) sta alla porta a chiedere, secondo il suo solito, l’elemosina. Poros approfitta del vino (anzi del “nettare”) buono e abbondante e finisce per addormentarsi ubriaco nel giardino di Zeus, alle soglie della sala del banchetto. Penìa, che nella sua miseria cerca una discendenza, si unisce a lui e concepisce Eros. Eros è dunque figlio di “povertà” ed “espediente”. Povertà perché cerca appassionatamente quello che gli manca, “espediente” perché è ingegnoso e insonne in questa ricerca. Non è, né può essere dio, perché è mancante, ma non è neppure un mortale, perché non finisce mai. È un démone “mediatore”, appunto. L’amore erotico non si dà pace finche non ha trovato ciò che lo soddisfa e per questo si fa terribilmente ingegnoso. Platone spiegava che nell’uomo esso deve crescere e purificarsi: il primo gradino è costituito dalla bellezza dei corpi. Non bisogna però fermarsi lì, attraverso i corpi bisogna vedere qualcosa di ancora più bello: le meraviglie dell’anima spirituale. Ma c’è ancora una tappa da raggiungere, la contemplazione non più di questa o quella realtà bella, ma della bellezza stessa. Questa “bellezza” però rimane pur sempre qualcosa di astratto.
«Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi» (1Gv 3,16). «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati » (1Gv 4,10). Qui l’amore si fa concreto, tremendamente concreto: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,3). L’amore allora è dono, è un dare quello che si ha a chi non ha: «L’amore consiste in una mutua comunicazione di beni, cioè nel dare e comunicare l’amante all’amato quello che ha, o di quello che ha o può dare; così a sua volta l’amato all’amante; di modo che se l’uno ha scienza, la dia a chi non l’ha, così per gli onori e le ricchezze; e reciprocamente» (sant’Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, n. 231).
«Dio è amore». Dio è agape (amore – dono) non eros (amore – ricerca di ciò che non si ha). Non potrebbe essere altrimenti: di che cosa può mai mancare Dio? L’uomo cerca lungo tutta la sua vita ciò o chi lo possa completare nel profondo del suo cuore. Di questa vicenda l’amore tra uomo e donna costituisce un modello insuperabile. Il Papa non teme di affermare che «l’amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all’essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per eccellenza, al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono » (n. 2). Ma anche l’amore tra uomo e donna – lo sappiamo per esperienza – se non si fa dono, si rivela disastroso e distruttivo. Nell’amore del Figlio di Dio fatto Uomo che dà la vita per noi sulla croce, Giovanni contempla un amore per il quale vale la pena di dare a nostra volta la vita. Un amore nel quale «si schiude una promessa di felicità» tale da oscurare tutte le altre. «Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1Gv 4,16).
IL TIMONE N. 108 – ANNO XIII – Dicembre 2011 – pag. 60
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