Dio è la pienezza d’essere, quindi non può diventare alcunché, perché è già tutta la perfezione possibile. Ma questo non significa che sia impassibile.
Anzi, è Amore sussistente.
La domanda fondamentale che la filosofia, sin dal suo esordio, si è posta è quella sull’origine della realtà e sul suo significato. Perché c’è il mondo?
Il mondo rinvia a Dio come causa
Platone e Aristotele, pur non avendo raggiunto il concetto di creazione, avevano colto che il cosmo potrebbe anche non essere, che la sua esistenza non è necessaria e avevano cercato di collegare il mondo e la sua vita a un principio trascendente concepito come Sommo Bene, Motore immobile, Atto puro.
La cultura greca, tuttavia, pensava il mondo come eterno e il nesso tra un Dio eterno e un mondo eterno rimaneva più intuito che dimostrato; mancava un concetto chiaro di Dio come causa efficiente. L’incontro della filosofia con la Rivelazione cristiana è determinante per trovare un nuovo modo di considerare il problema. Sin dal primo versetto del libro della Genesi il rapporto tra mondo e Dio viene spiegato con l’onnipotenza creatrice della Causa prima, eterna, che trae dal nulla l’universo,t insieme con il tempo. L’atto creativo, che è l’unica ragionevole soluzione del rapporto tra finito (mondo) ed infinito (Dio), contro l’assurdo di due infiniti (di due dêi infiniti) o del monismo panteistico (che pensa l’universo come infinito facendo coincidere Dio con il mondo), offre al pensiero il nesso di causalità, cioè la possibilità di pensare il creato come posto dal Creatore, come un effetto dalla propria causa.
Questo itinerario è tracciato nel cap. 13 del libro della Sapienza e nel cap.1 della Lettera ai Romani di S. Paolo. Il testo della Sapienza svolge due motivi: quello della potenza e quello della bellezza. In tutto l’universo è presente una forza trasformatrice, un dinamismo teso alla perfezione e all’arricchimento; gli uomini antichi hanno divinizzato queste forze naturali, mentre avrebbero dovuto vedere in esse un riflesso dell’onnipotenza di Colui che è. Allo stesso modo, gli uomini hanno fatto della bellezza delle creature degli idoli, perdendo di vista la Bellezza suprema, fonte di tutte le bellezze create. Riflettendo dunque sul cosmo, l’intelletto scopre un rapporto necessario con Dio: dal movimento delle forze della natura al loro Motore, dalla bellezza finita e frammentata alla Bellezza assoluta. Nella Lettera ai Romani S. Paolo esprime in forma sintetica questi concetti: «Ciò che si può conoscere di Dio è manifesto in mezzo agli uomini, perché Dio stesso lo ha manifestato loro. Difatti gli attributi invisibili di Lui fin dall’inizio del mondo appaiono chiari, attraverso le cose create, per via di ragionamento».
In linea con queste affermazioni, S. Tommaso d’Aquino svolge le famose cinque argomentazioni sull’esistenza di Dio con cui perviene ai suoi attributi essenziali: Motore immobile, Causa prima, Ente necessario, Ente perfettissimo, Causa sapiente e libera, Fine dell’universo.
Prima di riflettere sulla nozione di Motore immobile e Atto puro a cui conduce la prima via, dobbiamo precisare che la conoscenza di Dio a cui perviene la ragione non è una conoscenza propria, ma analogica. Questo significa che per parlare di Dio noi usiamo concetti tratti dal mondo creato che ha una certa somiglianza con Lui, che è la sua Causa esemplare ed efficiente, ma sono anche contemporaneamente per altri aspetti differenti. È legittimo procedere per analogia solo se si ricorda che la somiglianza è soverchiata dalla distanza che c’è tra l’infinito (Dio) e il finito (il mondo). Per questo alla cosiddetta via affermativa per conoscere Dio, che si fonda sull’analogia dell’essere e attribuisce a Dio ogni perfezione delle creature, la tradizione filosofico-teologica affianca la via della negazione, utilizzata da alcuni Padri della Chiesa, i quali si servono di formule come: «Dio è non sostanza, non pensiero, non vita, non sapienza, non bontà». Con queste espressioni essi non intendono negare a Dio tali perfezioni, ma sottolineare il fatto che in Lui esistono in modo diverso, perché Dio è una realtà assolutamente semplice, non composta da tante qualità, Dio è «Io sono», in Lui non c’è composizione di parti.
Pur sapendo che in Dio tutte le perfezioni si riferiscono all’unico Essere divino, noi dobbiamo parlarne distinguendo in vari aspetti il suo Essere semplicissimo, perché la nostra ragione conosce attraverso definizioni e distinzioni. Tra tutte le qualità che possiamo attribuire a Dio elevando all’infinito una perfezione trovata nel mondo creato, ve ne sono alcune che costituiscono la radice di tutte le altre.
In primo luogo Dio è l’Essere. Dio non «ha» l’essere, ma «è» l’Essere; Essere in senso pieno, che non ha bisogno di nulla per sussistere, sussiste per sé. Questo significa che tutto ciò che rientra nell’essere gli appartiene in forza propria, ogni perfezione appartiene necessariamente all’Essere divino. Dalla pienezza e perfezione dell’essere in Dio segue l’immutabilità: in Dio non c’è mutamento alcuno perché è già in atto la pienezza dell’Essere, quindi in Lui non c’è mutamento (perciò è Vita, Motore immobile e Atto puro).
Dio come Motore immobile e Atto puro
La prima delle cinque vie tomiste parte dal movimento che pervade tutto il creato e perviene a Dio come Motore immobile e Atto puro, a un Motore immobile non soggetto al divenire, cioè un ente che muove senza muoversi; tale Ente sarà perciò Atto puro, una Realtà senza alcuna potenzialità in sé e quindi immutabile. Questo Ente è ciò che chiamiamo Dio.
Come bisogna intendere l’immutabilità di Dio e quindi la sua impassibilità? Certamente non bisogna intendere l’immutabilità come staticità, inattività e inerzia. Dio non cambia come le creature, che vivono il prima e il poi nel tempo, nello spazio e nella loro interiorità, ma è attivo, la sua vita è Carità. Quando nella Scrittura o nel linguaggio comune si attribuisce a Dio un cambiamento, ad es. «Dio ha ascoltato la preghiera», «Dio ha benedetto», «Dio si è mosso a compassione», si dice qualcosa di vero, che però deve essere inteso in modo analogico rispetto alla realtà creata di cui abbiamo esperienza. Quando Dio opera nella creazione, non compie un’azione nuova, ciò che accade è che inizia un nuovo effetto dell’eterno agire divino.
Così l’impassibilità di Dio esclude che Egli possa subire o patire qualcosa in quanto manchevole o imperfetto nel suo essere, ma non significa distacco e indifferenza verso gli uomini; Egli ha per il suo popolo e per ogni uomo la tenerezza del padre (Os 2,1), l’amore della madre (Is 49,15) e dello sposo (Os 2,20). Quando diciamo che Dio è impassibile in quanto Atto puro, escludiamo che in Dio ci sia un’esperienza degli affetti come passaggio dalla potenza all’atto, ma non escludiamo il fondamento della dimensione affettiva che è la relazione.
Se l’essere di Dio è atto, allora Dio è dinamico e si comunica e la sua comunicazione non può essere pensata senza la relazione: se Dio è atto puro la comunicazione di sé e la relazione sono modi del suo Essere. È la libertà dell’uomo a decidere come porsi all’interno di questa relazione. Dio da parte sua, fedele al proprio Essere, non può che essere comunicazione di sé, cioè Amore che si dona.
Bibliografia
Aristotele, Metafisica, Libro XII, 7.
Tommaso d'Aquino, Somma teologica, I q. 26, a. 2.
Pio XI, Enciclica Miserentissimus Redemptor, 8 maggio 1928. L'insegnamento dell'enciclica si sofferma sulla possibilità per l'uomo di partecipare al sacrificio espiatorio di Cristo.
IL TIMONE – N.62 – ANNO IX – Aprile 2007 pag. 30-31