Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero: davanti a quest’articolo di fede il Simbolo del nostro antico Credo improvvisamente s’impenna come dinanzi ai vertici di un Mistero. Com’è possibile che Dio generi Dio? E com’è possibile, all’interno di questo, parlare ancora di un solo Dio? Abbiamo qui la conferma di trovarci dinanzi alla pura Rivelazione, perché la nostra mente umana non solo non è in grado d’intendere questa verità, ma nemmeno di formularla in un credo se questa non fosse stata rivelata.
Molti teologi hanno provato ad affacciarsi a questo mistero, per provare a renderlo almeno un po’ più comprensibile alle nostre capacità, ma il limitato segmento del nostro pensiero, quando giunge a queste parole del Simbolo, si trova dinanzi ad un’iperbole tendente all’infinito che ci chiede di abbandonare tutte le nostre stampelle, tutti i nostri normali parametri conoscitivi, tutte le nostre certezze naturali.
E i 318 antichi Padri del Concilio di Nicea sono davvero impietosi davanti alle nostre obiezioni: non smussano, non ridimensionano, non attutiscono. Anzi, lo sottolineano tante volte quante le Persone della Trinità: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero. Eppure parlavano, da un lato, ai discendenti degli ebrei, rigidamente monoteisti, dall’altro ai discendenti dei greci, rigorosamente logici.
Nicea, situata in Bitinia (attuale Turchia), era collocata esattamente a metà fra queste due diverse culture, ed il grande Concilio, facendo da ponte fra i due continenti, sfidò la filosofia dei Greci a confrontarsi col monoteismo ebraico attraverso il mistero di Cristo.
Il documento che venne stilato nel 325, e che assemblò le precedenti formulazioni in un’unica matrice destinata a divenire il basamento imperituro della fede cattolica, non esitò a propugnare con ben 7 articoli la verità della generazione divina del Cristo; ed il successivo Concilio di Costantinopoli (anno 381) li riprese nelle ben note espressioni che ormai conosciamo: 1) Unigenito Figlio di Dio; 2) Nato dal Padre prima di tutti i secoli; 3) Dio da Dio; 4) Luce da Luce; 5) Dio vero da Dio vero; 6) Generato, non creato; 7) Della stessa sostanza del Padre.
Sette proposizioni per dire la stessa cosa, quasi a voler fugare ogni dubbio, ogni timore d’aver capito male, quasi a voler imprimere nella ragione il più grande mistero rivelato: Gesù Cristo è «il Figlio» di Dio, è anch’Egli Dio, e nonostante ciò vi è un solo Dio. Non importa che non possiamo capirlo: così ci è stato rivelato.
Gli ariani provarono in qualche modo a rendere più ragionevole il mistero, a “umanizzare” maggiormente il Cristo, ed è grazie al loro errore che i Padri della Chiesa ci lasciarono delle definizioni così inequivocabili.
Anche noi oggi, figli dell’illuminismo e del razionalismo, ci sottraiamo spesso al mistero della divinità di Cristo, preferendo talvolta adorare ancora la dea ragione. È però un errore ritenere che la ragione umana possa essere comprensiva di tutta la realtà. Ciò non accade nemmeno per certe verità scientifiche. La fisica quantistica, per esempio, insegna che una particella di luce può essere al tempo stesso in due posti diversi, pur restando una sola particella, come dimostrato dal famoso esperimento delle due fenditure attraversate contemporaneamente da un solo fotone. Il mondo della materia, specchio del suo Creatore, sembra racchiudere anch’esso l’assioma “luce da luce”, quasi come un segno di cose più alte, un invito a ricordare che la nostra mente è poco più che una vertigine. Ma chi si sente amato dal Mistero, non lo teme.
IL TIMONE – N. 45 – ANNO VII – Luglio-Agosto 2005 – pag. 61