Nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, Giovanni Paolo II invita i cattolici ad affrontare il terzo millennio rinvigorendo la missione. Per guadagnare il mondo a Gesù Cristo.
Concluso il Grande Giubileo dell'anno duemila, la Chiesa riprende il cammino ordinario, esortando gli uomini alla santificazione del tempo e nel tempo quotidiano. Questo si legge nella Lettera apostolica rivolta da Papa Giovanni Paolo II ai vescovi, al clero e ai fedeli Novo millennio ineunte per rispondere alla domanda rivolta dai primi fedeli al primo Papa, san Pietro, dopo il suo discorso di Pentecoste: “Che cosa dobbiamo fare?”.
La lettura di questo documento presuppone comunque una domanda o un esame di coscienza che ciascuno non può demandare ad altri: mi interessa veramente cercare la strada per santificare il mio tempo, l'ambiente in cui vivo, le persone che mi stanno intorno, la mia patria, fino al mondo intero? Se questa domanda non interessa, il documento del Papa non interesserà, perché molte ragioni della mancanza di attenzione al Magistero pontificio dipendono dal fatto che pochi cercano nelle parole del Pontefice risposte alla domanda su “cosa dobbiamo fare”.
Che cosa dobbiamo fare, dunque? Il Papa fornisce risposte che possono apparire disarmanti a una lettura superficiale e che assomigliano a quelle che ci da la coscienza ogniqualvolta la interpelliamo sulla nostra vita e ci sentiamo invitati alla conversione e alla penitenza. Infatti, Giovanni Paolo II ricorda che non esiste “programma” o “formula magica” che possa portare la salvezza nel mondo, ma che soltanto una Persona ci salverà, anzi ci ha salvato e aspetta che noi ne prendiamo atto.
La santità come programma
Così, sconvolgendo mentalità distorte da decenni di programmi pastorali “orizzontalistici”, afferma che la santità è la prospettiva in cui “deve porsi tutto il cammino pastorale”, nel senso che i fedeli devono scoprire il desiderio della perfezione, che non implica “una sorta di vita straordinaria praticabile solo da alcuni 'geni' della santità”. La santità presuppone la preghiera, ma questa non va data per scontata: “ci si sbaglierebbe a pensare che i comuni cristiani si possano accontentare di una preghiera superficiale, incapace di riempire la loro vita”; nel nostro tempo, cristiani del genere non sarebbero soltanto insidiati dal solito rischio della mediocrità – quel “non esagerare” con il quale siamo sempre tentati di giustificarci – ma sarebbero anche cristiani “a rischio”, scrive il Papa. Quindi bisogna imparare a pregare ed educare alla preghiera, senza peraltro cadere nella “tentazione di una spiritualità intimistica e individualistica, che mal si comporrebbe con le esigenze della carità, oltre che con la logica dell'Incarnazione”.
La preghiera genera la missione
Infatti, l'esito della preghiera è la missione, anzi “una nuova missionarietà” adeguata ai nostri tempi, privi ormai della protezione di una società cristiana, perché “chi ha incontrato veramente Cristo, non può tenerselo per sé, deve annunciarlo”. Questo “annuncio gioioso di un dono che è per tutti”, questo desiderio di comunicare agli altri la fede cattolica ricevuta, dovrebbe animare tutti i battezzati e non soltanto alcuni specialisti della missione.
Purtroppo non è così. Vi si oppongono almeno due categorie di persone, fra i cristiani.
La prima è costituita da coloro che si lasciano conquistare dallo spirito del proprio tempo e assomigliano a quelli che cedono alle preoccupazioni del mondo descritti nella parabola del seminatore (cfr. Mc 4, 1-20). Hanno paura che una professione troppo netta del cristianesimo possa compromettere quel poco di spazio ottenuto magari faticosamente nella società.
Hanno sempre paura di perdere quel poco che hanno, anche a livello personale. Questa “tentazione” spiega per esempio l'atteggiamento “minimalistico” dei farmacisti cattolici di fronte all'autorizzazione da parte del Ministero della Sanità della commercializzazione della “pillola del giorno dopo” e spiega la firma dei ministri “cattolici” alla legge 194, che introdusse l'aborto nella legislazione italiana. È una tentazione umanamente comprensibile, da superare chiedendo con la preghiera di vincere il rispetto umano che normalmente la genera. Ma diventa terribile quando viene teorizzata come prassi politica tesa al mantenimento del potere a qualunque costo, come si tenta ancora oggi di giustificare quella firma alla legge abortista. In questo caso, il ricorso a san Tommaso Moro, proclamato da Giovanni Paolo II, il 31 ottobre 2000, patrono dei governanti e dei politici, diventa obbligatorio per impetrare la grazia del distacco dal fascino del potere e la forza per rinunciarvi, se necessario.
La seconda categoria di persone è costituita da quei cristiani che rifiutano la prospettiva dell'evangelizzazione per ragioni ideologiche, perché hanno perduto la speranza nella possibilità di costruire un mondo migliore, sopraffatti dalla confusione di ideologie, religioni e nuovi movimenti religiosi nei quali è immerso il mondo moderno. Questi cattolici hanno delle ragioni quando temono il rischio della ideologizzazione della fede o di dimenticare che soltanto i Signore porta la salvezza, rischi sempre possibili. Ma dimenticano che un mondo migliore è una condizione umana semplicemente più favorevole all'accoglienza del messaggio evangelico e più rispettosa del progetto divino sulle nazioni e che la missione porta la salvezza anzitutto del missionario, perché coincide con la condizione stessa dell'essere cristiano.
Ascoltando tali riserve sullo spirito missionario, si ha la sensazione di una mancanza di considerazione del Mistero essenziale del cristianesimo: se gli uomini, le nazioni, le culture non avessero bisogno di essere purificate da Gesù Cristo, per quale scopo ci sarebbe stata l'Incarnazione del Figlio di Dio? E il timore del proselitismo fanatico è veramente il problema pastorale più urgente, oggi, nei paesi di antica tradizione cristiana?
“Duc in altum”, “Prendi il largo” è la risposta del Papa. “Andiamo avanti con speranza. Un nuovo millennio si apre davanti alla Chiesa come oceano vasto in cui avventurarsi, contando sull'aiuto di Cristo”.
BIBLIOGRAFIA
Giovanni Paolo II all'episcopato, Novo millennio ineunte, Lettera apostolica al clero e ai fedeli al termine del Grande Giubileo dell'anno duemila, Città del Vaticano, 6 gennaio 2001. Sul rapporto fra san Tommaso Moro e i politici cfr., fra l'altro, l'arguto intervento di Peter Milward S.I., San Tommaso Moro, patrono dei politici?, in La Civiltà Cattolica, anno 152, n. 3614, 20 gennaio 2001, pp. 170 – 173.
IL TIMONE N. 12 – ANNO III – Marzo/Aprile 2001 – pag. 52-53