Cristo è il Signore, ed il suo regno di grazia ha avuto inizio con la sua venuta nel mondo. Egli sta già regnando sulla terra, ma lo fa attraverso la Chiesa. Non tutte le cose di questo mondo gli sono però sottomesse, perché «questo regno è ancora insediato dalle potenze inique» (CCC 671). Del resto Gesù aveva avvertito: «Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). La fase storica che stiamo vivendo è quella che San Giovanni chiama «l’ultima ora” (1Gv 2,18). Dice il Concilio Vaticano II: «Già dunque è arrivata a noi l’ultima fase dei tempi, e la rinnovazione del mondo è stata irrevocabilmente fissata e in un certo modo è realmente anticipata in questo mondo; difatti la Chiesa già sulla terra è adornata di una santità vera, anche se imperfetta» (LG 48).
Alla luce della “teologia della speranza”, i credenti stanno attendendo il ritorno finale e glorioso di Gesù che conclude la storia: la Parusia, termine che anticamente indicava la visita ufficiale di un sovrano in qualche città. Ma «questo avvento o apparizione di Gesù, chiamato “parusia” nel Nuovo Testamento, non viene felicemente tradotto con “ritorno”, perché si suggerisce così che si tratta di un evento già avvenuto una prima volta. In realtà si tratta del compimento di ciò che è cominciato con l’incarnazione, croce e risurrezione di Gesù Cristo, del compimento dell’opera di Gesù Cristo e della definitiva manifestazione della sua gloria. Si intende dunque che alla fine sarà manifesto che Gesù Cristo era ed è fin dal principio alla base e al centro significativo di ogni realtà e di ogni storia, l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine» (Catechismo Cattolico degli Adulti, Conf. Ep. Tedesca, III,V,2,4).
Questa considerazione degli ultimi tempi (che prende nome di escatologia, dal greco èskata, cose ultime), emerge già dalla Sacra Scrittura. E’ Gesù stesso che annuncia e promette la sua parusia (cfr il suo lungo discorso escatologico racchiuso in Mt 24), anche se «non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta» (At 1,7). Animato dallo Spirito Santo, Pietro dopo la Pentecoste annuncia agli ebrei di Gerusalemme: «Pentitevi dunque, e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati e così possano giungere i tempi della consolazione da parte del Signore, ed egli mandi quello che vi aveva destinato come Messia, cioè Gesù. Egli dev’essere accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose, come ha detto Dio fin dall’antichità, per bocca dei suoi santi profeti» (At 13,19-21). Per questa ragione «la Chiesa pellegrinante, nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all’età presente, porta la figura fugace di questo mondo, e vive tra le creature, le quali sono in gemito e nel travaglio del parto sino ad ora, e attendono la manifestazione dei figli di Dio» (LG 48).
La Parusia è dunque la vera meta di tutta la storia dell’umanità. Per questo le chiese cristiane sono rivolte verso oriente, ad indicare quest’attesa del Cristo, sole che sorge, pur essendo, noi, già avvolti dalla luce dell’alba. Il trionfo definitivo sulle tenebre porterà agli uomini «nuovi cieli e una nuova terra» (2Pt 3,13). Il regno di Cristo sarà eterno, ma verrà preceduto dal giorno del Giudizio, come Gesù annunzia, in linea coi profeti e col Battista. Non si tratta di un giorno del calendario, ma della ricapitolazione in Cristo di tutte le cose. «Allora saranno messi in luce la condotta di ciascuno e il segreto dei cuori. Allora verrà condannata l’incredulità colpevole che non ha tenuto in alcun conto la grazia offerta da Dio. L’atteggiamento verso il prossimo rivelerà l’accoglienza o il rifiuto della grazia e dell’amore divino. Gesù dirà nell’ultimo giorno: “Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”» (CCC 678).
In realtà il giudizio di Dio sta già operando, nella storia, per promuovere il bene e liberare dal male. Dice il Catechismo degli Adulti della CEI: «Il giudizio opera già in questo mondo, ma va verso un momento supremo: “Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male” (2Cor 5,10). E’ il giudizio definitivo, che per le singole persone avviene al termine della vita terrena (“giudizio particolare”) e per il genere umano, nel suo insieme, al termine della storia (“giudizio universale”)» (n. 1199).
Sebbene queste riflessioni escatologiche ci mettano davanti la reale possibilità di una nostra eterna condanna, il nostro timore è confortato dalla teologale speranza che accompagna le parole dell’Apocalisse: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini, e dimorerà con loro, ed essi saranno il suo popolo, ed egli sarà il Dio-con-loro. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi. Non vi sarà più morte né lutto e grida di dolore. Sì, le cose di prima sono passate» (Ap 21,3-4). Per cui il cristiano non deve temere di dire: Marana-tha, vieni Signore Gesù (1Cor 16,22).
IL TIMONE – N.59 – ANNO IX – Gennaio 2007 pag. 61