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3.12.2024

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‘E mutane ‘e donna Leonora
31 Gennaio 2014

‘E mutane ‘e donna Leonora

 

 

 

La canzone napoletana dice così: Aro’ è gghiuta donna Leonora ch’ abballava ‘n’copp’o’ tiatro? Mo’ abballa ‘n’miezz’o’ mircato cu’ masto Donato. Traduzione per i padani: dov’è finita donna Eleonora che ballava al teatro? Ora balla nel mercato con mastro Donato. Cioè, col boia. Infatti la forca era montata, in Napoli, nella piazza del mercato. Come si vede, la canzone, d’epoca, non parla di mutande. E poiché all’umorismo nero dei napoletani non sarebbe sfuggito un particolare così malizioso, c’è da ritenere che la giustiziata quell’indumento così intimo lo avesse senz’altro indosso al momento dell’esecuzione. Cosa c’entrano le mutande? È presto detto. Da mesi, ormai, l’intellettuale di sinistra Maria Antonietta Macciocchi imperversa, sulla stampa e dove può, su questo particolare: Eleonora Pimentel Fonseca fu impiccata, per spregio, senza mutande, così che la plebe potesse godersi l’infame spettacolo. La Macciocchi è altresì nota per l’indignazione dimostrata nei confronti di un altro fatto di duecento anni fa: lo stupro e la strage da parte dei sanfedisti su quaranta monache orsoline ad Altamura. Ebbene, gli storici avveduti sanno bene che ad Altamura non c’erano affatto orsoline, e che i morti di quell’assedio furono in tutto trenta sette; sanno, infine, che tra questi ultimi non c’era alcuna suora. Gli storici avveduti sanno bene, anche, che il cardinale Ruffo non era sacerdote: il suo cardinalato era una carica totalmente politica. Dunque, non poteva certo dir messa e benedire le stragi, come certi storici dilettanti (sempre di sinistra) sostengono. Ora, non vogliamo addentrarci nelle insorgenze italiane antigiacobine, l’unica vera resistenza che il nostro popolo abbia mai fatto contro l’invasore. Questa volta ci dedicheremo alle mutande di donna Eleonora. La domanda che toglie il sonno è: le aveva o no? Gli storici pensosi non si danno pace. Anzi, se la sono già data, perché delle mutande di donna Eleonora pare non gliene importi un fico secco.
Vediamo innanzitutto chi era costei. Eleonora Pimentel Fonseca era una chiacchierata parvenue, cui la benevolenza della regina Maria Carolina aveva fatto sposare un vecchio nobile portoghese, giusto per toglierla dalla fame. La regina l’aveva anche ammessa nella sua cerchia di dame di compagnia e le passava, per soprammercato, una cospicua rendita.
Quando il Regno di Napoli fu invaso dai francesi e i regnanti dovettero fuggire, Eleonora passò armi e bagagli dalla parte dell’invasore. Anzi, vera antesignana delle «contesse rosse», creò, scrisse, diresse e stampò un velenoso foglio, Il Monitore, che
sciorinava ai quattro venti tutte le confidenze più laide su Maria Carolina e suo marito. Maria Antonietta Macciocchi si chiama, appunto, Maria Antonietta. Dovrebbe tenere per Maria Carolina, la quale era giusto sorella di quella Maria Antonietta che i giacobini avevano ghigliottinato senza motivo dopo averla infangata con un’accusa di incesto pedofilo nei confronti del figlioletto. Invece no. Ella si scaglia contro la regina, rea di essersi vendicata sulla traditrice.
Infatti, la collaborazionista Eleonora, questo era: una traditrice del suo re, del suo popolo e della sua benefattrice. Le donne, si sa, sanno essere vendicative. E donna Eleonora finì appesa. In verità, il Ruffo aveva promesso clemenza ai traditori, ma Nelson, pro console d’Inghilterra in Napoli, non tenne alcun conto della parola data. Fece impiccare un centinaio di collaborazionisti (che poi passarono per “patrioti”) che avevano aperto il fuoco sui napoletani, lazzari soprattutto, insorti contro l’invasore. Questi ultimi, nei sussidiari, sono descritti, invece, come «plebe fanatica». Insomma, un popolo che insorge contro lo straniero è «eroico» solo quando fa comodo a certi intellettuali. Altrimenti è solo «plebaglia fanatizzata dai preti». Ma torniamo a donna Eleonora e alle sue famose mutande. La marchesa non ci teneva affatto, tant’è che usava ballare al teatro nei «quadri viventi» (secondo il costume – anzi, senza – dell’epoca) o nei «balli angelici», dove i giacobini celebravano la Natura (scritta sempre in maiuscolo) mostrandosi, appunto, nature.
Nulla di strano se la causa è degna (che so, rivoluzione, ecologia, animalismo) il pudore è un trascurabile dettaglio, come la cronaca d’oggidì ancora ci mostra in contesse, baronesse e nobildonne di acquisito titolo. Insomma, donna Eleonora non doveva sentire come particolarmente vergognoso il finire impiccata senza mutande. Invece, come abbiamo visto, la canzone a lei dedicata non ne parla. Perché? Vediamo di ricostruire la cosa. La forca in Napoli era montata nella piazza del mercato su un palco, come d’uso all’epoca. Il condannato cadeva dentro una botola che si apriva di colpo sotto ai suoi piedi; indi, restava penzolante. Chi poteva, dunque, vedere l’eventuale assenza di mutande? Se, per ipotesi, donna Eleonora fosse stata appesa direttamente a perpendicolo sulla folla, solo gli immediatamente sottostanti avrebbero potuto vedere la lingerie sotto la sua gonna. O, se del caso, la mancanza della suddetta. Di più: le gonne, data la moda del tempo, arrivavano ai piedi. Infine, donna Eleonora aveva superato i quarant’anni, in un tempo in cui si era vecchi già prima. C’è da ritenere che la sua eventuale nudità non costituisse più uno spettacolo da un pezzo. Dunque, possiamo senz’altro affermare senza ombra di dubbio che donna Eleonora quel giorno le mutande le aveva. I reazionari angosciati possono tirare un respiro di sollievo: la giustizia borbonica ne esce a testa alta.

IL TIMONE – N.4 – ANNO I – Novembre/Dicembre 1999 – pag. 20 – 21

 

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