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12.12.2024

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Eclisse del Dio unico
31 Gennaio 2014

Eclisse del Dio unico

 



Sulla copertina di Eclisse del Dio Unico (Il Saggiatore) di Ferruccio Parazzoli c’è un cerino bruciato. Potrebbe simboleggiare una fede che si è spenta dopo aver resistito fino all’ultimo, fino a quando è stato possibile tenere il fiammifero acceso in mano. Potrebbe anche essere immagine di una vita che si è stufata di tenere la fiammella accesa, un attimo prima del suo consumarsi naturale. Parazzoli ha infatti settantasette anni e questo suo ultimo libro parrebbe un testamento, una specie di grido contro il Silenzio di Dio, quel silenzio che ha già impensierito tanti altri prima di lui (basterebbe pensare al regista svedese Ingmar Bergman, che al tema ha dedicato praticamente tutta la sua produzione).
Parazzoli non è uno scrittore qualsiasi. Nella prefazione, Vito Mancuso dice: «L’autore infatti è stato per molti anni (ed è ancora considerato tale ora che scrivo) un intellettuale organico alla Chiesa cattolica, con una collaborazione fissa su Famiglia cristiana, una rubrica sul mensile Jesus, svariati articoli su Avvenire dove gli è stata affidata anche la striscia di spiritualità quotidiana detta “Mattutino”, e i puntuali inviti della Presidenza della Conferenza Episcopale a prendere la parola nei congressi e nei simposi ufficiali».
Parazzoli è uno scrittore vero (anche se – dice Mancuso – non sopporta l’etichetta di «scrittore cattolico»), perciò le sue pagine sono di non facile comprensione, perché, come dice Camus (appositamente citato), uno scrittore è anche filosofo. Bisogna leggere le righe e anche, soprattutto, tra di esse. Magari rileggere più volte e rifletterci sopra. L’impressione finale, dopo aver chiuso il libro, è quella di una porta sbattuta per protesta, non tanto contro la Chiesa, come fa Mancuso, quanto contro Dio e il suo tacere ostinato. L’Occidente Lo ha eclissato per volgersi a un nichilismo debole, «la pappa del niente », e Lui non ha fatto una piega. Vano è, ormai, parlarne. Così, lo scrittore, non avendo più nulla da dire, si congeda. Mancuso, che non è uno scrittore ma un teologo, ha un linguaggio più immediato: il teismo muore «di morte naturale, non c’è nessuno che l’uccida, si va spegnendo a poco a poco nelle coscienze mediante lenta e progressiva agonia, per arrestare la quale servono a poco gli eventi di massa su cui fa tanto affidamento la Gerarchia cattolica, dalle innumerevoli beatificazioni di Giovanni Paolo II ai viaggi “apostolici”, alle Giornate Mondiali della gioventù, eventi che riempiono per un giorno le piazze e gli stadi ma non hanno il potere di riempire le chiese, vuote soprattutto di quei giovani di cui si celebrano enfaticamente le “Giornate”».
Certo, Mancuso, dal suo studio affollato di libri, forse non vede le ormai innumerevoli realtà giovanili cattoliche che, lontano dai riflettori, stanno pian piano riempiendo il vuoto. Lui, come lo sfiduciato Parazzoli, vede solo l’«afasia della cultura cattolica », divenuta «autoreferenziale» e ormai «un albero senza fronde né frutti». Il risultato, per i due, è una «rovina, tanto più amara dopo oltre dieci anni di attività del cosiddetto Progetto Culturale voluto dal cardinal Ruini ai cui forum Parazzoli è stato attivo partecipante». Ma deluso, perché «la Chiesa non ha più modelli da proporre».
Dove si volgono, Parazzoli e Mancuso? Il primo, «rifiutando il teismo», rifiuta altresì il nichilismo, «per abbracciare invece, per quanto in modo un po’ ermetico, il panteismo», dice Mancuso. Personalmente, non so se questo sia vero, proprio perché «un po’ ermetico». Mancuso, dal canto suo, si è volto al «panenteismo» come dichiara. Sono andato a cercare su Wikipedia e ho trovato: «Il termine “panenteismo” fu coniato nel 1828 dal filosofo tedesco Karl Krause (1781–1832), che cercava di trovare un punto di equilibrio fra monoteismo e panteismo. Krause era un filosofo idealista, allievo di Schelling, Fichte ed Hegel. La sua concezione di Dio fu molto influenzata dalla Filosofia della Natura di Schelling e a sua volta influenzò i trascendentalisti come Ralph Waldo Emerson. Sempre influenzato dall’ultimo Schelling il termine panenteismo caratterizza la posizione di Max Scheler dopo il 1923, che vede in esso la possibilità di rivalutare la sacralità della natura senza rinunciare a una dimensione trascendente di Dio. Il termine compare anche in Charles Hartshorne nel suo sviluppo della teologia neoclassica e venne adottato anche da vari proponenti di movimenti New Thought». Vabbe’, contento lui.
Parazzoli afferma a un certo punto: «Le considerazioni che qui riporto si presentarono inaspettate quanto imperative nel momento e nel luogo meno adatto in cui avrebbero potuto presentarsi: la stanza di un reparto di rianimazione », dopo il risveglio dall’anestesia per un infarto. La stessa condizione esistenziale ha prodotto in molti altri l’effetto opposto: la conversione, dopo aver toccato drammaticamente con mano la fragilità della vita. Scorrendo il libro di Parazzoli vengono in mente tante obiezioni, specialmente da parte di uno che ha fatto il cammino inverso: a me la constatazione della vanità dell’esistenza ha fatto scoprire Dio. Ma l’esperienza mi insegna che mettersi a obiettare punto su punto con un fior di intellettuale produce solo contro-obiezioni, con tanto di citazioni, bibliografia e note a piè di pagina. E poi, sarei personalmente il meno adatto. Il Silenzio di Dio (che i mistici chiamano «aridità») l’ho personalmente sperimentato tante volte. E, avendo accesso – come Parazzoli – all’editoria, non ho resistito alla tentazione di divulgarlo (come feci nel libro Il Vangelo secondo me, Piemme) in un periodo in cui mi sembrava avesse raggiunto il suo acme. In realtà, era un grido rivolto a Dio stesso: poiché non rispondi, lo dico a tutti. Avessi avuto la pazienza di aspettare, la cosa si sarebbe risolta da sola.
Devo dire che, nei momenti peggiori, due cose mi hanno trattenuto dallo sbattere la porta cattolica. Una è il pensiero delle tantissime intelligenze superiori alla mia che in duemila anni hanno creduto nel Dio cristiano e specificamente cattolico. Mi ha colpito (e confermato), infatti, l’aneddoto letto sulla newsletter francese Une minute avec Marie e riguardante il grande fisico André-Marie Ampère. Il quale convertì un giovane senza accorgersene (e non se ne accorse mai). Quest’ultimo era un ragazzo di provincia venuto a Parigi a studiare matematica. Aveva un idolo: Ampère. Era già stato guastato dalle idee illuministe del tempo e un giorno entrò in una chiesa solo per vedere le opere d’arte. Qui, inginocchiato in un angolo, scorse un vecchio che recitava in silenzio il rosario. Era proprio lui, Ampère. Il ragazzo risolse, correttamente, che, se ci credeva il grande Ampère, chi era lui per dubitare? L’altra cosa è la frase smarrita di Pietro nel Vangelo: «E da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna». Talvolta, nella tempesta del dubbio, può capitare. Ti stringi alle parole di Cristo solo perché non sai dove altro sbattere. Una speranza è meglio di nessuna speranza. Ma panteismo, panenteismo… Tutto quel che ho vissuto, quel che ho visto e fatto, la mia unicità e irripetibilità, andranno perduti per sempre «come lacrime nella pioggia»? Così dice il replicante Nexus prima di morire nel Blade runner di Philip K. Dick. E ha ragione. Forse Parazzoli incuba da tanto i suoi dubbi, che Mancuso prova ad elencare: «l’eterna aporia del male, soprattutto del dolore che tocca i più piccoli», «un’immagine di Dio molto incoerente» in quanto l’Abbà, «il papà, di cui parlano Gesù e l’apostolo Paolo, non si è mai conciliato con l’immagine del Dio delle Sacre Scritture ebraiche», «l’impossibilità di accettare la cosiddetta storia della salvezza nella versione tradizionale, quella secondo cui Gesù sarebbe stato destinato da Dio fin dall’inizio alla morte di croce, un’assurdità ». E così via. Qualcuno troverà che si tratta di domande alle quali in duemila anni è stato già risposto. Ma ogni cuore umano ha il suo mistero e questo outing in età maturissima di Parazzoli merita reverente rispetto.
Tuttavia, se lui ha abbandonato il Dio cattolico, non è detto che il Dio cattolico abbia abbandonato lui. Non sarei sorpreso di ulteriori, future, sorprese.

 

 


IL TIMONE  N. 116 – ANNO XIV – Settembre/Ottobre 2012 – pag. 20 – 21

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