La sensibilità odierna si indigna per l’uso degli animali come cavie, ma tace su quello degli embrioni umani, impiegati nella produzione di farmaci e cosmetici. Una lodevole inversione di tendenza in Australia.
Tra le principali preoccupazioni che sembrano assillare l’opinione pubblica di oggi c’è quella della protezione degli animali: case produttrici di cosmetici e farmaci si premurano di farci sapere che i loro prodotti sono stati testati senza il ricorso a cavie di laboratorio o altri animali; anni fa è addirittura sorta una catena di negozi che faceva di questa scelta la propria bandiera.
Non risulta un analogo fervore per l’utilizzo, nel test o nella produzione di farmaci e cosmetici, di embrioni o di cellule staminali. A dimostrazione che i nascituri sembrano contare meno dei topi.
Qualcosa sembra però cambiare: nel maggio del 2003, Brain Harradine, senatore indipendente per la Tasmania al Parlamento Australiano, ha proposto una modifica al Therapeutic Goods Act di quella nazione, per richiedere che venga notificato in modo esplicito l’utilizzo di embrioni umani o di cellule staminali provenienti da embrioni nella creazione, produzione o test di prodotti terapeutici.
Dopo lunghe discussioni la proposta è stata approvata dal Parlamento australiano e così dal 1 luglio 2004 in Australia sarà obbligatorio riportare sui bugiardini dei farmaci, così come sulle informazioni mediche, l’impiego di embrioni. Lo scopo del senatore Harradine è di permettere una libera scelta di coscienza, senza promuovere boicottaggi o scagliare anatemi.
E’ estremamente interessante notare che la percezione e l’interpretazione delle notizie e delle conseguenze che i fatti raccontati nelle notizie producono, lungi dall’essere mediate dalla razionalità, sono al giorno d’oggi principalmente dominate dall’emotività, che sembra essere oggi la sola funzione umana applicata alla comprensione della realtà che ci circonda. Faccio una provocazione: la comunicazione pubblicitaria, che fa leva sull’istinto e l’emozione, ha finito per ubriacarci, atrofizzando la capacità di decodificare le notizie e rifletterci sopra. L’uso dell’antilingua, per dirla con Pier Giorgio Liverani, ha fatto il resto: così quando si sente parlare di esperimenti sugli embrioni o di feti utilizzati per scopi cosmetici, nessuno collega questo fatto a turpi pratiche su uomini in crescita, futuri bambini. Le reazioni si fanno invece veementi e tragiche quando dai cartelloni pubblicitari ci aggredisce l’immagine di un povero cane abbandonato dalla famiglia di disgraziati che va in vacanza. Chiarisco: non intendo difendere chi maltratta – letteralmente: tratta malamente – gli animali, ma credo che ben maggiore attenzione e sdegno andrebbe rivolta a chi uccide, per fini commerciali, creature umane viventi. La d.ssa Erica Vitale di Federvita, associazione vicina al Sindacato della Famiglie, ci ha sottolineato come sia vergognoso che uomini in crescita siano utilizzati come materie prime. C’è da augurarsi che l’iniziativa del senatore australiano sia solo la prima di un’onda che riesca a risvegliare l’opinione pubblica su questa ignobile vicenda. Il buon inizio può provenire dall’Ospedale di Tradate, sulle pareti interne del quale campeggia un poster di 3 metri per 6, che rappresenta un embrione capace di dire: “mamma ti voglio bene”.
RICORDA
“L’uomo, fin dal grembo materno, appartiene a Dio che tutto scruta e conosce, che lo forma e lo plasma con le sue mani, che lo vede mentre è ancora un piccolo embrione informe e che in lui intravede l’adulto di domani […]. Anche lì, quando è ancora nel grembo materno […] l’uomo è il termine personalissimo dell’amorosa e paterna provvidenza di Dio”
(Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n. 61)
IL TIMONE – N. 29 – ANNO VI – Gennaio 2004 – pag. 10