Nella vita affettiva si possono rimarcare diverse distinzioni. E chi vive solo emozionalmente perde la capacità di sentire. Alla lunga, poi, si priva persino del piacere.
Differenze tra emozioni e sentimenti
1. Le emozioni comportano una consapevolezza attuale del loro oggetto, che invece i sentimenti non richiedono (per esempio: la serenità quando il lavoro va bene, la contentezza perché i figli crescono o perché un certo rapporto interpersonale matura): infatti, la consapevolezza dell’oggetto da parte dei sentimenti può essere anche latente. D’altra parte, i sentimenti hanno un presupposto cognitivo più consistente rispetto a quello delle emozioni, una maggiore elaborazione della ragione, come stiamo per vedere (al n. 3).
2. L’emozione è breve, istantanea, esplosiva, viene rapidamente sostituita da quella successiva. È un contraccolpo, un’agitazione acuta, una scarica brusca, che raggiunge un picco e decade rapidamente. Invece il sentimento è più durevole e più costante (per es., come dice Kant, «ciò che l’emozione della collera non compie nell’impetuosità sua, essa non compie più e facilmente dimentica. Invece la passione [cioè, per noi, il sentimento] dell’odio prende tempo per metter radici profonde e pensare al nemico»).
3. Le emozioni sono stereotipiche, vissute in modo molto simile da tutti; i sentimenti, invece sono più individualizzati: se chiediamo a diverse persone che cosa siano la collera o l’attrazione le risposte sono piuttosto simili, ma se chiediamo loro che cosa siano l’odio e l’amore le risposte sono piuttosto diverse.
4. È vero che il soggetto esperisce se stesso sia nelle reazioni emotive sia in quelle sentimentali: io esperisco me stesso come reagente a qualcosa, cioè esperisco come io reagisco a qualcosa, cioè sia l’emozione sia il sentimento sono un sentirsi. Come dice Edith Stein, l’uomo «nel sentire non “vive” solo degli oggetti, ma anche se stesso, “vive” i sentimenti [e le emozioni, specifichiamo noi], come provenienti dalla profondità del suo io». Ma l’emozione è più periferica, più rivolta ai segnali corporei di quanto non lo sia il sentimento, è più una tempesta. Invece il sentimento è profondo e viene maggiormente elaborato dalla ragione, risulta da una sedimentazione, è un po’ come una corrente marina.
5. Se è vero che tanto le emozioni quanto i sentimenti sono rivolti verso altro dal sé, tuttavia il sentimento è più ex-statico, è rivolto più verso altro da sé che verso il sé, è più ec-centrico, più eterodiretto; invece l’emozione è più in-centrica, è più centripeta, è più un autopercepirsi egoconcentrato. È vero che anche il sentimento può avere un ripiegamento autoreferenziale; ma, per sua natura, è orientato principalmente non già al sé, bensì ad altro; ed è vero che anche l’emozione è in parte rivolta anche ad altro da sé, cioè verso ciò che la suscita, ma in misura minore.
Emozioni che precludono i sentimenti
Ovviamente, un’emozione può diventare un sentimento ad essa correlato ed un sentimento può essere il sostrato da cui scaturisce un’emozione imparentata ad esso: l’emozione della collera può trasformarsi nel sentimento dell’odio e l’emozione dell’attrazione può diventare il sentimento dell’affetto; il sentimento dell’odio può essere la sorgente dell’emozione della collera ed il sentimento dell’affetto può essere la sorgente dell’emozione dell’attrazione. E lo stesso può avvenire con emozioni come gioia e umiliazione e sentimenti correlati come contentezza e tristezza. Però, alcune emozioni atrofizzano la nostra capacità di provare sentimenti. In effetti, l’uomo contemporaneo preferisce l’emozione- shock al sentimento: «Ricerca le situazioni che danno sensazioni forti. Ha bi sogno di essere scosso da commozioni, stordito da attività isteriformi, sbalordito da impressioni inedite e potenti» (Lacroix, cfr. bibliografia). E in una «società anestetizzata occorrono stimoli sempre più forti perché si abbia il senso di esser vivi. La droga, la violenza e l’orrore diventano degli stimolanti che, in dosi sempre più potenti, riescono ancora a suscitare un’esperienza dell’io» (Ivan Illich), cioè a far sentire vivi i soggetti contemporanei. Così, se è vero che un’emozione può diventare un sentimento, per contro, le emozioni-shock atrofizzano i sentimenti: l’uomo diventa cioè incapace di vibrare per le cose semplici e naturali, come lo sguardo di un bimbo, lo stormire del vento fra gli alberi, il gorgogliare di un ruscello, il canto di un uccello, un quadro, una poesia, che lo lasciano molto spesso indifferente.
Ne emerge un quadro contraddittorio: «allo scatenamento delle emozioni corrisponde una relativa povertà dei sentimenti. La bulimia di sensazioni forti si accompagna ad un’anestesia della sensibilità [un’anestesia del sentimento diciamo noi]. Ci si emoziona molto, ma non si sa davvero più sentire» (Lacroix). In proposito, già Nietzsche diceva in modo chiaroveggente: «la nostra epoca è un’epoca di sovreccitazione, e proprio per questo non è un’epoca di passione; si surriscalda continuamente perché sente di non essere calda – nel suo fondo prova gelo». Tutt’al più, dopo che il soggetto ha esperito molte emozioni shock, subentra il sentimento della noia.
Emozioni e piacere
In particolare, chi cerca spasmodicamente emozioni connesse col piacere sensoriale si condanna progressivamente all’assuefazione, perché l’incremento del piacere sensibile non può procedere oltre un certo limite, superato il quale l’uomo, per così dire, si fulmina come il filamento di una lampadina attraversato da una corrente di tensione troppo elevata.
Questa diminuzione del piacere fino, in certi casi, all’assuefazione e/o alla sua scomparsa, è accelerata nei soggetti che rifuggono totalmente dal dolore, in quei «consumatori di anestesie» che tentano di rimuoverlo totalmente dalla propria vita. L’alternanza piacere-dolore è, infatti, necessaria per poter sperimentare diversi piaceri. Come diceva Eraclito, apprezziamo le cose positive mediante l’esperienza del loro contrario: il ristoro dopo la fatica, la sazietà dopo la fame, la salute dopo la malattia. È un po’ quello che avviene con la successione delle stagioni: apprezziamo l’estate perché viene dopo l’autunno e l’inverno e dopo la preparazione della primavera, mentre un’estate interminabile sarebbe meno gradevole. Per motivi simili, Nietzsche criticava quella che lui chiamava «religione della vita comoda» dicendo: «Ah! Quanto poco sapete voi della felicità dell’uomo […]! Giacché la felicità e l’infelicità sono due sorelle, e gemelle, che diventano grandi insieme o, come accade per voi, restano piccole insieme». Tentare di sfuggire al dolore attraverso un frenetico zapping emozionale conduce, a lungo termine, alla deprivazione emozionale, all’insensibilità o quasi.
BIBLIOGRAFIA
IL TIMONE N. 97 – ANNO XII – Novembre 2010 – pag. 30 – 31
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