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13.12.2024

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Enrico VIII: per un divorzio distrusse una Chiesa
31 Gennaio 2014

Enrico VIII: per un divorzio distrusse una Chiesa

 



Il ritratto di un’epoca segnata dal tradimento di un Re, che antepose a tutto la sua volontà e condusse l’Inghilterra alla rottura con Roma. L’origine e il consolidamento dell’anglicanesimo. Che ora si sta sfaldando…

Ogni valanga inizia da un sassolino. Allo stesso modo lo scisma anglicano scaturì dalla volontà di un solo individuo: Enrico VIII, re d’Inghilterra dal 1509 al 1547, il quale difficilmente avrebbe potuto intuire la portata della sua decisione.
Ereditato il trono a diciotto anni, il giovane re si distinse subito tra gli altri sovrani europei quanto a prestanza fisica, cultura, generosità e anche fervore religioso. Al punto che, quando scoppiò la bomba di Lutero, egli volle gettarsi personalmente nella mischia con un libro in favore dei sette sacramenti e della supremazia papale. Tanto che papa Leone X (1475-1521) si vide costretto a conferirgli il titolo onorifico di Defensor fidei.
Enrico era felicemente sposato con una delle donne più nobili, colte e pie d’Europa, Caterina d’Aragona (1485-1536); per problemi (forse) di incompatibilità genetica, però, tutti i loro figli erano morti nel giro di pochi giorni. Era sopravvissuta soltanto una bambina, Mary (1516-1558). Il desiderio di avere un erede maschio legittimo divenne preponderante quando Enrico si innamorò di una dama della regina, la famosa Anna Bolena (1507-1536), che rifiutò il ruolo di concubina ma accettò quello di eventuale regina. Quando Enrico minacciò papa Clemente VII (1478-1534) di uno scisma se non avesse reso nullo il primo matrimonio, il Paese rimase con il fiato sospeso. Caterina, infatti, non era solo regina legittima da quasi vent’anni; era anche molto amata dal popolo e, non ultimo, incarnava la tradizionale alleanza con l’impero asburgico (Carlo V, 1500-1538, era figlio di sua sorella). La questione si fece intricata e quello che avrebbe dovuto essere un divorzio-lampo si trascinò per anni fino a giungere a uno stallo. Tra i consiglieri del re, nessuno sapeva che pesci pigliare; nessuno, naturalmente, tranne i pochi criptoprotestanti che si erano insinuati al suo fianco. Furono loro a intuire l’importanza di quello screzio tra il re e la Santa Sede; loro ad approfittarne per i propri fini.
Due i fondamentali artefici dello scisma e del “divorzio”: Thomas Cromwell (1485- 1540), un politico abilissimo e senza scrupoli, e Thomas Cranmer (1489-1556), un “sacerdote-luterano” al servizio di Anna. Oltre, naturalmente, ad Anna stessa, che pare nutrisse un astio personale per gli ordini religiosi. Senza rivelare le proprie inclinazioni personali, essi finsero di avere come obiettivo esclusivo la felicità del sovrano e il bene del Paese. Enrico accettò di buon grado di lasciarsi condurre fuori dall’ovile di Roma pur di soddisfare il suo capriccio; tanto più che Cromwell gli promise il bene aggiunto di enormi ricchezze se gli avesse lasciato mano libera.
Il piano si articolò essenzialmente in tre mosse: primo, fare in modo che il Papa riconoscesse la nomina di Cranmer alla cattedra di Canterbury; Cranmer avrebbe poi reso nullo il matrimonio aragonese e valido quello (segreto) con Anna, semplicemente ignorando il pronunciamento papale in materia. Secondo, ben più importante, approfittare del conflitto che ne sarebbe scaturito per staccare l’Inghilterra da Roma attraverso un atto del Parlamento che riconoscesse il re come capo supremo della Chiesa anglicana. Terzo, passare al saccheggio dei beni ecclesiastici a partire dai monasteri; creare poi, vendendone le terre, una nuova aristocrazia terriera che rimanesse fedele al nuovo ordine per interesse.
Il piano riuscì perfettamente grazie all’estrema duttilità, e anche viltà, dei nobili e dell’alto clero, che non vollero riconoscere la gravità della situazione e continuarono a sperare che lo scisma fosse solo temporaneo. Le mirabili eccezioni di coloro che accettarono il martirio sono note a tutti: san John Fisher (1469-1535), san Thomas More (1478-1535), numerosi monaci e frati, soprattutto francescani, certosini, brigidini. Tra i nobili il posto d’onore spetta a una donna, l’anziana Margaret Pole, contessa di Salisbury (1473-1541).
Anche il popolo era fortemente legato all’antica fede e lo dimostrò in una delle ribellioni più efficaci, partecipate e meno sanguinose della storia, il “Pellegrinaggio di grazia”, in cui almeno sessantamila uomini marciarono dal Nord verso Londra. La ribellione fu sedata soltanto con l’inganno; la repressione fu spaventosa e servì a tener buono il resto della popolazione. Più che come nuova chiesa protestante, dunque, l’anglicanesimo si caratterizzò da subito come religione di Stato. Suo requisito fondamentale, che i sudditi demandassero ogni questione inerente la salvezza o la perdizione eterna al sovrano e al Parlamento. Unico tratto caratteristico, nel periodo enriciano, fu l’antipapismo, giacché il re in persona difese a spada tratta la presenza reale di Cristo nelle Specie eucaristiche, il celibato ecclesiastico e la liturgia in latino. Semplicemente, con il suo scisma egli si era autonominato collega del Papa e aveva distrutto tutti i monasteri, spesso condannandone a morte gli abati.
Il protestantesimo subentrò a quella forma ibrida, come molti sanno, solo alla morte di Enrico VIII, sotto Edoardo VI (1537- 1553) e poi, notoriamente, dopo la parentesi di Maria la cattolica, sotto Elisabetta I (1533-1603). Diversamente da come aveva pensato Enrico, una via di mezzo in quel tempo non esisteva: una volta reciso il legame con Roma, l’unica alleanza possibile, politica e religiosa, era con i protestanti. Anche se Enrico aveva continuato a mandarli al rogo come eretici. Il protestantesimo britannico fu dunque sempre molto a sé stante, anche perché si trattò di una scelta secondaria. Quella primaria fu l’obbedienza assoluta al sovrano, in campo spirituale come temporale. Fu la nascita del totalitarismo europeo, con tanto di culto della personalità. Non per nulla fu mantenuta la gerarchia episcopale: vescovi e diaconi si rivelarono utilissimi strumenti governativi nell’addomesticare il popolo e nello scongiurare le ribellioni che erano sempre alle porte, nonostante la tremenda repressione e l’efferatezza delle esecuzioni. In un simile clima, i protestanti “estremi”, quelli che, come i cattolici, sostenevano che la coscienza fosse più importante del volere del sovrano, furono perseguitati. Non quanto i “papisti”, ovviamente, i quali, essendo rimasti fedeli alla potenza “straniera” dell’“anticristo”, erano essenzialmente nemici politici.
Il popolo, in tutto questo, fu lentamente ridotto all’impotenza, attraverso una propaganda anticattolica capillare, multe sempre più salate e persecuzioni durissime per coloro che si astenevano dai servizi di Stato, i “ricusanti”. Oltre a tenere molto, a tutt’oggi, alle loro tradizioni, gli inglesi erano sempre stati il popolo nordeuropeo più fedele a Roma. Anche per questo lo Stato volle mantenere una parvenza di somiglianza con la tradizione cattolica.
I tradizionalisti inglesi, dunque, strappati con la forza a quella che era la vera “tradizione” (dal latino trado, tramando) e dal magistero della Chiesa, dovettero accontentarsi della fioca imitazione che veniva loro imposta dall’alto. Neanche a dirlo, non sono mai stati veramente uniti. Già nel Seicento, l’“Alta Chiesa” (High Church) si distinse come l’ala più conservatrice ma anche come la più fedele al sovrano. Soppressa dai puritani nel 1649, riaffiorò con la restaurazione del 1660 per ripiombare nel sottosuolo con la cosiddetta “gloriosa rivoluzione” nel 1689. Fu rivalutata soprattutto nell’Ottocento con il famoso “movimento di Oxford” fondato dal beato John Henry Newman (1801-1890), al quale bastò sganciarsi dal pregiudizio numero uno, il postulato antipapale, per comprendere che la vera tradizione era quella cattolica. È vero, dunque, che la “chiesa” anglicana è e rimane protestante per ispirazione: per dirne una, la loro “cena del Signore” non è nemmeno paragonabile al sacramento eucaristico. Recentemente, però, uno dei suoi pilastri fondamentali, il Libro della preghiera comune, redatto da Cranmer, è stato messo in disparte. È vero, l’altro pilastro, quello dei protestanti (elisabettiani), i “Trentanove articoli”, rimane. Certamente, però, il potere spirituale dei sovrani è venuto meno e, di fatto, molti anglicani tornano volentieri all’ovile di Roma alla ricerca di una guida sicura nella bufera di cambiamenti che li sta travolgendo. Senza contare che, in teoria, un decreto parlamentare basterebbe a cambiare le carte in tavola.


Per saperne di più…

Eamon Duffy, The Stripping of the Altars, Yale University Press, 1992.
Edward Norman, Anglican difficulties: a new syllabus of errors, London, Morehouse 2004. Elisabetta Sala, “L’ira del re è morte”: Enrico VIII e lo scisma che divise il mondo, Ares, 2008.
Elisabetta Sala, Elisabetta “La Sanguinaria”, Ares, 2010.

 

 

 

 

 

IL TIMONE n. 110 – Anno XIV – Febbraio 2012 – pag. 26 – 27
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