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14.12.2024

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Esiste una letteratura ‘secondo verità ‘?
31 Gennaio 2014

Esiste una letteratura ‘secondo verità ‘?

 

 

Ciò che è avvenuto negli ultimi due decenni è paragonabile a un fatto: a un mattino nel quale ci si svegli e, orribile meraviglia, guardando fuori dalla finestra si vedesse che il Monte Rosa, laggiù in fondo, è scomparso, non c’è più. La Condizione attuale della letteratura nella civiltà occidentale è infatti simile alla sparizione di una montagna, la frana immensa di una gigantesca montagna che lasci al proprio posto un enorme spazio vuoto. O stracolmo di volumi, di romanzi, di saggi illeggibili. Questa la situazione accertabile, senza falsi pudori, nei tre luoghi istituzionali della letteratura: nella scuola (come insegnamento e primo assaggio), all’università (come ricerca e perfezionamento), nell’editoria (come selezione e diffusione). I professori ondeggiano tra severità insensate e sconforti senza senso, i letterati sono oramai figure anacronistiche e pedanti, gli editori perseguono da decenni una strategia di mercato violenta e sciagurata.
Ma in tale quadro secentista a tinte fosche, mancano ancora i veri protagonisti, coloro che come gemelli siamesi non possono esistere l’uno senza l’altro: gli autori e i lettori. È vero, non si legge più e non c’è più tempo per leggere: dunque bisogna concludere, di necessità, che la letteratura ai giorni nostri sia come morta. È un’affermazione eccessiva? Vediamo.
Primo, si è dissolta perché l’ambiente degli autori sarebbe la realtà, lo stare immersi nelle cose: e invece li troviamo seduti a tavolino (non dissimili dagli agenti pubblicitari); secondo, è inaridita perché ai lettori si addice la tranquilla dimora, l’attenzione, la riflessione: e invece eccoli lì a non concedersi neanche un attimo di tregua tra l’impegno del lavoro e del divertimento/sport e del weekend. La nuova generazione engagée, cioè “impegnata”, aderisce a un’ideologia che sta tutta nell’impegno di essere impegnatissimi: tra lavoro e vacanze, l’uomo occidentale medio non ha altro tempo, dunque non esiste più.
Terzo, la letteratura langue perché la scuola non introduce alla realtà.
Qualche genitore timidamente si lamenta dei libri di lettura scolastica che da anni vengono assegnati agli studenti: ma è uno sterile borbottio che non lascia tracce, non si ha tempo di proseguire nell’intento. E così, il fenomeno dei docenti che impongono letture inutili o dannose continua a suonare, campanello d’allarme; non se ne fa nulla, purtroppo, in osservanza alla legale libertà d’insegnamento male interpretata. Oggi vaghiamo nel deserto. La letteratura “ufficiale” è finita circa vent’anni fa, più o meno tra la pubblicazione de Il nome della rosa (1980) di Umberto Eco e la morte imprevista di Italo Calvino (1985): da allora, i libri “ufficiali” sono grossomodo carta impregnata d’inchiostro e rilegata elegantemente. Gli autori non sanno perché scrivere, e lo fanno per inerzia e mestiere. I testi si acquistano, a peso, in ricorrenze comandate, feste e vacanze, affinché ci aiutino a non pensare.
Ma esiste anche una “letteratura secondo verità” che sgorga nascosta da fonti poco conosciute e disseta centinaia di lettori: è composta di antichi autori riletti con occhi nuovi e di nuovi autori che leggono con cuore antico. Per far sì che questa letteratura segreta affiori alla vista del grande pubblico occorre ripartire dalle fondamenta, ricostruire il tessuto culturale di almeno tre generazioni di italiani che si avviano a diventare europei; tenendo presente un’accortezza: rinunciamo a stabilire un canone delle opere da leggere” assolutamente”. Poiché ciò che conta in una persona è il giudizio ovvero il gusto. Ed è il gusto che crea una letteratura, non viceversa.

Post-marxismo e dialogo coi classici
Del resto, una letteratura non è un’antologia di testi né una raccolta di libri sopra uno scaffale: è composta da uomini che incarnano determinate idee, nel tempo, fecondando una società, la cui traccia scritta costituisce” le lettere”.
Nella scuola contemporanea però domina ancora, benché fiaccato da gli avvenimenti, l’atteggiamento post-marxista nei confronti dell’opera d’arte. Esso si caratterizza per una forte attenzione didattica alle opere false e per una noncuranza verso le opere autentiche. Allora, come uscire dal circolo vizioso?
Mediante l’autocritica. Facendo epoché (cioè mettendo tra parentesi) il proprio eventuale nichilismo, per lasciare la parola alle opere dei poeti: così anche i sedimenti e le scorie verranno decantati. Le analisi marxiane, freudiane, strutturaliste si sono mostrate inadeguate a comprendere il mistero dell’arte poetica: lasciamole perdere. È vero, chiedere a un docente di gettare a mare la propria strumentazione teorica perché obsoleta, è come amputargli parte della sua storia intellettuale; ma in cambio, per chi abbandona un metodo sbagliato in pro di una nuova libertà, c’è il piacere di ritrovare un giusto sentiero: l’ingresso in un mondo d’aria respirabile. Una scuola nuova.
Franco Fortini, ne Le rose dell’abisso (Bollati Boringhieri, 2000), spinse sino all’orlo questa autocritica, lui intellettuale marxista: e i suoi dialoghi coi classici aprono nuove vie ai colleghi insoddisfatti del vicolo cieco della cultura letteraria recente. Notevole la lettura del Canto XIV del Paradiso di Dante (p.33), nella quale il desiderio della cristiana resurrezione dei corpi diviene il fulcro del poema come viaggio dentro il cuore umano.

La poetica del desiderio
Dunque, a formare il gusto di una tradizione concorrono i maestri: e mastro, in età medioevale, era colui che conosceva “con maestria” la propria arte. Oggi gli insegnanti possono ricominciare a sentirsi artigiani, malgrado e nonostante l’incuria in cui versa la scuola, che è e resta l’ambito decisivo nel quale avviene il dialogo coi classici; classico significa appunto “testo che viene letto in classe”.
Luigi Giussani, ne Le mie letture (Bur, 1996) compie l’operazione della rilettura con occhi nuovi di alcuni testi che, catalogati come classici, apparirebbero magari già sentiti: Leopardi, Pascoli, Rebora, Ada Negri, Péguy, Claudel, Eliot e Milosz. Toccante è l’interpretazione della lirica leopardiana quale luogo espressivo del desiderio più profondo: l’infinito, il bello.
“Perché la realtà, dice Leopardi, fa sognare l’uomo, lo esalta, nel senso latino della parola, prende l’uomo e lo estrae in tutta la sua statura. A contatto con la realtà, l’uomo, che è come accovacciato e dormiente, si tira su” (p.15).
Questo risveglio è anche l’auspicio per una scuola in cui gli insegnanti di lettere sapessero cambiare direzione culturale e anelare alle sorgenti della “letteratura secondo verità”: sarebbe immediatamente una scuola rinnovata. Si vedrebbe sul viso degli studenti il sentimento che ciò che il loro cuore ricerca non solo esiste, ma li attende.

RICORDA
“A volte mi succede di paragonare i miei scritti agli archi romani, opere tutto considerato piuttosto singolari, consistenti in due sole colonne che in alto si fondono tra loro: le mie due colonne sono – o almeno io cerco che siano – la verità e la bellezza. Una delle soddisfazioni maggiori, nello scrivere, la provo quando riesco ad afferrare la verità e a renderla compiutamente, con forza. Per presentarla agli altri, però, è indispensabile anche la bellezza: ogni pagina deve incantare, affascinare”.
(Eugenio Corti, in Paola Scaglione, Parole scolpite. I giorni e l’opera di Eugenio Corti, Ares, Milano 2002, p.52).


IL TIMONE N. 27 – ANNO V – Settembre/Ottobre 2003 – pag. 46 – 47

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