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13.12.2024

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Esser santi
31 Gennaio 2014

Esser santi

Una lunga serie di catechesi di Benedetto XVI sui santi e la santità. Il legame con il fervore e l’apostolato. La santità nella storia dell’evangelizzazione. L’esempio di Giovanni Paolo II


Papa Benedetto XVI ha trattato nel corso delle Udienze generali degli ultimi due anni il tema della santità, presentando figure di santi delle diverse epoche della storia della Chiesa e concludendo il ciclo con una Udienza, il 13 aprile, espressamente dedicata alla santità in generale.
Che cosa è la santità innanzitutto? Benedetto XVI risponde con molta semplicità, ricordando la Lumen gentium: «Qual è l’anima della santità? […] il Concilio Vaticano II precisa; ci dice che la santità cristiana non è altro che la carità pienamente vissuta. “Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (1Gv 4,16)».
Il Papa ricorda anche con molta forza che la santità non riguarda soltanto alcune categorie di cristiani, un luogo comune molto diffuso anche per la mancanza di una adeguata teologia del laicato, il cui rilancio è favorito dai movimenti cattolici dell’Ottocento e soprattutto dal Magistero del ven. Pio XII (1939-1958). La santità è l’impegno di ogni battezzato. Essa – ha detto Benedetto XVI nella stessa Udienza –, è «la pienezza della vita cristiana» e «non consiste nel compiere imprese straordinarie, ma nell’unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti. La misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua».
La santità è la vera risposta a ogni crisi della Chiesa ed è la causa necessaria di ogni trasformazione della società. Questo insegnamento è costante nel Magistero di tutti i pontefici: ci si può appellare alla verità, alla Fede o alla carità, privilegiando in tempi diversi l’una o l’altra delle virtù fondamentali del cristianesimo, ma in fondo chi converte è il Signore attraverso la santità degli uomini e delle donne di ogni epoca. Sono stati soprattutto i martiri i primi evangelizzatori durante l’epoca delle persecuzioni (I-III secolo), così come i monaci, i Padri greci e latini nonché le famiglie cristiane che hanno portato il Vangelo nel cuore della società durante la lunga prima evangelizzazione che ha costruito la cristianità occidentale e quella bizantina: fra questi molti sono stati canonizzati. E poi ancora i santi hanno difeso la Fede e hanno dato vita a una nuova stagione missionaria di fronte alle grandi crisi della Riforma e della Rivoluzione, nel XVI e nel XIX secolo: pensiamo, fra i tanti, a Ignazio di Loyola (1491-1556), Teresa di Gesù (1515-1582), Giovanni della Croce (1542-1591), oppure ai “santi sociali” del Piemonte nell’Ottocento, soltanto per fare qualche esempio. Così come nel secolo scorso i santi martiri delle Chiese del silenzio nei Paesi comunisti, della guerra di Spagna (1936-1939) e ancor prima della persecuzione in Messico che originò l’insurrezione dei cattolici, la cristiada (1926-1929), senza dimenticare le immani tragedie dei popoli asiatici, dove anche i cattolici hanno potuto dare il contributo del loro sangue, in Cina, Vietnam, Laos, Cambogia. Così, sarà la santità a fare effettivamente cominciare la “nuova evangelizzazione”, al di là di programmi pastorali peraltro utili.

Santità, fervore ed evangelizzazione
La santità è un dono che dipende anche dal nostro desiderio, ma non dalle nostre azioni, nel senso che non diventiamo santi perché facciamo una cosa piuttosto che un’altra: «(…) una vita santa non è frutto principalmente del nostro sforzo, delle nostre azioni, perché è Dio, il tre volte Santo (cfr Is 6,3), che ci rende santi, è l’azione dello Spirito Santo che ci anima dal di dentro, è la vita stessa di Cristo Risorto che ci è comunicata e che ci trasforma», scrive Benedetto XVI, nelle stessa Udienza del 13 aprile 2011.
La santità è qualcosa di avvolto nel mistero dell’azione di Dio, che noi possiamo soltanto accogliere e constatare, come quando santa Faustina Kowalska (1905-1938), in preda a dubbi e tentazioni di scoraggiamento, si sentiva rispondere dalla superiora del convento dove risiedeva, in Polonia, che il Signore la chiamava alle grandi vette della santità: una povera suora, ignorante e di poca salute, avrebbe diffuso nel mondo la devozione per la salvezza della nostra epoca, la Divina Misericordia.
Tuttavia la santità ha uno stretto legame con il fervore. Anche quest’ultimo, in sostanza, non dipende dalla nostra azione, però può essere alimentato. Anche su questo punto il Magistero ha detto qualcosa di importante, in particolare analizzando il legame fra il fervore e l’evangelizzazione. Se, come ricordavo, la nuova evangelizzazione comincerà a dare frutti nella misura in cui troverà dei santi come protagonisti, è bene indagare il legame esistente fra il fervore e l’evangelizzazione.
Anzitutto liberandosi dagli alibi che spesso circolano negli ambienti cattolici circa il dovere di evangelizzare. Non saranno certamente le parole a evangelizzare, soprattutto se gridate e usate per affermare prepotentemente un’opinione, così come ha malamente insegnato lo spirito dialettico e polemico dell’epoca delle ideologie. Ma non sarà neppure il silenzio. Scriveva a questo proposito Paolo VI in quell’autentico manuale di evangelizzazione del 1975 che è l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi: «gli uomini potranno salvarsi anche per altri sentieri, grazie alla misericordia di Dio, benché noi non annunziamo loro il Vangelo; ma potremo noi salvarci se, per negligenza, per paura, per vergogna – ciò che S. Paolo chiamava “arrossire del Vangelo” – o in conseguenza di idee false, trascuriamo di annunziarlo?».

L’esempio di Giovanni Paolo II
La santità, in fondo, è la vera soluzione ai problemi della Chiesa, come dimostra la figura del beato Giovanni Paolo II. Un gigante, certamente, anche da un punto di vista umano, capace di riportare il cristianesimo al centro della scena del mondo e della speranza degli uomini, che l’ideologia marxista e quella progressista avevano occupato. Capace anche, come ha ricordato Benedetto XVI nell’omelia della beatificazione, di restituire ai cristiani la fierezza di appartenere alla Chiesa e di proclamare anche pubblicamente il Vangelo. Ma il segreto di tutta questa opera straordinaria compiuta in un’epoca di profonda crisi della Chiesa sta appunto nella sua santità e, se vogliamo seguire ancora le parole del suo successore, nella sua imitatio Mariae, modello di ogni santità.

Ricorda

«Karol Wojtyła salì al soglio di Pietro portando con sé la sua profonda riflessione sul confronto tra il marxismo e il cristianesimo, incentrato sull’uomo. Il suo messaggio è stato questo: l’uomo è la via della Chiesa, e Cristo è la via dell’uomo. Con questo messaggio, che è la grande eredità del Concilio Vaticano II e del suo “timoniere” il Servo di Dio Papa Paolo VI, Giovanni Paolo II ha guidato il Popolo di Dio a varcare la soglia del Terzo Millennio, che proprio grazie a Cristo egli ha potuto chiamare “soglia della speranza”. Sì, attraverso il lungo cammino di preparazione al Grande Giubileo, egli ha dato al Cristianesimo un rinnovato orientamento al futuro, il futuro di Dio, trascendente rispetto alla storia, ma che pure incide sulla storia. Quella carica di speranza che era stata ceduta in qualche modo al marxismo e all’ideologia del progresso, egli l’ha legittimamente rivendicata al Cristianesimo, restituendole la fisionomia autentica della speranza, da vivere nella storia con uno spirito di “avvento”, in un’esistenza personale e comunitaria orientata a Cristo, pienezza dell’uomo e compimento delle sue attese di giustizia e di pace». (Benedetto XVI, Omelia per la beatificazione di Giovanni Paolo II, 1 maggio 2011).

IL TIMONE N. 104 – ANNO XIII – Giugno 2011 – pag. 58 – 59

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