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Essere donna: tra femminismo e realismo
31 Gennaio 2014

Essere donna: tra femminismo e realismo

 

 

 

 
Il femminismo, rifrazione del filone culturale dominante della modernità, nega l’esistenza di una natura delle cose e pretende che la donna sia una possibilità infinita, che può essere tutto senza dovere essere nulla.

 
 
 
 

Nel linguaggio corrente la parola «femminismo» indica sia il movimento di emancipazione giuridico e politico delle donne sviluppatosi dalla fine del '700 ad oggi, sia la riflessione sulla natura e la condizione della donna in se stessa e nella storia. Questi due aspetti distinguibili sul piano concettuale, nei fatti si intrecciati tra loro e contemporaneamente hanno interagito con il contesto storico concomitante.
La nascita del movimento femminista viene fa genere risalire alla «dichiarazione» dei diritti delle donne di Elisabeth Cady Stanton (1815-1902) 1848, ma le tesi del femminismo liberale e egualitario iniziano a diffondersi con Mary Wollstone (1759-1797).
Nel 1792 Mary Wollstonecraft pubblica a Londra Vindication of the Rights of Woman. L'opera riflette una presa di posizione all'interno dell'infuocato battito sulla Rivoluzione francese, dibattito animato tra gli altri, nel 1790 da Edmund Burke con Riflessioni sulla rivoluzione francese, in cui i principi rivoluzionari sono giudicati contrari all'ordine naturale cristiano, e da Thomas Paine, con I diritti dell’uomo del 1791, che, al contrario, difende quegli stessi principi.
Mary Wollstonecraft, favorevole alla Rivoluzione francese, rivendica l'eguaglianza tra uomini e donne e riconduce l'oppressione femminile a una cultura che giustifica l'inferiorità della donna ritenendola espressione del rapporto voluto da Dio tra i sessi.
La corrente femminista liberale si affermerà negli ultimi decenni dell'Ottocento e nel primo ventennio del Novecento raggiungendo quasi tutti gli obiettivi giuridici e politici che si proponeva.
Una seconda ondata femminista si diffonde nell'ambito del pensiero socialista. La tesi di fondo di sta corrente è che le conquiste legali di eguagli non cambiano la condizione di subordinazione le donne agli uomini, così come l'eguaglianza I tra proletari e capitalisti non muta la subordinazione dei proletari ai capitalisti. Perché la situazione cambi è necessaria una rivoluzione socialista che trasformi le condizioni materiali di vita liberando dalla subordinazione i proletari e le donne. Nel 1884 Friedrich Engels in un saggio su L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato sviluppa organicamente queste tesi argomentando che la schiavitù della donna inizia con l'istituzione della fa monogamica fondata sulla proprietà privata, tata dal maschio capofamiglia sui suoi beni (tra cui anche la moglie), e terminerà con la fine della proprietà privata.
Dalla fine degli anni '20 agli anni '60 del Novecento non c'è un pensiero femminista organizzato.
Sarà la riflessione dì due pensatrici, Virginia Woolf (18821941) e Simone De Beauvoir (1908-1986) a mettere in discussione il valore dell'obiettivo perseguito dal femminismo liberale e socialista, cioè l'eguaglianza radicale con l'uomo. Secondo Virginia Woolf, che vive nel periodo dei totalitarismi e morirà suicida, le donne devono passare dalla rivendicazione della parità dei diritti alla rivendicazione della differenza del proprio sistema di valori, perché i valori degli uomini si sono rivelati fallimentari. Simone De Beauvoir, nell'opera Il secondo sesso, apparsa nel 1949, colloca la questione femminile in una prospettiva esistenzialista che condivide con Jean Pau I Sartre a cui è legata affettivamente: se ogni essere umano è libertà assoluta e può scegliere il progetto su di sé, allora la donna da una parte è vittima della volontà dominatrice dell'uomo, dall'altra è complice perché ha accettato questa condizione. La liberazione può essere raggiunta solo parzialmente in maniera individuale, e totalmente con una lotta collettiva che porti a una ridefinizione dei rapporti tra uomo e donna.
Negli anni Sessanta si presenta la seconda ondata del femminismo il cui il filone principale è il «femminismo radicale», quello cioè che si propone di andare alle «radici» del predominio maschile.
Secondo questo pensiero, alle radici della subordinazione della donna non c'è lo sfruttamento economico o l'esclusione dai diritti civili, ma la subordinazione sessuale e riproduttiva, cioè la traduzione della differenza sessuale e riproduttiva in differenza sociale e culturale impone alle donne un ruolo subordinato: il sesso-ruolo biologico della donna determina il suo genere-ruolo sociale e culturale. La proposta del femminismo radicale è di rompere la servitù sessuale delle donne con strumenti diversi che vanno dall'incremento dei mezzi di contraccezione alla legalizzazione dell'aborto assistito, al rifiuto dell'eterosessualità come forma unica di rapporto sessuale normale, non deviante.
Tra gli esiti ultimi del variegato panorama del pensiero femminista degli ultimi anni si trova anche il concetto introdotto da Rosi Braidotti (Il sesso nomade, 1995) del carattere non naturale, ma variabile, del corpo e della sessualità.
Fatta salva la legittimità di ogni rivendicazione volta a ripristinare una situazione di giustizia là dove sia venuta meno, bisogna osservare che il pensiero femminista, con l'atteggiamento di antagonismo e la logica competitiva nei confronti dell'uomo che lo caratterizza, non può essere spiegato come semplice ricerca di giustizia nei rapporti tra i sessi.
Un'interpretazione convincente del femminismo è quella proposta da Emanuele Samek Lodovici nel saggio Un modello gnostico per il femminismo. La gnosi moderna ricalca i caratteri della gnosi antica, adattandoli alla prospettiva secolarizzata di un mondo che si è separato dalla religione. Essa nega valore alla realtà presente non per pervenire a una perfezione trascendente, ma in nome di un futuro assolutamente nuovo, un mondo perfetto e gratificante, scelto e costruito dall'uomo.
Come gli antichi gnostici ritenevano che la differenza e la specificità, così come il bene il male, fossero entrati nel mondo a causa delle leggi umane, ma che in verità non ci sia nulla di cattivo per natura a motivo di una sostanziale e originaria eguaglianza di fondo, analogamente il femminismo porta l'eguaglianza uomo/donna «sino alle sue estreme conseguenze, sino al punto cioè di negare l'esistenza di una natura non solo in generale, ma di una natura specifica differenziante la donna dall'uomo».
Il femminismo si rivela un'espressione del filone culturale dominante nella modernità che promette all'uomo la libertà assoluta, libertà che ha come inevitabile punto d'arrivo il rifiuto della natura data. L'essenza della donna intesa come possibilità infinita diventa una soggettività che può essere tutto senza dover essere nulla, un io a cui tutto è dovuto e nulla deve, un io che si è fatto Dio.

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«Con la tesi che la donna non ha una natura data, un legame al mondo della vita prima di tutto biologico, poi culturale, poi sociale, si comincia con l'attaccare il trasmettitore per eccellenza della tradizione. Si colpisce colei che è per essenza educatrice e che fa come da collo di bottiglia attraverso cui passano le generazioni, e colpendola si distrugge il futuro tessuto sociale, perché una donna, che non sarà più legata ad alcun destino, trasmetterà da quel momento solo la volontà del proprio io di essere il centro di tutto».
(Emanuele Samek Lodovici, Metamorfosi della gnosi, Ares 19912, p. 170-171).

Bibliografia

Emanuele Samek Lodovici, Metamorfosi della gnosi, Ares 19912, specialmente pp. 158-171.
Franco Restaino – Giovanni Fornero, Femminismo e filosofia: storia e teoria del pensiero femminista, in Giovanni Fornero (a cura di), Protagonisti e testi della filosofia, voI. D, tomo 2, Paravia-Bruno Mondadori, varie edizioni.
Paola Binetti – Antonio Ruiz, Il neofemminismo, voI. 1, Dalla parità alla differenza, Edizioni Romane di Cultura, 1991.

IL TIMONE – N. 42 – ANNO VII – Aprile 2005 – pag. 30 – 31

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