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14.12.2024

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Fabrice Hadjadj: riflessione sulla ‘verità ‘
31 Gennaio 2014

Fabrice Hadjadj: riflessione sulla ‘verità ‘

 

Per questo filosofo francese, ateo e anarchico prima della conversione, ci sono delle condizioni che fanno emergere la verità: l’incarnazione, la prova, il dramma, la comunione dei volti

 

Fabrice Hadjadj, filosofo francese di origine ebraica, ateo e anarchico fino alla conversione al cristianesimo, autore di una dozzina di volumi alcuni dei quali tradotti in italiano (Mistica della carne. La profondità dei sessi, Medusa 2009; Farcela con la morte. Anti-metodo per vivere, Cittadella 2009; La fede dei demoni, Marietti 2010; La terra strada del cielo. Manuale dell’avventuriero dell’esistenza, Lindau 2010), ha raggiunto la notorietà in Italia soprattutto con il Meeting di Rimini del 2010, durante il quale ha presentato il libro di don Luigi Giussani L’io rinasce in un incontro.
Qualche mese prima, il 4 giugno, Hadjadj aveva partecipato con Fabrice Midal, anch’egli filosofo francese di origine ebraica e docente di meditazione buddhista, a una controversia pubblica (una quaestio disputata) sul tema della verità, organizzata dal Centre théologique universitarie di Rouen e svoltasi nella suggestiva cornice della Cattedrale della città.
La disputa «mette di fronte a due possibili esiti, opposti, della lunga stagione del post ’68 francese: da un lato un pensatore buddhista che ritrova la mistica dell’Oriente al termine della decostruzione nichilista, nietzschiana e heideggeriana, della soggettività; dall’altro un ateo che riscopre, mediante la conversione al cristianesimo, il rilievo dell’io, della relazione intersoggettiva, del realismo come incarnazione» (Massimo Borghesi, Università di Perugia).
Al percorso che, passando per la decostruzione del soggetto, perviene alla fuga dal sé e dal mondo, Hadjadj oppone la via del realismo ebraico-cristiano; questa via è quella segnata da Martin Buber (1878- 1965), da Franz Rosenzweig (1886-1929), da Emmanuel Lévinas (1905-1995) e, soprattutto, dal grande teologo e pensatore di Lucerna Hans Urs von Balthasar (1910- 1998).
Diversamente da una certa tradizione che ha ridotto l’indagine sulla verità alla dimostrazione che la verità esiste, considerando concluso il proprio compito con tale dimostrazione, Hadjadj preferisce illustrare le condizioni di possibilità della domanda sulla verità perchè essa «si ponga con vigore», condizioni entro le quali, contemporaneamente, la verità prende forma; tali condizioni sono: l’incarnazione, la prova, il dramma, la comunione dei volti.

Incarnazione, nel lessico di Hadjadj, significa che la verità non si scopre inizialmente nei libri, ma nell’incontro con la bellezza: l’alunno con la testa tra le nuvole che chiacchiera e sonnecchia non è un superficiale disinteressato alla questione della verità, piuttosto in lui la domanda «che cos’è la verità» non risuona quando è posta in astratto, ma solo quando diventa coivolgente quanto la domanda: «Chi è quella bella ragazza di seconda con il piercing alla narice destra?»; per questo alunno, paradigma di ogni uomo, bisognerebbe che, ultimamente, la verità fosse viva, di carne, addirittura fosse una Persona, attraente almeno quanto la ragazza graziosa, per suscitare il suo interesse appassionato.

La seconda condizione entro cui la riflessione sulla verità prende forma è la prova; la verità è luce, ma la luce non illumina solo il mondo, contemporaneamente essa smaschera l’uomo puntando i riflettori sui lati oscuri del suo cuore e della sua coscienza; perciò Sant’Agostino diceva: «Gli uomini amano la verità allorchè si rivela, e la odiano allorchè li rivela».
La verità mette perciò alla prova il cuore dell’uomo, sottoponendolo alla rivelazione della sua miseria.

In terzo luogo la domanda sulla verità si pone in modo serio solo quando la persona diventa consapevole di essere protagonista di un dramma. Nell’esistenza di ciascun uomo, infatti, si scontrano la tensione verso la felicità totale e la certezza di dover morire, di modo che l’inesauribile desiderio di gioia cozza contro l’inevitabilità della propria morte. Da questa condizione drammatica non si può uscire né rinunciando alla felicità, perchè vorrebbe dire frustrare l’anelito strutturale dell’essere umano, nè occultando la verità circa la realtà della morte; la verità, infatti, non può essere separata dalla beatitudine, né può essere ottenuta censurando la morte che, a ben vedere, genera angoscia proprio a causa della meraviglia e della bellezza della vita. In questa situazione, quello che occorrerebbe «è qualcosa che assuma pienamente la morte nella vita, qualcosa come una resurrezione ». Solo se la verità fosse che l’uomo risorge si rivelerebbero come compatibili, pienamente e contemporaneamente, sia il desiderio di beatitudine, sia la morte.

La quarta condizione in cui la verità prende forma è la comunione dei volti. La verità non s’incontra, infatti, come una realtà anonima e astratta, ma sempre e solo attraverso una voce e un volto, espressioni della persona; prima di essere un’idea la verità è una presenza. La verità si manifesta perciò in un dramma i cui protagonisti, come affermava Franz Rosenzweig, non sono gli uomini in generale, ma le persone con il loro volto, con il loro nome e cognome.

Queste quattro condizioni, secondo l’autore, trovano la loro realizzazione nel racconto della Passione di Cristo narrata nel Vangelo di Giovanni. Cristo, di fronte alla domanda di Pilato «Che cos’è la verità? », non risponde. La risposta la dà Pilato stesso pronunciando le parole «Ecco l’uomo». «Tutto si gioca qui, nel passaggio da una domanda astratta a una presenza concreta, nel capovolgimento di una soluzione teorica a una richiesta di carne e di sangue. […] Cristo non ha risposta, perchè è lui stesso la risposta».
Ciò che balza agli occhi nel discorso di Hadjadj è la semplicità del dialogo che si intreccia tra piano della natura e piano della rivelazione: il Vangelo non è una risposta estranea agli interessi dell’uomo, bensì il compimento della comprensione e della ricerca umana. Si potrebbe dire che in Cristo la ricerca della verità trova il proprio compimento. Una seconda osservazione riguarda la definizione classica di verità come conformità della mente con la realtà, espressa dalla formula “adaequatio rei et intellectus” (adeguazione, corrispondenza tra il pensiero umano e la realtà); essa non viene affatto messa in discussione dalla prospettiva di Hadjadj, solo viene posta in secondo piano dalla necessità di recuperare la consapevolezza che la questione della verità non viene decisa in ultima istanza sul piano del pensiero. Già san Tommaso, distinguendo tre aspetti nella verità, quello oggettivo (o ontologico), quello soggettivo (o logico) e quello trascendente (o eterno), aveva riconosciuto che, se dal punto di vista soggettivo la verità risiede nel giudizio, dal punto di vista oggettivo essa è espressione della corrispondenza tra il Logos di Dio creatore e la realtà creata. Dal punto di vista trascendente, poi, la verità è eterna solo nella mente eterna di Dio; tuttavia, facendosi uomo, Dio si fà anche via, verità e vita in Gesù Cristo, introducendo nella storia la «pienezza» della verità.
In questo senso si può dire che con l’Incarnazione il finito diventa luogo dell’esperienza dell’infinito.

 

 

 

RICARDA


«Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me». (Giovanni 14,6).

 

IL TIMONE n. 109 – Anno XIV – Gennaio 2012 – pag. 32 – 33
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