Indissolubilità del matrimonio, unione fra uomo e donna, diversità dei sessi, doveri educativi sono ingredienti irrinunciabili di qualunque matrimonio naturale. L’attacco politico e giuridico alla famiglia è sotto i nostri occhi, e non accenna a fermarsi. Un numero incalcolabile di persone è rimasto vittima di questo terremoto, le cui le macerie seppelliscono coniugi e figli. È ora di dire basta
La famiglia è un fenomeno molto concreto, del quale tutti fanno esperienza. Questa verità evidente vale anche per coloro che, purtroppo, non hanno la fortuna di nascere in un contesto “normale”: l’orfano, il figlio di una donna single, oppure i figli di separati e divorziati, vengono “definiti” da un’assenza o da una carenza; cioè dall’assenza o dalla carenza della famiglia. La famiglia e alcuni suoi requisiti essenziali sono implicitamente assunti a norma, a regola generale che serve a definire l’eccezione, l’anomalia.
Questa prima considerazione basta a mettere in risalto un punto fondamentale: la famiglia non è una teoria o una dottrina teologica, ma è un fatto coessenziale all’essere umano; ed è un fatto che, in modo diverso, riguarda tutti.
La famiglia e il diritto
La famiglia ha certamente anche un profilo molto “personale”, nel senso che fra le qualità intrinseche della famiglia vi è un elemento di riservatezza, di privatezza, di intimità. La vita familiare, intesa come comunità di affetti, originata dalla relazione amorosa dei coniugi e poi sviluppata nel rapporto con i figli, è innanzitutto una vita domestica, e in questo senso inadatta a essere proiettata verso l’esterno in maniera da violarne la legittima dimensione domestica. In questo senso, il diritto – e quindi la longa manus dello Stato – non è lo strumento adatto a interferire con le relazioni interne alla vita familiare stessa, almeno fino a quando esse non diventino patologiche. La vita matrimoniale e familiare non nasce come forma di relazione contrattuale, perché una comunità d’amore non può vivere di diritti e di doveri, di ricorsi giudiziari e di sentenze, di avvocati e di codici. Questo per dire che normalmente il diritto si deve (o almeno si dovrebbe) fermare sulla soglia di casa, prendendo atto che mariti e mogli, padri e madri e figli sanno trovare un modus vivendi che prescinde dalla logica un po’ arida e rivendicativa delle pandette. Il buon padre si fa obbedire dai figli senza impugnare ogni volta il codice civile, e la buona moglie è fedele al madirito senza bisogno di compulsare ogni giorno un manuale di diritto di famiglia. Questa dimensione legittimamente “riservata” della famiglia non deve però indurre in errore: non deve cioè legittimare alcuna anarchia giuridica, alcun silenzio ingiustificato del diritto e dello Stato in materia di matrimonio.
La famiglia ha infatti una natura intima e domestica, ma allo stesso tempo essa costituisce un fenomeno di straordinaria rilevanza pubblica. È precisamente per questa rilevanza sociale, per questo nesso robustissimo con la categoria del bene comune, che la famiglia (e il matrimonio come atto cruciale) diventa oggetto delle doverose attenzioni del legislatore. Al punto che l’istituto giuridico del matrimonio è antichissimo, non nasce con il cristianesimo ma lo precede, e interviene soprattutto per ratificare pubblicamente – disciplinandola – la promessa reciproca dei coniugi.
Il matrimonio come fenomeno pubblico
Se il matrimonio fosse “soltanto” il luogo dell’amore, inteso in tutte le sue giuste manifestazioni, in un certo senso il diritto e lo Stato potrebbero disinteressarsene. Infatti, lo Stato si disinteressa legittimamente di molti fenomeni nei quali l’amore c’è, ed é magari forte e autentico: pensiamo all’amicizia, per la quale non esiste alcun istituto giuridico di riferimento. Oppure, pensiamo al fenomeno preliminare del matrimonio, che è l’innamoramento o, più solidamente, il fidanzamento. Quando un uomo e una donna si innamorano sperimentano un cambiamento della loro vita che è, per certi versi, più forte e significativo del matrimonio stesso; e tuttavia, per l’ordinamento giuridico non succede nulla. Perché? La ragione è semplice: il diritto si interessa di quei comportamenti umani che si manifestano all’esterno dell’uomo, provocando delle conseguenze per la comunità. I moralisti chiamano questa categoria di atti “transeunti”, distinguendoli da quelli che invece sono immanenti al soggetto. Se un uomo pensa in cuor suo di svaligiare una banca, lo Stato non può intervenire; ma se organizza tutto il necessario per fare il “colpo”, o addirittura lo mette a segno, ecco che il diritto considera tutto questo un reato. Allo stesso modo, due innamorati sono un’ottima promessa di matrimonio, ma finché non compiono atti idonei a manifestare pubblicamente e ufficialmente la loro volontà, il diritto li ignora. Il matrimonio è stato per secoli un fenomeno naturale del quale il diritto ha preso atto, dotato di alcune caratteristiche immodificabili:
1. Un legame fra un uomo e una donna;
2. Un legame totalizzante, irrevocabile, stabile, indissolubile, specialissimo;
3. Un legame aperto alla procreazione come esito naturale dell’amore coniugale, benché l’assenza di figli biologici non menomi in nulla la pienezza sponsale;
4. Un legame che impegna all’educazione dei figli;
5. Un luogo che rivendica il carattere di “corpo intermedio” dotato di una sua “giuridicità speciale e autonoma” che limita l’invasività dello Stato;
6. Il luogo della vera solidarietà fra le generazioni, in cui si dà tutto gratuitamente;
7. Un luogo che precede assiologicamente e storicamente lo Stato;
8. Un luogo socialmente visibile della religiosità delle persone, che lo vivono in pienezza e perfezione nel sacramento istituito da Cristo e assicurato dalla Chiesa cattolica, per coloro che liberamente lo chiedono.
Gli Stati contemporanei di fronte a matrimonio e famiglia
Questo volto fresco e pulito del matrimonio oggi è stato sfregiato e reso irriconoscibile. Paradossalmente, ma per ragioni spiegabilissime, nella nostra civiltà post moderna il diritto si comporta in maniera esattamente capovolta rispetto a quanto dovrebbe; da un lato, le leggi si “intrufolano” nella vita familiare, mettendo in discussione perfino i poteri correttivi e disciplinari – anche i più blandi – dei genitori; dall’altro, da molto tempo gli Stati hanno stravolto la disciplina del matrimonio, ferendolo a morte. Le tappe di questo sgretolamento si sono susseguite secondo una strategia della lenta progressione, in maniera che oggi molti – perfino tra i cattolici – fanno fatica a ricordarle o a riconoscerle. In sintesi, esse si possono riassumere così:
a. Legalizzazione del divorzio. In questo modo il matrimonio non perde solo un suo elemento accessorio, ma cessa di essere vero matrimonio. L’indissolubilità non è infatti un elemento comprensibile solo alla luce della fede, ma essa è spiegabile con la legge naturale e con la riflessione razionale sull’amore umano fra uomo e donna. Un matrimonio che non sia “per sempre” non è un vero matrimonio. Inoltre, il diritto al divorzio rende il coniuge che ne rimane vittima totalmente spogliato dei suoi diritti. Va da sé che un matrimonio “divorziabile” certifica anche il venir meno di un serio impegno verso i figli, che sopravvive esclusivamente sotto il profilo mercantile degli obblighi di mantenimento.
b. Omologazione dei ruoli dei coniugi. Questa trasformazione è stata realizzata innanzitutto sotto il profilo culturale mediante la diffusione del femminismo, ma ha ottenuto una certificazione “solida” attraverso le riforme dei diritti di famiglia nazionali, come ad esempio è avvenuto in Italia nel 1975. Queste leggi hanno trasformato il matrimonio in un contratto fra individui che vantano molti diritti in cambio di (pochi) doveri, ciascuno alla ricerca del proprio personale vantaggio.
c. Riconoscimento delle unioni di fatto. Una volta trasformato il matrimonio in un contratto a termine sotto scacco della volontà arbitraria dei singoli, è del tutto logico che perda progressivamente rilevanza la formalizzazione del vincolo, a favore di una prassi emotiva e “liquida” delle relazioni affettive, che si fanno e si disfano senza bisogno del sindaco o del prete. Fino al paradosso di esigere un riconoscimento giuridico anche per la mera convivenza, rendendo del tutto insignificante l’istituto matrimoniale.
d. Riconoscimento delle unioni fra persone dello stesso sesso. Passo conseguente è l’equiparazione di ogni legame affettivo, a cominciare con quello omosessuale. Il matrimonio è infatti ormai un fenomeno convenzionale: ognuno decide che cosa, secondo il suo insindacabile giudizio, è o non è matrimonio. E lo stato asseconda con le sue leggi questo arbitrio assoluto.
e. Riconoscimento del “diritto al figlio”. L’esito di una simile deriva è la codificazione del desiderio che si fa diritto: non solo la donna può decidere se vuole il figlio (legalizzazione di aborto e fecondazione artificiale), ma perfino la coppia “impossibile” può pretendere, con l’adozione o con la provetta, di diventare genitore in totale assenza della sintesi padre-madre.
Matrimonio e principi non negoziabili: una guida per i politici
Di fronte a questa autentica catastrofe antropologica e giuridica, appare del tutto evidente che una simile materia occupa un posto fondamentale nella galassia dei principi non negoziabili. Cedere infatti sul matrimonio e sulla famiglia significa capitolare sul nodo cruciale di ogni struttura sociale. Da una concezione erronea del matrimonio e della famiglia derivano inevitabilmente disastri civili, economici, politici, morali e perfino internazionali. Distruggere giuridicamente il matrimonio è, metaforicamente, come smuovere una piccola quantità di neve in cima a una montagna, provocando però un’enorme, inarrestabile valanga. A valle, le vittime nemmeno si rendono conto della causa. Proprio come avviene oggi nelle società ricche e disperate, devastate dalla solitudine e dall’individualismo diffuso, società nelle quali in pochi si accorgono che all’origine del disastro ci sono il divorzio e la progressiva erosione del concetto di matrimonio.
Di fronte a questa materia, il politico si trova vincolato in coscienza a tenere una linea rigorosa che non ammette compromessi al ribasso. Anche per questo motivo, la Congregazione per la Dottrina della Fede – all’epoca guidata dal cardinale Joseph Ratzinger – ha ritenuto necessario intervenire per ben due volte, e a breve distanza, allo scopo di diradare equivoci diffusi ad arte anche all’interno dello stesso mondo cattolico.
Il primo documento è la Nota dottrinale sui rapporti tra cattolici e politica, del 24 novembre 2002, e vi si legge che «la stessa vita democratica ha bisogno di principi etici che per loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono negoziabili ». La conseguenza di questa premessa è che i politici non possono votare leggi contro la vita o contro la famiglia e il matrimonio; e che i cittadini non possono sostenere politici o partiti che nei propri programmi sostengano tali ingiuste leggi.
Il secondo documento riguarda i progetti di riconoscimento delle unioni omosessuali, del 3 giugno 2003, e definisce le caratteristiche irrinunciabili del matrimonio, «fondato dal Creatore con una sua natura, proprietà essenziali e finalità». Per queste ragioni, «Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». La Congregazione parla molto chiaro: lo Stato non deve né riconoscere legalmente tali unioni, né – che sarebbe peggio – equipararle al matrimonio propriamente detto. Se decide di tollerare tali unioni, rimane opportuno affermare chiaramente il carattere immorale di tale tipo di unione soprattutto per evitare che le giovani generazioni siano traviate (n. 5). Il politico cattolico dovrà opporsi in maniera chiara, incisiva e pubblica a leggi che riconoscono le unioni fra omosessuali, ed evitare qualsiasi cooperazione formale alla promulgazione o all’applicazione di tali leggi, contestandole pubblicamente qualora già esistano nell’ordinamento.
Il messaggio è inequivocabile: la presenza del cristiano nella vita politica conserva un senso, anche di testimonianza, soltanto a condizione che egli non si metta in vendita – o peggio: non abbia idee sinceramente sbagliate – sulla frontiera cruciale della famiglia. Ogni tradimento è, su questo terreno, intollerabile.
Dossier: I PRINCIPI NON NEGOZIABILI
IL TIMONE N. 108 – ANNO XIII – Dicembre 2011 – pag. 39 – 41
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