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13.12.2024

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Fede e cultura
31 Gennaio 2014

Fede e cultura

 
 
È la sfida più difficile: la fede diventi cultura per far capire all’uomo di oggi che la verità e la legge morale non umiliano la sua libertà. Anzi: la fanno crescere e la liberano dalle minacce che porta in se stessa. L’insegnamento del Santo Padre.

 

 

 

Rivolgendosi con un Messaggio ai vescovi italiani riuniti in Assemblea a Collevalenza dal 22 al 26 maggio 2000, Papa Giovanni Paolo II ha ricordato loro come la nuova evangelizzazione rappresenti la priorità pastorale per l'Italia, nazione insidiata dalla secolarizzazione e dalla scristianizzazione. Il Papa ha anche portato l'attenzione dei presuli sul Progetto culturale orientato in senso cristiano, progetto lanciato dal card. Camillo Ruini al III Convegno nazionale della Chiesa italiana tenutosi a Palermo dal 20 al 24 novembre 1995 e poi pubblicato a cura della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana il 28 gennaio 1997.
Tale Progetto culturale vuole rispondere alla convinzione espressa dal Santo Padre che “una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta” (discorso al Congresso nazionale del M.E.I.C., 16 gennaio 1982). Ma cosa significa che la fede debba diventare cultura? Non pensate a libri e a biblioteche, a conferenze e seminari, che pure sono strumenti importanti e necessari, soprattutto per evangelizzare oggi nella società della “comunicazione globale”, come ha ricordato sempre il Pontefice nel Messaggio ai vescovi italiani. La fede diventa cultura quando fa in modo che la persona smetta di separare la sua vita religiosa da quella di tutti i giorni, quando la orienta a prendere decisioni coerenti con la sua fede in tutti i campi della vita, quando fa sorgere nel credente il desiderio di comunicare la fede e di costruire un mondo migliore rispetto a quello nel quale si trova a vivere. In questo senso qualsiasi uomo, anche analfabeta, possiede una cultura, perché si comporta in un certo modo e non in un altro a proposito delle grandi decisioni della vita. Sorprende allora di trovare cattolici, per esempio, poco sensibili alla difesa della vita innocente o alla battaglia per la libertà di educazione, cattolici subalterni a una cultura dominante che vuole ridurre la fede alla dimensione personale o a quella relativa soltanto a certi aspetti della realtà. Parlando al Convegno ecclesiale di Palermo, Giovanni Paolo II ha detto che in molti italiani è subentrato, al posto delle certezze della fede, “un sentimento religioso vago e poco impegnativo per la vita” o “varie forme di agnosticismo e di ateismo pratico, che sfociano tutte in una vita personale e sociale condotta 'etsi Deus non daretur', come se Dio non esistesse”.
Proprio riportare Dio nella concretezza della vita quotidiana, metterLo al centro della vita, anche di quella pubblica, questo significa richiamare il rapporto tra fede e cultura, ed è straordinariamente puntuale che la scelta pastorale della Chiesa italiana da cinque anni insista su questo aspetto, anche se onestamente il fedele comune fa fatica ad accorgersene.
Fra i nodi da sciogliere nella prospettiva del rapporto tra fede e cultura vi è quello del rapporto fra libertà e verità, riproposto all'attenzione dalla polemica scoppiata a proposito del raduno di omosessuali previsto a Roma nell'anno del Giubileo. Come conciliare il diritto di esternare le proprie opinioni con il dovere di non offendere la verità sulla condizione umana e la sacralità di un tempo storico in una città particolare?
Perfettamente consapevole del problema che ha afflitto il mondo moderno almeno dalla Rivoluzione francese in poi, il Papa, sempre parlando ai presenti al Convegno di Palermo, ha detto che “la sfida più importante e più difficile che deve affrontare chi vuoi incarnare il Vangelo nell'odierna cultura e società” consiste “nel far comprendere […] che le esigenze della verità e della moralità non umiliano e non annullano la nostra libertà, ma al contrario le permettono di crescere e la liberano dalle minacce che essa porta dentro di sé”. Cioè, come riannodare il legame fra libertà e verità che il pensiero moderno ha contrapposto fra loro? Ha ben scritto Francesco Botturi, sottolineando come la libertà non consiste soltanto nel potere di autodeterminazione: “La scelta ha fine e senso oltre se stessa: in altri termini, l'autodeterminazione è per il bene, cioè per fini opportuni, convenienti, validi, in sintesi felicitanti, per il soggetto” e “dunque, libertà significa adesione al bene, realizzazione e liberazione del soggetto” (Formazione della coscienza morale: un problema di libertà, in AA.VV, Per una libertà responsabile, Messaggero, Padova 2000, pp. 80-81).
La soluzione del maggiore problema del nostro tempo può venire soltanto dalla consapevolezza che la vita di un uomo e di una società non conoscono né felicità né progresso senza Dio, come ha ricordato il Santo Padre sempre nel discorso pronunciato durante il Convegno ecclesiale di Palermo: “tali valori, che pur scaturiscono dalla legge morale inscritta nel cuore di ogni uomo, ben difficilmente si mantengono, nel vissuto quotidiano, nella cultura e nella società, quando vien meno o si indebolisce la radice della fede in Dio e in Gesù Cristo” perché “il nucleo generatore di ogni autentica cultura è costituito dal suo approccio al mistero di Dio, nel quale soltanto trova il suo fondamento incrollabile un ordine sociale incentrato sulla dignità e responsabilità personale”.

Sarebbe già molto se queste poche parole servissero per impostare un difficile problema, per aiutare i cattolici a capire che per risolvere un  problema bisogna almeno conoscerne l'esistenza e saperlo impostare. Tuttavia rimane vero che impostare non significa risolvere. Come fare in modo che la fede possa incidere nella vita di oggi in maniera duratura? Sempre il Papa, nello stesso discorso di Palermo, contribuisce ad attenuare il senso d'impotenza che provo quando mi chiedo come fare?: “non c'è rinnovamento, anche sociale, che non parta dalla contemplazione. L'incontro con Dio nella preghiera immette nelle pieghe della storia una forza misteriosa che tocca i cuori, li induce alla conversione e al rinnovamento e proprio in questo diventa anche una potente forza storica di trasformazione delle strutture sociali”. È un appello che viene rivolto senz'altro ai contemplativi, ma che riguarda ogni cristiano, perché la sua   preghiera non venga posta ai margini della vita, ma ne costituisca il cuore. Così come riguarda coloro che si occupano di cercare di alleviare le mille sofferenze materiali e morali che affliggono i più poveri, in Italia o nel terzo e nel quarto mondo, perché non dimentichino che “essi contribuiscono in modo singolare alla stessa affermazione di una cultura e di una civiltà cristiana” (ibidem).

IL TIMONE – N. 8 – ANNO II – Luglio/Agosto 2000 – pag. 22-23

 

 

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