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7.12.2024

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Fivet: punti fermi
31 Gennaio 2014

Fivet: punti fermi

Mondo cattolico confuso sul tema della fecondazione in vitro. Va fatta chiarezza: non v’è differenza tra Fivet eterologa (dove interviene un terzo rispetto alla coppia) ed omologa (all’interno della coppia): entrambe comportano la morte certa di decine di embrioni umani. E sono inaccettabili.

Il dibattito politico sulla fecondazione artificiale (Fivet) tornerà presto nell’agenda del Parlamento italiano. La scorsa legislatura si era conclusa con un nulla di fatto, dopo che i partiti si erano polarizzati su due posizioni: da una parte, chi voleva rendere legale la Fivet con la massima ampiezza possibile, elaborando una norma-fotografia di ciò che già avviene nei centri per la riproduzione artificiale; dall’altra, chi voleva vietare le Fivet eterologa – quella che prevede l’uso di gameti provenienti da persone terze rispetto alla coppia – rendendo però legale la Fivet omologa. A ben guardare, questo schema dialettico nasconde una sotterranea convergenza, se non di obiettivi, almeno di risultati: entrambe le posizioni riconoscono che la Fivet non deve essere proibita dall’ordinamento, ma regolamentata. Il dissidio è dunque spostato non sulla giuridicità della pratica – ammessa implicitamente anche dal secondo schieramento – ma sull’ampiezza delle modalità con cui praticare la fecondazione artificiale.
Come si vede, nel dibattito politico italiano è completamente mancata una terza posizione: quella che invoca dallo Stato il divieto di ogni fecondazione extracorporea, sia essa eterologa piuttosto che omologa. Guarda caso, la posizione che coincide con il Magistero cattolico sulla materia.

La posizione della Chiesa
L’ortodossia della Cattedra di Pietro in materia di fecondità umana – pur nella sua ricchezza di contenuti – può essere riassunta in pochi, chiarissimi, principi:
a. esiste una connessione inscindibile tra significato unitivo e significato procreativo dell’atto coniugale che l’uomo non può mai rompere di sua iniziativa, per nessun motivo.
b. ne deriva che qualsiasi tecnica che sostituisca l’atto coniugale anche allo scopo – in sé buono – di dare un figlio a coppie sterili, va considerata moralmente illecita; ciò vale tanto per l’inseminazione
artificiale in vivo (il concepimento avviene nel corpo della donna) che per la fecondazione extracorporea-Fivet (il concepimento avviene fuori dal corpo della donna).
c. sul piano del diritto, esiste una differenza sostanziale tra le tecniche di inseminazione e la Fivet: le prime, pur sostanziando un disordine morale, non sembrano configurare un illecito giuridico, almeno all’interno della coppia regolarmente sposata; viceversa, la Fivet – poiché comporta sempre, tanto nella versione eterologa quanto in quella omologa, la morte certa di decine e decine di embrioni umani – costituisce una condotta giuridicamente rilevante, possedendo i requisiti non soltanto del peccato, ma del reato contro la persona.
d. per queste ragioni, mentre uno Stato laico potrebbe permettere la pratica dell’inseminazione artificiale, dovrebbe vietare la Fivet in ogni sua forma.

Quale strategia per i cattolici
Quando, il 27 gennaio 1998, la deputata dei Democratici di sinistra Bolognesi ha presentato la sua proposta di legge sulla Fivet, ampiamente permissiva, alcuni cattolici avvertirono la necessità di reagire. Purtroppo, forse per la fretta, le buone intenzioni si sono tradotte in una iniziativa maldestra e confusa: il Manifesto-appello del marzo 1998, promosso da Fondazione Nuovo Millennio, Forum delle Associazioni familiari. Operatori sanitari cristiani. In esso si legge, fra l’altro, che “una buona legge (…) deve impedire qualsiasi spreco di embrioni umani e consentire la procreazione artificiale solo nella forma omologa e all’interno della coppia di coniugi”. Una legge che permette l’uccisione di migliaia di embrioni vie ne definita “buona”.
Dunque, autorevoli cattoici si facevano promotori di una legge ingiusta, appellandosi indirettamente al numero 73 dell’Evangelium vitae. In realtà, quel passaggio dell’enciclica richiede alcuni presupposti che qui sono rimasti del tutto assenti: impossibilità comprovata di ottenere una legge giusta; posizione di principio chiara e a tutti nota; liceità non di presentare proposte minimali, ma di offrire sostegno a iniziative già esistenti. Una strategia gravemente compromissoria, assunta anche da un movimento di opinione come il Movimento per la vita, che ha conosciuto così una frattura tra i fautori del Manifesto e coloro che invece se ne sono dissociati. L’effetto di questa “linea morbida” è stato che i mass media hanno ricevuto e veicolato all’opinione pubblica italiana questo messaggio: la fivet omologa è la fivet cattolica.

Il male minore: l’equivoco “proporzionalista”
Purtroppo, persone di indubbio valore, impegnate da anni con coraggio sul fronte della difesa della vita umana, sono cadute in un errore che la tradizione cattolica ha sempre condannato, e che va sotto il nome di “proporzionalismo”. In molti scritti i fautori dello schema “no all’eterologa – sì all’omologa” fanno appello al principio del “male minore”, ridipinto sotto la forma più elegante del “massimo bene possibile”. Essi affermano: “Promuoviamo nelle piazze e nei parlamenti questa legge, perché così almeno impediamo la fivet eterologa”.
Ora, nessuno nella tradizione cattolica ha mai pensato che la rettitudine dell’azione consistesse nella sua efficacia di “produrre la maggior proporzione di effetti positivi”. Le stragi di civili compiute a Hiroshima, Nagasaki, Amburgo, Dresda, furono determinate dalla comparazione fra le vittime di quei bombardamenti (presunto male minore) e le vittime non meglio prevedibili di un protrarsi del conflitto.
Ma nessuna “analisi comparativa” potrà rendere lecito ciò che non è lecito intrinsecamente: un gigantesco massacro di civili. Quando Tommaso Moro va, senza entusiasmo, a morire piuttosto che mentire sotto giuramento, tutti intorno a lui gli prospettano “mali minori” per salvarsi il collo. Ma egli sa che compiere un atto illecito in sé rappresenta un male più grave di qualsiasi altro. In fondo, già i pagani avevano colto questo principio vitale che sta dentro la legge naturale: per Socrate, il primo problema di chi sta per prendere una decisione, non è di prevedere e giudicare le conseguenze certe o probabili. Il primo problema è decidere se ciò che decido è giusto o ingiusto. I proporzionalisti peccano, purtroppo, di mancanza di fiducia nella Provvidenza, perché pensano che l’uomo abbia il compito di far trionfare la giustizia nel mondo. La Chiesa ci insegna, invece, che all’uomo è chiesto solo e sempre di agire con giustizia.

IL TIMONE N. 16 – ANNO III – Novembre/Dicembre 2001 – pag. 16-17

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