Chi si attendeva dalla visita ad Assisi una messa in liquidazione della Chiesa è rimasto deluso. Il Papa ha messo tutti di fronte a un’alternativa: o il pensiero del mondo, che è il male, o Cristo, che da questo male è venuto a salvarci
C’erano molte aspettative da una parte, che corrispondevano ad altrettanti timori dall’altra. Nella sua visita ad Assisi lo scorso 4 ottobre, Papa Francesco ha deluso le prime e ha fugato i secondi, facendo di quella giornata una pietra miliare del suo pontificato. Perché, recandosi a pregare sulla tomba del santo patrono d’Italia, da cui ha preso anche il nome da Pontefice, ha chiarito gli aspetti fondamentali del suo Magistero riproponendo al mondo intero la figura di San Francesco nella sua verità, spazzando via tutte quelle incrostazioni ideologiche che ne hanno fatta la figura più equivocata della storia.
Papa Francesco lo ha detto molto chiaramente nell’omelia: il San Francesco “sdolcinato”, pacifista, buonista semplicemente non esiste. Esiste invece un San Francesco innamorato di Cristo, che ci insegna come «essere cristiani è un rapporto vitale con la Persona di Gesù, è rivestirsi di Lui, è assimilazione a Lui». È guardare alla Croce e lasciarsi guardare da Gesù sulla Croce. E da qui nasce la vera pace, ha ricordato il Papa. E anche la vera povertà è spogliarsi di ogni comodità – economica ma anche di pensiero – per rivestirsi solo di Cristo. E qui, chi si aspettava qualche gesto eclatante di “povertà” – i giornali nei giorni precedenti si erano sbizzarriti nelle ipotesi – è rimasto deluso. Papa Francesco ha infatti risposto loro direttamente affermando che la vera spoliazione della Chiesa – vale a dire di tutti i battezzati – consiste nel rinunciare allo spirito del mondo per abbracciare Cristo. O si sta con Cristo o si segue il mondo, non ci sono alternative né possibilità di conciliazione tra i due opposti.
Testimoniare
Ma oltre ai concetti affermati va colto un aspetto decisivo di questo pontificato che ad Assisi è risaltato. Ovvero la testimonianza come insegnamento. In altre parole, papa Francesco vuole far passare l’insegnamento attraverso la testimonianza; non basta dire le cose giuste, il Cristianesimo è una vita e quindi passa attraverso il rapporto con le persone. Non per niente, nell’incontro con i giovani ha citato una esortazione di San Francesco ai suoi fratelli: «Predicate sempre il Vangelo e se fosse necessario, anche con le parole!». E poi ha spiegato: «Ma, come? Si può predicare il Vangelo senza le parole? Sì! Con la testimonianza! Prima la testimonianza, dopo le parole! Ma la testimonianza!
Ed è quello che papa Francesco intende fare: trasmettere la fede incontrando le persone, coinvolgendosi direttamente, guardando tutti in faccia, a partire dai poveri, la cui esistenza è il segno più evidente del contrasto tra la volontà di Dio e il pensiero del mondo. Così che «in tutta la vita di Francesco l’amore per i poveri e l’imitazione di Cristo povero sono due elementi uniti in modo inscindibile, le due facce di una stessa medaglia». Per questo tante volte il Papa in questi mesi ha messo in guardia da quella “cultura dello scarto” che è un tratto caratteristico della nostra società moderna, e che porta a valutare le persone in base alla loro utilità, economica ma anche sociale. Questo modo di porsi è apparso evidente ad Assisi nell’incontro con i disabili, con i poveri, con i giovani. Ma questo desiderio di incontrare chiunque sia disponibile o ne abbia il desiderio, anche a rischio di farsi equivocare, è ciò che sta caratterizzando tutto il pontificato di papa Bergoglio ed è ciò che egli pretende da tutti i suoi collaboratori: chi in Vaticano si occupa di carità deve andare tra i poveri, gli stessi cardinali di curia dovranno andare e occuparsi anche di pastorale.
Il desiderio di papa Francesco è quello di mettere la Chiesa in movimento, mostrare con la vita che il cristianesimo non è anzitutto una dottrina o una filosofia ma un evento, come aveva già descritto perfettamente Benedetto XVI nell’enciclica Deus Caritas est: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva » (n. 1).
Bisogno di salvezza
C’è un altro aspetto importante che ad Assisi papa Francesco ha chiarito e riguarda il contenuto dell’incontro con gli altri, cosa portiamo e vogliamo comunicare, perché vogliamo evangelizzare. Nei mesi scorsi, il papa ha parlato molto di misericordia, di accogliere l’altro, di portare la salvezza. Ai giovani, ad Assisi, ha chiarito in cosa consiste questo messaggio di salvezza e cosa c’entra con il mondo. Rileggiamo questo passaggio, che non ha neanche bisogno di commenti tanto è chiaro: «Il Vangelo, cari amici, non riguarda solo la religione, riguarda l’uomo, tutto l’uomo, riguarda il mondo, la società, la civiltà umana. Il Vangelo è il messaggio di salvezza di Dio per l’umanità. Ma quando diciamo “messaggio di salvezza”, non è un modo di dire, non sono semplici parole o parole vuote come ce ne sono tante oggi! L’umanità ha veramente bisogno di essere salvata! Lo vediamo ogni giorno quando sfogliamo il giornale, o sentiamo le notizie alla televisione; ma lo vediamo anche intorno a noi, nelle persone, nelle situazioni; e lo vediamo in noi stessi! Ognuno di noi ha bisogno di salvezza! Soli non ce la facciamo! Abbiamo bisogno di salvezza! Salvezza da che cosa? Dal male. Il male opera, fa il suo lavoro. Ma il male non è invincibile e il cristiano non si rassegna di fronte al male. (…) Il nostro segreto è che Dio è più grande del male: ma questo è vero! Dio è più grande del male. Dio è amore infinito, misericordia senza limiti, e questo Amore ha vinto il male alla radice nella morte e risurrezione di Cristo. Questo è il Vangelo, la Buona Notizia: l’amore di Dio ha vinto! Cristo è morto sulla croce per i nostri peccati ed è risorto. Con Lui noi possiamo lottare contro il male e vincerlo ogni giorno».
La salvezza dunque non ha nulla a che vedere con categorie economiche o sociologiche, ma è la risposta al bisogno più profondo del nostro cuore, è la speranza per ogni uomo che – se appena è sincero con se stesso – non può non sentire il peso del proprio peccato. Non a caso nell’intervista concessa a Civiltà Cattolica, il Papa si è definito «un peccatore al quale il Signore ha guardato». E così dovremmo definirci anche noi, se solo avessimo coscienza di chi siamo.
Il Vangelo trasforma il mondo
Un’ultima notazione riguarda una delle conseguenze di questo “movimento” che Francesco sta trasmettendo. Ovvero la riforma in seno alla Chiesa. In questi mesi tanto si è parlato di riforma della Curia vaticana, peraltro una delle richieste più insistenti venute dal pre-Conclave, e papa Francesco si sta muovendo con decisione verso questo obiettivo. Ma il cuore della questione non è una semplice riorganizzazione burocratica o quello che in politichese viene definito un “fare pulizia” dopo i tanti scandali avvenuti. Nei mesi scorsi, papa Francesco ha parlato spesso di adeguare la Curia alla missione della Chiesa; ad Assisi la questione è stata ulteriormente chiarita nei suoi contenuti guardando all’esempio di Francesco e come conseguenza del messaggio di salvezza da portare a tutti: «Questo messaggio di salvezza – ha detto il papa ancora ai giovani – ha due destinazioni che sono legate: la prima, suscitare la fede, e questa è l’evangelizzazione; la seconda, trasformare il mondo secondo il disegno di Dio, e questa è l’animazione cristiana della società. Ma non sono due cose separate, sono un’unica missione: portare il Vangelo con la testimonianza della nostra vita trasforma il mondo! Questa è la via: portare il Vangelo con la testimonianza della nostra vita. Guardiamo Francesco: lui ha fatto tutt’e due queste cose, con la forza dell’unico Vangelo. Francesco ha fatto crescere la fede, ha rinnovato la Chiesa; e nello stesso tempo ha rinnovato la società, l’ha resa più fraterna, ma sempre col Vangelo, con la testimonianza ».
IL TIMONE N. 127 – ANNO XV – Novembre 2013 – pag. 12 – 13
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