Diceva Longanesi che lui non si appoggiava ai princìpi, che dopo un po’ si piegano. Anche io preferisco piuttosto appoggiarmi agli amici, che sono un po’ più solidi e robusti, soprattutto se a loro volta si appoggiano all’unico vero amico che non delude mai, Cristo. Con questo gruppo di amici in Cristo ogni tanto ci vediamo davanti a qualche buon piatto e del vino (che mi dicono ottimo, ma io bevo solo Coca light e non saprei dire: in compenso per la Coca ho un palato sopraffino, e saprei distinguerne la data di scadenza a occhi chiusi). Quando parliamo e mangiamo insieme, vengono sempre fuori nuove idee per la “buona battaglia”, e l’altro giorno Ivan Quintavalle, futuro sacerdote della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, mi ha folgorata con una proposta che secondo me ha del geniale.
Tante coppie di giovani, giovanissimi anche, dicono – e in gran parte è vero – che non si sposano e non fanno figli perché faticano a raggiungere l’indipendenza economica necessaria a mettere su famiglia. Perché non incoraggiare i genitori ad adottare la nuova famiglia dei loro figli? I mariti, le mogli, gli eventuali nipoti? Perché non chiedere l’aiuto economico, l’appoggio logistico alle famiglie di origine? Sarebbe la ripartenza delle nascite, dell’economia del nostro Paese, ma soprattutto sarebbe un cambio totale e rivoluzionario di mentalità e di approccio alla vita. Vediamo perché.
C’è un problema
I ragazzi oggi studiano quasi tutti a lungo, e anche le ragazze, le quali danno per scontato che avranno tutta la vita davanti per accogliere nuove vite, come se non fosse vero invece che il corpo femminile ha un’età in cui è molto più adatto ad avere bambini: è più facile concepirne, è più probabile che siano sani, è più agevole prendersene cura (le energie dei venti anni non sono quelle dei quaranta). Poi aspettano di avere un lavoro, e già quella è un’impresa (siamo a tassi di disoccupazione giovanile da dopoguerra, 44% circa). Poi, però, il buon senso impone che almeno uno dei due il lavoro lo abbia, ma non solo, che lo abbia con un contratto a tempo indeterminato, e lì più che di impresa si tratta di un miraggio (io, che già sono di un’altra generazione rispetto ai giovani sposi di oggi, il mio contratto a tempo indeterminato l’ho avuto a 35 anni, quando avevo già quattro figli). Poi serve una casa, e anche in quel caso si può parlare di privilegio che in pochi, soprattutto nelle grandi città, riescono a conquistarsi, se non grazie a una famiglia facoltosa alle spalle (provate ad andare a chiedere un mutuo senza un lavoro).
Viviamo in un sistema organizzato in modo tale che tutto – economia, comunicazione, modo di concepire l’affettività, cultura dominante – congiuri contro la nascita di una nuova famiglia. E anche quando due temerari osano farla nascere, il mondo del lavoro mostra tutta la sua aggressività contro le madri (argomento che meriterebbe, meriterà un discorso a parte), per cui le donne vengono indotte a investire prevalentemente sulla carriera gli anni più fecondi e più adatti alla maternità. L’arrivo dei figli, ormai padroneggiabile con ogni possibile mezzo di contraccezione, viene programmato e l’attesa del momento giusto sembra prolungarsi all’infinito. Quando mai, infatti, sarà il momento giusto per sconvolgersi la vita? Rischiare la carriera? Investire notti insonni e soldi e tempo e libertà? Per qualcuno che neanche conosciamo? Ai nostri nonni i figli arrivavano, e non c’era bisogno di tante scelte e motivazioni, e poi quando li vedevano in faccia, questi prodigi, capivano che il momento era giusto, giustissimo, solo che loro non lo sapevano.
Una possibilità per… la vita
Per far ripartire la vita, la speranza e anche l’economia c’è una sola possibilità: uno sforzo enorme e collettivo, uno sforzo congiunto di tutte le generazioni. Che i genitori si facciano carico dei figli e che li incoraggino a sposarsi, che li mantengano per tutto quello che possono, che tifino per loro, che invece che pagare loro le vacanze, magari con fidanzati e amici, paghino loro l’affitto, magari un piccolo mensile. La famiglia è l’unico welfare rimasto, e dobbiamo rendercene conto. Ma la famiglia è anche l’unico sistema a somma zero, dove non è che se uno perde l’altro guadagna: si vince o si perde tutti insieme. I figli, infatti, un domani sapranno farsi carico dei genitori, se necessario, o magari lo faranno i nipoti, se saranno nati presto: faranno in tempo a diventare grandi con i loro nonni. Faranno anche in tempo a lavorare per pagare le pensioni dei nonni, quelle che invece adesso con il ricambio generazionale a zero rischiano di far implodere tutto il sistema.
C’è poi da dire che per una mamma di bambini piccoli dovrebbe essere un po’ più facile studiare che lavorare: in certi casi magari ci si può anche portare il bambino a lezione (pensate che belli dei nidi universitari!), e comunque si può studiare con orari molto più flessibili di quelli di un ufficio (o di una redazione, o di uno studio professionale, o di una fabbrica, o di un negozio…).
Le energie fisiche, come dicevo prima, sono infinitamente maggiori a venti anni, mentre a trentacinque-quaranta, quando la maturazione intellettuale è raggiunta, si avranno figli già abbastanza autonomi da consentire, eventualmente, se lo si desidera o se è possibile, di investire sulla vita professionale (un consiglio questo venuto peraltro anche dall’economista Letizia Reichlin, una fonte non tacciabile di “estremismo cattolico”, che ha incoraggiato le giovani donne a fare figli prima di buttarsi a capofitto nel mondo del lavoro).
Lo stesso si può dire, anche se con proporzioni diverse, degli uomini, perché anche se io non sono per la parità assoluta tra uomini e donne, sicuramente anche per gli uomini è più facile fare “vola vola” con un bebè, spingere una bicicletta, tuffarsi, giocare a pallone con degli adolescenti quando si è giovani padri (io peraltro al parco ho fatto più di una figuraccia, scambiando dei padri per nonni, ma questa è colpa mia che parlo sempre troppo).
Lo so, i genitori di oggi opporranno resistenza, la troveranno una proposta assurda. Loro si sono sposati quando ancora si pensava che si potesse mettere su una nuova famiglia solo quando si fosse in grado di mantenerla autonomamente, e infatti così vuole la natura delle cose. Ma viviamo in un momento storico ed economico davvero particolare. Il sistema economico nato nel ’900 sta implodendo, è in crisi in tutto l’Occidente. Basato sull’induzione di falsi bisogni, e sul consumo dei dink – le coppie double income no kids, due stipendi senza figli – ha qualche speranza di sopravvivere solo se la popolazione ricomincia a crescere. Soprattutto l’uomo ha speranza di sopravvivere solo se continua a fidarsi di Dio, di un padre che ama i suoi figli, un Padre di cui i padri di oggi potrebbero farsi figura. â–
Ricorda
«La famiglia fondata e vivificata dall’amore è una comunità di persone: dell’uomo e della donna sposi, dei genitori e dei figli, dei parenti.
Suo primo compito è di vivere fedelmente la realtà della comunione nell’impegno costante di sviluppare un’autentica comunità di persone. Il principio interiore, la forza permanente e la meta ultima di tale compito è l’amore: come, senza l’amore, la famiglia non è una comunità di persone, così senza l’amore, la famiglia non può vivere, crescere e perfezionarsi come comunità di persone».
(San Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Familiars Consortio, n. 18)
Il Timone – Dicembre 2014
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