La scioccante testimonianza di una ex-testimone di Geova. Nata in una famiglia geovista, ha passato trent’anni a servire la “congregazione”. Fino alla scoperta dell’inganno e dell’errore in cui era caduta
«Geova mi ha delusa, non Dio». Marta De Rossi – il nome è di fantasia – dice chiaro ma pacato fin dal titolo del suo libro-testimonianza, uscito da poco per Edb, i termini del suo itinerario religioso. Anche se, ascoltando la vicenda di questa mamma trentaseienne ex Testimone di Geova, si resta quasi increduli.
Signora, da dove cominciamo?
«Dalla mia nascita, perché io Testimone di Geova mi ci sono trovata: lo erano infatti mia mamma e i miei 4 fratelli maggiori. Dunque, per me non c’è stato problema di scelta: quella è sempre stata la normalità della mia famiglia. Semmai posso dire che mia madre ha unito il fatto di essere fervente TdG al suo modo severo di educarci, facendolo dipendere anche dalla religione; persino mettere in disordine la mia cameretta significava “deludere Geova”. Credo di non essere mai stata bambina: la mia preoccupazione quotidiana era obbedire scrupolosamente a Geova».
Ma fuori di casa?
«Beh, non potevo assolutamente frequentare i coetanei, il che mi è sempre pesato non poco: con una bambina vicina di casa, per esempio, ci parlavamo di nascosto dal balcone. Era proibito avere amici non Testimoni e tale “stranezza” faceva sì che fossi presa in giro dai compagni. Di fronte a questa difficoltà, mi insegnavano che dovevo essere contenta perché anche Gesù era stato perseguitato; ma io invece desideravo ovviamente essere accettata dagli altri e dunque vivevo in perenne conflitto interiore».
E cosa avvenne col crescere dell’età?
«Il primo grande scoglio lo affrontai alle superiori: avevo ottimi risultati nelle materie letterarie, però mi è stato assolutamente proibito di frequentare il Liceo classico e con grande delusione ho dovuto diplomarmi nell’istituto per geometri come i miei fratelli. L’università, anche se non ufficialmente, tra i TdG è fortemente scoraggiata: si considera uno spreco il tempo impiegato per far carriera in un mondo che è destinato a finire il giorno del Giudizio. All’epoca poi chi aveva fatto l’università veniva visto come un ribelle: forse perché a contatto con un mondo più aperto, alcuni avevano lasciato i Testimoni.
Dunque, ho cominciato a lavorare ma più di tutto ero una brava “pioniera”, come si chiamano i predicatori che i TdG inviano di casa in casa; dedicavo a quell’attività circa tre ore al giorno, anche perché chi lo fa viene più considerato dal gruppo, ha più amici, eccetera. Non crediate però che ciò significasse un vero confronto con altri ambienti: ai TdG viene insegnato che cosa bisogna dire in ciascuna situazione, parola per parola. Ciò nonostante, per un certo periodo mi applicai con soddisfazione alla mia missione, perché in generale mi piace il contatto umano e soprattutto perché ero convinta di poter salvare la vita di persone che non conoscevano la verità e sarebbero morte nel l’entusiasmo è calato».
Quando è successo?
«A 18 anni mi ero battezzata (al momento fu una scelta convinta, ma ora so che fui indotta da molte pressioni e dall’ambiente in cui ero immersa) e ho conosciuto colui che sarebbe diventato mio marito. Anche il fidanzamento tra i TdG è molto condizionato, anzitutto perché frequentare un non Testimone è fortemente sconsigliato e dunque la possibilità di scelta di un compagno di vita è limitata, ma poi anche perché è vietato rimanere da soli tra due fidanzati. Così, per un anno e mezzo ho potuto incontrare il mio ragazzo solo in situazioni controllate e tutto sommato artefatte, in cui era difficile conoscersi davvero; ho finito per sposare uno sconosciuto».
Lei sta descrivendo una situazione al limite del credibile…
«L’ambiente dei TdG è molto condizionante: ti senti libero ma in realtà non lo sei, e solo se riesci a uscirne ti accorgi delle pressioni che hai subìto. Per me è avvenuto con le prime difficoltà dal matrimonio: mio marito ha cominciato a essere violento, prima con insulti e minacce e poi con percosse fisiche. Non credo dipendesse dalla nostra religione di allora, tuttavia il modo di vivere dei TdG – così chiuso e controllato – finisce per enfatizzare il carattere della persona, che sia buono o cattivo; nel mio ex marito dunque l’essere Testimone potrebbe aver rivelato in modo più crudo e rapido una tendenza alla violenza. Oltre al fatto che la donna viene considerata inferiore dai TdG, mai a parole ma di fatto sì; i maschi infatti fanno carriera e diventano “anziani”, mentre le femmine non possono nemmeno insegnare in presenza di un uomo e – se sono costrette a farlo – devono coprirsi la testa. Così, quando chiedevo aiuto contro la violenza domestica, mi veniva risposto che la colpa era mia, che dovevo essere più sottomessa, eccetera».
È lì che ha deciso di lasciare i Testimoni?
«La goccia che ha fatto traboccare il vaso sono stati gli abusi subìti da mia figlia bambina da parte del nonno paterno. Quando li ho scoperti, ho fatto ricorso per prima cosa agli “anziani” della congregazione, perché pensavo che dovessero aiutare i fedeli in difficoltà come me. Invece, sono stata scoraggiata dallo sporgere denuncia e dal cercare aiuto psicologico, hanno rifiutato persino di espellere il mio ex suocero senza due testimoni che attestassero i fatti e insomma mi hanno accusato di non avere abbastanza fede in Geova! Non li ho ascoltati: prima ho sporto denuncia, poi ho lasciato mio marito e da allora sono stata emarginata dalla comunità; nessuno dei TdG mi ha aiutato. Pensate che per un po’ sono stata ospite di mio fratello, ma mi ha cacciato con la bambina di 7 anni perché per un aspirante “anziano” non era un buon esempio tenere in casa una donna separata. Per contro, ho avuto una mano concreta dalla Caritas, cui mi sono rivolta e dove nessuno mi ha chiesto preventivamente di che religione fossi. Gli “anziani”, saputolo, me l’hanno proibito; ma ho avuto gioco facile a rispondere: “Se mi date una mano voi, non frequenterò più i cattolici”. Nessuno si è presentato. Allora ho scritto una lettera di dimissioni: non volevo più essere Testimone».
Quanti anni fa è successo?
«Quattro. A 32 anni mi sono così trovata completamente sola con la mia bambina, senza più amici, senza familiari. Mia mamma ha ricominciato ad avere rapporti con me solo recentemente, ma per via telefonica. Tra i miei fratelli (tutti Testimoni) ho contatti solo col maggiore, perché nel periodo in cui era in crisi con la congregazione sono stata l’unica che gli rivolgesse la parola. Gli altri sono praticamente spariti dalla mia vita. Esistono del resto pubblicazioni geoviste che prescrivono che con i traditori bisogna interrompere assolutamente ogni rapporto, persino il saluto: non si deve essere amici di chi ha rinnegato Dio. Conosco ex Testimoni che hanno perso anche il lavoro, perché erano stati assunti da imprenditori TdG».
Perché ha scritto un libro sulla sua esperienza?
«Anzitutto per mia liberazione personale, per fare i conti col mio passato. E poi perché contavo che avrebbe potuto essere d’aiuto per altri in situazioni simili. Mi sono ripromessa che nessun Testimone in difficoltà che avessi incontrato avrebbe dovuto essere lasciato solo, come era capitato a me. Col mio attuale compagno – anche lui un ex “anziano” Tdg – siamo infatti attivi nella lotta contro le sette, abbiamo organizzato conferenze sui meccanismi della manipolazione mentale. Conosco tanti ex che vivono nel rancore e nella rabbia per quello che hanno vissuto o nella paura di essere condannati per sempre. Invece sono soltanto vittime, esattamente come lo sono stata io; che però sono riuscita a venirne fuori, anche se è stato difficile».
Per saperne di più…
Marta De Rossi, Geova mi ha deluso, non Dio. Una donna riscopre Dio e l’amore, EDB, Bologna 2012.
IL TIMONE N. 117 – ANNO XIV – Settembre/Ottobre 2012 – pag. 42 – 43
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