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14.12.2024

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Gesù Bambino. Devozione tenera e teologica
31 Gennaio 2014

Gesù Bambino. Devozione tenera e teologica

 

 

Il Bambino Gesù è il Redentore. Una volta, i canti e tanta arte natalizia ponevano il Gesù neonato in diretto contatto con la sua futura passione e morte. E spiegavano così il motivo della sua venuta sulla terra. Intervista a don Michele Dolz


 

Il suo importante e serio libro dedicato al «Dio Bambino», ovvero alla storia della devozione per il Bambinello del presepe «dai Vangeli ad Edith Stein», sta per uscire proprio in questi giorni natalizi in Spagna, la sua nazione d’origine. Perché don Michele Dolz, 56 anni, è nato appunto nella Penisola iberica anche se vive in Italia ormai da 35 anni e l’edizione originale del volume l’aveva pubblicata qualche anno fa da Mondadori.
Ma questo sacerdote colto (è laureato in pedagogia e teologia e si occupa con competenza di storia dell’arte, religiosa e no) qualcosa della sua passione per il presepio e per il culto a Gesù Bambino la deve senz’altro alla sua patria, dove santa Teresa d’Avila si aggirava tra i chiostri dell’austero Carmelo tenendo in braccio e vezzeggiando una statuetta del Divino Infante e da dove si è diffusa nel mondo la curiosa devozione per il Piccolo Re, ovvero il Bambino (oggi noto con l’appellativo “di Praga”) incoronato e vestito come un principe del Settecento. Tradizioni affascinanti e – diciamolo – anche un poco misteriose.

«O Bambino mio divino, io ti vedo qui a tremar…». Certo, Gesù nella grotta di Betlemme fa tenerezza, molto più del Cristo adulto che muore in croce sofferente e sporco di sangue; ma don Michele, non si tratta di una devozione un po’ “facile”, un po’ consolatoria, diciamo un poco sentimentale?
«È Dio che ha voluto incarnarsi e venire tra noi anche come vero uomo. Cristo – lo dice lui stesso – è l’unica porta per giungere al Padre. E noi lo conosciamo attraverso la sua umanità. Meditare e contemplare l’umanità di Cristo non è un optional: fa parte del progetto della redenzione. Ciascuno preferirà un’immagine di Cristo, compresa quella della sua infanzia, certamente più accessibile. Dopo di che, tutte le espressioni religiose corrono il rischio di un’emotività fine a se stessa. Si tratta di scongiurarlo con una adeguata formazione».

Solo due Vangeli parlano dell’infanzia di Gesù, così molte delle nostre usanze natalizie sono in realtà collegate alla tradizione o agli apocrifi: cioè agli scritti non accolti tra quelli “ufficiali” della Chiesa. Non rischiamo dunque di mescolare vero e falso, facendo magari credere che anche la vita di Cristo è una bella favola?
«I racconti apocrifi dell’infanzia di Gesù hanno avuto un successo enorme fino al concilio di Trento. Tanta arte cristiana di valore altissimo li riprende e raffigura, basti pensare al Giotto della Cappella degli Scrovegni a Padova. Ma in questo caso si può dire che non hanno fatto del male alla vera fede. Mi piace considerarli un po’ come le fiction dell’epoca, una messa in scena come le sacre rappresentazioni. Il concilio di Trento tuttavia pensò bene di fare a meno di quei testi e di quell’arte. Il rischio della favola – ahimè – ce l’abbiamo noi oggi, quando in certi ambienti la storia di Gesù Bambino appartiene allo spettacolo buonista del Natale, insieme ad “altre” fiabe».

In passato, anche per l’elevata mortalità infantile, la considerazione sociale dei bambini era piuttosto bassa e dunque il culto di Gesù Bambino (spesso addirittura raffigurato come un piccolo re…) poteva avere un significato forte. Oggi invece i bambini – almeno in Europa – sono già tutti dei “piccoli re” viziati e vezzeggiati. In che senso dunque l’adorazione di Cristo nella culla è ancora attuale?
«Nell’unico senso che ha e che ha sempre avuto: il Bambino è il nostro Redentore. Insomma: o si capisce chi è Cristo o non si capisce un accidente della fede cristiana. Ci vuole una catechesi, una formazione più teologica e meno banale. Gli antichi canti di Natale e tanta arte natalizia ponevano il Gesù neonato in diretto contatto con la sua futura passione e morte, vale a dire con il sacrificio redentore, motivo della sua venuta sulla terra. Certe Madonne dipinte da Giovanni Bellini hanno lo sguardo perso al pari di quello del Bambino, si affacciano su un parapetto marmoreo che rimanda al sepolcro, pongono in mano al Bambino una mela, ad esempio, per alludere alla redenzione del peccato originale, e così via. Questa è vera e propria teologia per immagini».

Quali sono a suo parere gli aspetti della devozione a Gesù Bambino su cui puntare e quelli invece che è meglio lasciare perdere?
«In parte l’ho già detto. C’è bisogno delle immagini per smuovere la devozione. Gli storici tentativi di farne a meno sono stati fenomeni di nicchia e hanno avuto durata breve. L’immagine di Gesù Bambino, prima materiale e poi interiore, può suscitare un rapporto molto affettivo. Gesti come i baci, i canti e altri non sono da buttar via perché compongono il linguaggio della fede. Appartengono trasversalmente al senso religioso dell’uomo e perciò si trovano in diverse religioni. Ovvio che ci sono state – in passato, non credo oggi – delle esagerazioni che più che devozioni sembrano nevrosi, una sorta di perversione della pietà per via di eccesso. Invece, quante famiglie trovano giovamento nella statuetta del Bambin Gesù esposta in casa durante le feste natalizie, e forse non solo».

C’è anche una lezione particolare per la Chiesa, proprio ora tormentata dai casi di pedofilia nel clero?
«Ci vorrà tempo per guarire questa ferita e perché non si guardi con sospetto pregiudiziale alle tante centinaia di migliaia di sacerdoti – quasi tutti insomma – che vivono una donazione vera alla gente, spesso molto sacrificata. In ogni caso, il fatto che il Figlio di Dio sia stato bambino ci aiuta a guardare i nostri bambini con occhi diversi. Ricordiamo le parole di Gesù al riguardo: “Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato” (Mc 9,37). E più avanti si legge: “Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso”. E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva” (Mc 10,13)».

 

 

 

 

Dossier: Natale e tradizioni

 

IL TIMONE N. 98 – ANNO XII – Dicembre 2010 – pag. 42 – 43

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