Tra i fondatori delle variereligioni, Gesù è unico. Nessuno si è proclamato Dio come ha fatto Lui, dimostrando di esserlo. Una ragione fondamentale per la veridicità e la credibilità del cristianesimo.
Un confronto fra il cristianesimo e le altre religioni prima ancora che sui contenuti dottrinali e morali, che pure sono importanti, deve riguardare la persona dei loro fondatori. È lo stesso Gesù che ha impostato in questo modo il problema quando ha rivolto agli apostoli quell’interrogativo inquietante che nel corso dei secoli non cessa di bussare al cuore di ogni generazione: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16,13). Paragonare Gesù Cristo a Mosé, a Buddha, a Confucio, a Maometto e così via è molto istruttivo perché, senza venire meno al rispetto per ogni esperienza spirituale, si può cogliere l’indiscutibile originalità e unicità del cristianesimo in rapporto a tutte le altre religioni.
A questo riguardo occorre innanzi tutto che gli stessi cristiani siano consapevoli del centro irradiante della loro fede, perché solo in questo modo potranno premunirsi da quella forma di relativismo che consiste nella tendenza a mettere tutte le religioni sul medesimo piano. Da questa mentalità nasce il sincretismo religioso e quella religione fai-da-te che sceglie dal supermarket della spiritualità ciò che più appaga i propri gusti. Per essere cristiani, infatti, non basta credere in Dio, come comunemente molti ritengono. Non sono cristiano perché penso che “Qualcuno” lassù ci deve pur essere. Quasi tutte le religioni infatti fanno riferimento a un Essere
supremo e non dobbiamo dimenticare che quella cristiana è stata fortemente contrastata da un monoteismo intransigente come quello ebraico.
Che cosa dunque contrassegna il cristianesimo e ne fa di esso una religione radicalmente diversa da tutte le altre? Io sono cristiano non perché credo in Dio, ma perché credo che Dio si è fatto uomo. La fede cristiana non è la credenza nell’esistenza di Dio (la quale indubbiamente è importante, ma viene data per presupposta) ma è la fede nell’evento dell’incarnazione. Tutto ciò è professato nel “Credo” che viene recitato ogni domenica: «Et incarnatus est de Maria Virgine et homo factus est» («Si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo»). Il mistero di Dio Santissima Trinità e dell’Incarnazione del Verbo sono il cuore della professione di fede cristiana, ma molti se ne rendono conto e non vedono l’originalità assoluta del cristianesimo e la sua irriducibilità rispetto alle altre concezioni religiose.
I cristiani sono coloro che credono che Gesù è il Figlio di Dio che si è fatto uomo. Guardando a Gesù di Nazareth, così come lo guardavano Pietro e gli altri apostoli, essi affermano senza esitazioni: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio Vivente» (Mt 16,16). La diversità rispetto agli altri fondatori religiosi, in particolare Buddha e Maometto, che stanno all’origine di due religioni mondiali che competono col cristianesimo nella conquista dei cuori, risulta evidente. Per il buddisti il Buddha è soltanto un uomo come tutti noi, che, cercando la salvezza ed essendo pervenuto alla illuminazione, può farci da maestro con la sua dottrina. Per i mussulmani Maometto è il profeta di Allah, ma così partecipe della condizione umana comune da aver passato buona parte della sua vita nell’esercizio del potere politico, economico e militare. Nessun buddista di stretta osservanza vi dirà che il Buddha è Dio. Un mussulmano poi e un ebreo di stretta osservanza vi confermeranno che affermare che un uomo è Dio è una bestemmia.
In questa prospettiva bisogna dunque riconoscere che il cristianesimo, in quanto centrato sul mistero dell’incarnazione, è una religione unica e assolutamente controcorrente rispetto al modo comune di pensare degli uomini. Credere che un uomo, e lui solo, è Dio e che come tale è l’unico Salvatore del genere umano, è il Signore della storia e il Giudice del mondo, risulta assolutamente “scandaloso” per l’umana sapienza. San Paolo ha parlato dello scandalo della croce, ma è lui stesso a dirci che questo scandalo è incominciato con l’incarnazione (Fil 2,7). Credere che un uomo è il Figlio di Dio «nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre» è scandaloso non solo per gli Ebrei contemporanei di Gesù, ma anche per gli uomini del nostro tempo, i quali sono disposti anche a ritenere che Gesù è uno dei più grandi uomini che siano mai esistiti, ma ritengono assurda la fede cristiana nella sua divinità. Certi riconoscimenti della grandezza umana di Gesù (riformatore religioso, rivoluzionario, filantropo, saggio, ecc…) non devono trarre in inganno. Vengono concessi, purché non si dica che lui è Dio.
Eppure Gesù nei tre anni della sua vita pubblica ha esplicitamente manifestato il mistero della sua persona divina. Possiamo dire che questo è stato il tema fondamentale della sua stessa predicazione. Il vangelo di Gesù Cristo riguarda soprattutto la sua uguaglianza col Padre, del quale è Il Figlio e dal quale è stato inviato per la salvezza del mondo. Certamente la rivelazione di Gesù riguardo se stesso è stata graduale, coinvolgendo prima gli apostoli e poi le folle, ma non vi è dubbio che le parole e i gesti da lui compiuti sono stati afferrati nel loro profondo significato ed è per questo che è stato condannato a morte dal Sinedrio dopo che, per il medesimo motivo, hanno cercato in più occasioni di lapidarlo. Gesù in nome proprio perdona i peccati, modifica la legge di Mosé con il suo autorevole «Ma io vi dico», e compie miracoli impressionanti per l’onnipotenza che esprimono. Anche i profeti prima e gli apostoli dopo compiranno miracoli, ma non facendo appello alla propria autorità personale come fa Gesù.
Oltre ai gesti, anche le parole di Gesù sono esplicite e colpiscono nel segno penetrando come spada tagliente nei cuori, per cui alcuni credono e altri gridano allo scandalo. Al riguardo è illuminante questo dialogo riportato dall’evangelista Giovanni: avendo Gesù affermato: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30), i Giudei portano delle pietre per lapidarlo. Allora Gesù domanda loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse volente lapidarmi? Gli risposero i Giudei: Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio» (Gv 10,33). Ancora più importante, per il contesto in cui è avvenuta, è la testimonianza di Gesù davanti al Sinedrio, dove appare con chiarezza che è stato condannato a morte per essersi fatto uguale a Dio. Il sommo sacerdote gli domanda: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio». «Tu l’hai detto», gli rispose Gesù, ma poi aggiunge parole, ben comprensibili ai presenti, con le quali si attribuisce l’autorità divina di giudicare il mondo: «Anzi, io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo» (Mt 26,63-64).
Che un uomo con le parole e con i gesti che compie si attribuisca un’autorità divina non è certo cosa di poco conto. Basti a questo riguardo riflettere sul fatto che in tutte le Sacre Scritture, dall’Antico al Nuovo Testamento, quello di Gesù Cristo è un caso unico.
Persino il Battista, il più grande degli uomini, come Gesù stesso ha dichiarato, è al paragone soltanto una voce che grida nel deserto (Lc 3,3). Gli uomini che hanno ascoltato la testimonianza di Gesù, e in particolare gli apostoli che hanno condiviso con lui tre anni di vita, si sono trovati di fronte a qualcosa di assolutamente inaudito e al di là di ogni attesa e immaginazione. Eppure non potevano mancare i segni di credibilità che rendessero la scelta della fede un «rationabile obsequium», e perciò sopra la ragione, ma non contro la ragione. Quali erano questi segni di credibilità?
Al riguardo non si finirebbe mai di parlare, perché la persona di Gesù è un abisso inafferrabile di luce. Però potremmo sinteticamente affermare che la testimonianza di Gesù su se stesso era credibile per l’eccelsa santità, di fronte alla quale quella degli uomini più santi è come un lucignolo fumigante davanti al sole; per la sublime sapienza, per cui anche i non credenti, che abbiano la mente sgombra di pregiudizi, non hanno difficoltà a ritenere gli insegnamenti di Gesù contenuti nel vangelo i più elevati che mai siano usciti da una bocca e un cuore d’uomo; per la potenza di miracolo che si esercita in nome proprio non solo sulle malattie e la morte degli uomini, ma anche sul regno della natura e soprattutto sull’impero delle tenebre che trema e indietreggia quando Gesù lo comanda.
Questi motivi di credibilità che hanno aiutato non pochi, pur nel rigido contesto del monoteismo ebraico, a credere alla testimonianza di Gesù, hanno poi avuto il sigillo della sua gloriosa resurrezione, con la quale Gesù ha dato la prova inoppugnabile di essere «Dio e Signore», come confessa l’apostolo Tommaso (Gv 20,28).
A mio parere si dovrebbe insistere di più, in chiave apologetica, sull’eccelsa santità di Gesù e cercare di comprenderla, per quanto è possibile, nella sua profondità abissale. Comunemente si afferma con san Paolo che Gesù era un uomo in tutto simile a noi «eccetto il peccato». Questa espressione però non va intesa soltanto come se la santa umanità del Salvatore sia esente dalla ferita originale e dai peccati personali, per cui in lui non c’è quell’impulso al male che invece c’è in noi e che si esprime nella triplice concupiscenza.
In Gesù Cristo non solo non c’era il peccato, ma già nella sua vita terrena la sua umanità era una pienezza di Grazia (Gv 1,16), per cui egli poteva dire: «Filippo, chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,11). La sua santa umanità era intimamente unita alla persona divina e Gesù come uomo esprimeva in forma umana la vita e la santità di Dio. «Anche i più piccoli tratti dei misteri della sua vita ci manifestano l’amore di Dio per noi» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 516). A questo riguardo balza subito alla luce la diversità di Gesù rispetto a tutti gli altri uomini, in particolare ai grandi leader religiosi dell’umanità. Mentre essi cercano una via di salvezza (la cercò Buddha nella meditazione e Maometto nella sottomissione ad Allah), Gesù si presenta come uno che non cerca nessuna salvezza, ma al contrario la dona. Gesù non cerca la verità, ma dice di essere la verità e la luce; Gesù non cerca la felicità, la gioia, la vita, ma afferma di essere colui che dà la pace, la gioia e la vita eterna; allo stesso modo Gesù non cerca una via, ma dice di essere lui quella via che porta gli uomini alla meta.
Mentre gli uomini, anche i migliori, si sforzano di uscire dalla caverna in cui sono imprigionati (è l’immagine platonica della condizione umana), Gesù è colui che entra nella caverna per liberarli. Gesù non è un uomo che fa l’esperienza del male di vivere che tutti gli uomini fanno, ma è la medicina a questo male. Tutto questo brillava nella sua persona e quelli che l’hanno conosciuto e hanno aperto il cuore hanno compreso il mistero dell’Emmanule, di Dio con noi.
LA VERA RELIGIONE
«Benchè taluni storici delle religioni pongano il Cristianesimo tre le “religioni del Libro”, esso è più veramente e radicalmente “la religione di una Persona viva: Gesù Cristo”. Infatti nel Cristianesimo il posto centrale non è occupato da un “Libro” – la Bibbia – ma dalla Persona di Gesù Cristo».
(Jean-Merie de la Croix, Le religioni e la Religione, Mimep-Docete, Pessano 1990, p. 101).
«La “Religione” è prima di tutto un fatto “conoscitivo”: è la conoscenza vera che l’uomo ha del vero Dio. E poichè Dio è uno solo, anche la conoscenza vera di Dio che tutti gli uomini possono avere è una sola. Uno può arrivare a Dio anche partendo da una religione non vera: ma a un certo punto del cammino – se cerca l’unico Dio vero – dovrà necessariamente convergere verso l’unica Verità, abbandonando gli errori prima creduti ed abbracciando l’unica Religione vera».
(Jean-Merie de la Croix, Le religioni e la Religione, Mimep-Docete, Pessano 1990, pp. 27-28).
Dossier: La vera religione
IL TIMONE – N. 46 – ANNO VII – Settembre/Ottobre 2005 – pag. 39 – 41