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12.12.2024

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Giovanni XXIII, incallito tradizionalista?
31 Gennaio 2014

Giovanni XXIII, incallito tradizionalista?

 

 

Lo dipingono come progressista e innovatore.
Ma voleva dal clero una ferrea disciplina e difendeva l’uso della lingua latina nella Chiesa.
Poi è cominciata l’opera di disinformazione sulla sua figura…

 

 

Il 29 agosto 1962, memoria liturgica di san Giovanni Battista, all’udienza pubblica di Giovanni XXIII a Castelgandolfo partecipa anche un folto gruppo di pellegrini bergamaschi, che accolgono il Papa con fragorosi battimani e sventolii di fazzoletti. Roncalli si rivolge a loro con queste parole: “Voi siete venuti per incontrarmi, ed è una bella cosa. Con l’occasione, naturalmente, visiterete Roma, i suoi monumenti, e sarà anche un po’ una scampagnata. Pure questo va bene. Ma la Chiesa è un’altra cosa. La Chiesa è il sangue, è il martirio di san Giovanni Battista…”. E ripete: “La Chiesa è il sangue, la testimonianza fino sangue”. Accanto alle sue eccezionali caratteristiche di pastore, da questo episodio emergono la fermezza dottrinale e il profondo senso soprannaturale del futuro Beato. Una sorpresa per molti. Nell’album dei ricordi del XX secolo l’immagine bonaria e rassicurante di Giovanni XXIII non manca mai. Peccato che a livello di divulgazione popolare e di comunicazione mass mediatica si continui a presentare un mito, uno stereotipo, più che una persona in carne e ossa, un uomo di Dio che andrebbe apprezzato e conosciuto per quello che ha fatto e detto realmente, con le sue virtù e i suoi vizi, anziché essere utilizzato per proiettare sulla Chiesa un’immagine falsa e comoda di “buonismo”.
L’anno della beatificazione (il 2000) ha costituito l’occasione per una nuova serie di ricerche e pubblicazioni rigorose sulla sua vita e il suo operato, dopo che per anni, forse decenni, era mancato un approfondimento documentato e puntuale. Ma tali studi, purtroppo, sono stati presto dimenticati e messi da parte, complici anche due sciagurati film per la tv in cui Rai e Mediaset hanno fatto a gara per semplificarne eccessivamente la figura, alimentando i luoghi comuni su di lui, fino al punto di inventare persone e circostanze. Così, quest’anno, il 2003, l’anno del quarantesimo dalla morte e della pubblicazione della “Pacem in Terris” (l’enciclica diventata più famosa, non necessariamente il documento più significativo del suo pontificato), si è rifatto vivo il “partito” di chi usa a piacimento Papa Roncalli per sostenere le proprie (gracili) idee politiche e le proprie (banali) concezioni ecclesiali.
Noi vorremmo invece attenerci al pieno rispetto della verità storica, tutta intera.
Non è corretto, infatti, creare a posteriori la rappresentazione falsata di un personaggio, sottolineando in maniera esasperata solo alcuni aspetti della sua biografia, quelli più convenienti, e tacendone al contrario altri, quelli, come oggi si dice, meno “politicamente corretti”. Proviamo a fare alcuni esempi, facendo emergere in tal modo quasi un Papa Giovanni sconosciuto, segreto, in realtà censurato e obliato.

La disciplina del clero
Il 25 gennaio 1959, nella basilica di San Paolo fuori le mura, Giovanni XXIII non dà solo l’annuncio inatteso della sua intenzione di convocare un nuovo Concilio; comunica anche l’imminenza di un Sinodo per la diocesi di Roma (il Papa ha anche la responsabilità episcopale della diocesi di Roma), che dirigerà personalmente dal gennaio 1960.
I lavori dureranno un anno, per giungere a una serie di conclusioni, contenute in 775 articoli, alcuni dei quali sorprendenti. Sulla falsariga di una disciplina del clero di tipo tradizionale, si stabiliscono regole molto rigide per i preti: nessun sacerdote della diocesi di Roma può frequentare sale cinematografiche, lo stadio e altri locali pubblici; è proibito viaggiare in automobile con una donna, anche quando si tratta della madre o di una sorella; si pretende la sobrietà del vitto ed è obbligatoria la veste talare, Sul piano liturgico, si impone l’uso del gregoriano, i canti popolari di nuova invenzione devono essere approvati, si allontana dalle chiese ogni profanità, vietando in generale che negli edifici sacri si eseguano spettacoli e concerti, si vendano stampati e immagini, si scattino fotografie. Si condanna ogni creatività del celebrante, “che farebbe scadere l’atto liturgico, che è atto di Chiesa, a semplice esercizio di pietà privata”. L’antico rigore viene stabilito anche circa gli spazi sacri, vietando alle donne l’accesso al presbiterio, Ma queste norme, a cui tanto teneva il Beato Giovanni XXIII, alla fine rimasero lettera morta. Le conclusioni del Sinodo Romano, che doveva prefigurare il Concilio, caddero subito nell’oblio, e lo stesso Concilio, dove le voci “progressiste” prevalsero anche sui voleri del Papa, non le citerà neppure una volta, quasi non fossero neppure mai esistite.

La lingua latina nella liturgia
Forse la più importante disposizione del Sinodo Romano è la solenne conferma dell’uso del latino nella liturgia, come lingua ufficiale e universale della Chiesa.
Capitolo spinoso,e inquietante, quello del latino, la “lingua propria della Chiesa con la Chiesa perpetuamente congiunta” (come l’ha definita lo stesso Giovanni XXIII), Esiste una Costituzione apostolica di Papa Roncalli, praticamente sconosciuta e ignorata dalle biografie, la Veterum Sapientia, l’atto più solenne, come egli volle, del suo pontificato, al punto che la promulgazione, il 22 febbraio 1962, avvenne in San Pietro al cospetto del collegio cardinalizio e di tutto il clero romano. La Costituzione apostolica, interamente dedicata allo studio del latino, confermava la continuità della cultura cristiana con la cultura classica del mondo ellenico e romano, perché le lettere cristiane sono, sin dai primordi, lettere greche e lettere latine.
Ma è nella sua parte pratica e dispositiva, non solo in quella dottrinale, che la Veterum Sapientia si rivela di una fermezza esemplare. Il Papa ordina ai vescovi di vigilare a che nessun “novatore” s’attentasse di scrivere una parola contro la “lingua cattolica” ,A proposito degli studi ecclesiastici, stabilisce che si ridia il giusto spazio al greco e al latino, a costo di accorciare le discipline del cosiddetto cursus laicale; nei seminari le scienze fondamentali, come la dogmatica e la morale, vanno insegnate in latino, seguendo manuali scritti in latino, e “chi tra gli insegnanti apparisse incapace o renitente alla latinità, si rimuova entro un congruo tempo”!

Il dissenso all’interno della Chiesa

Guardando con attenzione nel pontificato di Giovanni XXIII, ci sono altri esempi di comportamenti che potremmo continuare a definire, con la mentalità di oggi, “politicamente non corretti”. In relazione al dissenso all’interno della Chiesa, così vivo in quegli anni, contrastano con lo stereotipo del Papa “progressista” che ci siamo fatti, almeno due episodi. Il primo è la censura del Sant’Uffizio contro il libro di don Lorenzo Milani Esperienze pastorali, condiviso da Roncalli. Venti giorni prima della sua elezione a Papa, scrivendo al vescovo di Bergamo, l’allora Patriarca di Venezia afferma: “Ha letto, Eccellenza, la Civiltà cattolica del 20 settembre circa il volume Esperienze pastorali?
L’autore del libro deve essere un povero pazzerello scappato dal manicomio. Guai se si incontra con qualche pazzerello della sua. specie! Ho veduto anche il libro. Cose incredibili”. L’altro provvedimento è il monito del Sant’Uffizio, pubblicato i1 30 giugno 1962 con il consenso del Papa, contro le ultime opere del discusso teologo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin, il gesuita-scienziato morto nel 1955, a 74 anni: “Fa troppo spesso un’indebita trasposizione”, si sostiene, “dei termini e dei concetti della sua teoria evoluzionistica sul piano metafisico e teologico”.
Alzino la mano i teologi che hanno tenuto conto di questo giudizio condiviso dal Papa “buono”…

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Vincenzo Sansonetti, Un santo di nome Giovanni, Sonzogno, Milano 2000.
Andrea Tornielli, Vita di un Padre Santo, Gribaudi, Milano 2000.
Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, Formidabili quei Papi, Pio IX e Giovanni XXIII: due ritratti in controluce, con prefazione di Luigi Negri, Ancora, Milano 2000.

 

 

 


IL TIMONE N. 27 – ANNO V – Settembre/Ottobre 2003 – pag. 14 – 15

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