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13.12.2024

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Giovannino Guareschi
31 Gennaio 2014

Giovannino Guareschi

Cattolico, scrittore, “reazionario”, inventore di “don Camillo e Peppone’. Sapeva vedere il “dito di Dio” nella storia degli uomini.
Giovanni XXIII lo voleva ingaggiare per scrivere un Catechismo.

Primo maggio 1908. Un luogo, prima ancora che un giorno. Un affollarsi di voci e di volti, prima che di ore e di istanti. Un incrociarsi paradossale di spazio e di tempo che solo alla Bassa riesce a non stonare. Giovannino Guareschi è nato qui, figlio di una maestra monarchica e di un imprenditore socia lista. Lina Maghenzani lo mise al mondo nella casa di Fontanelle di Roccabianca mentre suo marito, Primo Augusto Guareschi, rimirava dalla finestra il festeggiare dei lavoratori. Primo Augusto era un socialista a modo suo: impastato della stessa forza visionaria che suo figlio avrebbe messo nell’essere reazionario. Per cui, il primo atto che si sentì in dovere di compiere fu quello di mettere in mano il figlio a Giovanni Faraboli, anche lui di Fontanelle, capo dei lavoratori della Bassa. Questi, dal canto suo, non trovò motivo per esitare: si affacciò alla finestra e annunciò ai compagni che era nato un nuovo campione dei rossi socialisti.
Dentro i primi istanti di vita di Giovannino vi sono tutti i sessant’anni che avrebbe corso di gran carriera verso la morte: per infarto, dicono i referti medici, per generosità rettificano coloro che lo hanno incontrato. Anche Faraboli, naturalmente, era fatto a modo suo. Riformista in pieno furore socialista. In esilio durante il fascismo. Di nuovo in patria al termine della guerra. Sempre povero in canna, come capita raramente a chi si occupa di politica. Non per qualunquismo o imperizia. Per semplice onestà. Tanto che tra i pochi a ricordarlo, quando morì ìn un ospizio nel 1953, vi fu il reazionario Guareschi. “Quella chiara e onesta faccia” era l’inequivocabile titolo del pezzo pubblicato su “Candido”. Lo scrittore raccontava di quando era stato a trovarlo, l’anno prima: “La chiara e onesta faccia era quella di un tempo, l’occhio era vivo, scintillante, il sorriso era sereno. Ma adesso Giovanni Faraboli è uscito dalla cronaca per entrare nella storia. Non nella Storia Grande, fatta di miti e di simboli, ma nella storia piccola, quella importante, fatta di uomini veri, di onestà e di ingegno E ancora, ricordando l’abbraccio con cui Faraboli lo presentò al mondo tanti anni prima, diceva: “E anni passeranno carichi di travaglio da questo 1° maggio, ma intanto mi rimarrà nella carne il tepore delle mani forti di Faraboli”. Tutto quello che è rimasto di questo socialista è un monumento sulla piazza principale di Fontanelle, a cinquanta metri dalla casa dove è nato Guareschi. È il ritratto di Peppone e ci vuole del bello e del buono per non scambiarlo con il sindaco di Mondo piccolo. Del resto, per mettere al mondo il suo personaggio, lo scrittore non fece altro che dare vita letteraria a cuore, cervello e anima del vecchio sindacalista.
Uomini e donne del narrare guareschiano sono tutti fatti così. Raramente sono personaggi che spuntano dalla Storia Grande. E, se lo fanno, è solo perché cercano rifugio in un mondo in cui l’anima di Giovannino è pronta ad accogliere tutti.
Dunque, se Peppone è figlio della storia piccola, lo deve essere pure don Camillo. Anche lui spunta dall’infanzia dello scrittore. E, se pure ha i tratti di più di un sacerdote in carne e ossa, ha comunque tutta l’anima di un frate francescano, padre Lino Maupas. Da ragazzo, Guareschi ebbe modo di conoscere a Parma questo religioso, di incontrarlo e, poi, di venerarlo. Padre Lino era il frate dell’Oltretorrente, la terra dei reietti della città. Proteggeva gente di ogni risma dal rigore della questura e faceva, da solo, baluardo contro i facinorosi che assaltavano le chiese. Morì nel 1924 mentre stava questuando per i suoi poveretti. Le stigmate del suo amore folle e disperato per Dio e per il prossimo sono passate tutte nel parroco di Mondo piccolo. Nel febbraio del 1968, Guareschi ricordava padre Lino sul “Borghese”: “Un frate che rubava ai ricchi per dare ai poveri, che difendeva i rivoluzionari rossi, che non esitava a entrare nelle case di tolleranza per questuare dalle prostitute indumenti e denaro da distribuire ai poveri neonati dell’Oltretorrente, un frate che (io lo ricordo bene) girava per la città con fascine sulle spalle o reggendo a fatica grosse pentole di minestra, e, quando una madre non aveva più latte, prendeva amorevolmente il povero bambinello affamato tra le braccia e girava in lungo e in largo fino a quando non trovava una donna disposta a regalare qualche poppata al piccolo infelice, rappresenta qualcosa di meraviglioso se si pensa ai tempi in cui ciò avveniva”. Padre Lino fu perennemente nel cuore dello scrittore, che avrebbe anche voluto scrivere un film su di lui. Nel 1954, in carcere per l’affare De Gasperi, scrisse in uno dei suoi appunti: “Padre Lino. Perché lo volete far Santo? Perché volete allontanarlo da noi uomini comuni, mettendolo su un eccelso piedestallo. Non qualificatelo uomo d’eccezione. Lasciatelo nella categoria degli uomini comuni. Non parlate dei miracoli che egli compì da morto. Parlate solo delle cose buone che Egli fece da vivo. Non lo portate in Cielo: il Cielo non ha bisogno di Santi. Lasciatelo qui in terra. Il suo altare è qui in terra, nei nostri cuori”.
Un’invocazione molto simile a quella che, l’anno prima aveva scritto in morte di Faraboli. Segno che le strade degli uomini si incontrano sempre, quando cercano la verità. Fu sicuramente questa capacità di vedere il dito di Dio nelle vicende di ogni essere umano ad affascinare un uomo come Angelo Giuseppe Roncalli. Lettore delle vicende di don Camillo, una volta Papa col nome di Giovanni XXIII, il pontefice contadino fece chiedere nel 1959 a Guareschi di scrivere un catechismo. I loro mondi erano fatti per intendersi. Ma lo scrittore pensò che la Chiesa avesse già troppi problemi per caricarla di altri. Ma, quella volta, sbagliava. Il Papa non è sempre infallibile: ma ha spesso ragione.

Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro [a cura di], don Camillo, il Vangelo dei semplici, Ancora, Milano 1999.
“Grazie a questo volume originale viene realizzato una specie di Vangelo ritagliato da alcuni racconti di Giovannino Guareschi, letti, interpretati e scavati, con acutezza e finezza, da vari esegeti di mano sicura e di vista aguzza. Una tonaca, anzi una porpora (cardinale Giacomo Biffi) e quattro laici (Giovanni Lugaresi, Giorgio Torelli, Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro), tutti impegnati a rintracciare il sottofondo religioso e le provocazioni evangeliche di Guareschi, a setacciarne le perle ad alto contenuto di fede. Giovannino, da questi scampoli significativi, si rivela un ottimo teologo, anche se – per fortuna sua e nostra – non nel senso classico e intellettualistico del termine. […] Ignorare un narratore del calibro di Giovannino Guareschi, scrittore sanguigno, ricco di umori, portatore sano di provocazioni evangeliche, capace di raccontare la fede dei semplici, è un lusso che proprio non possiamo permetterci”. (dalla Prefazione di Alessandro Pronzato).

Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro [a cura di], qua la mano don Camillo. La teologia secondo Peppone, Ancora, Milano 2000.
Comunista tutto d’un pezzo o teologo di provata dottrina? Senzadio pronto a tutto o grande anima cristiana? Basta scorrere queste pagine per non avere dubbi sull’ortodossia cattolica di Peppone. Il sindaco comunista creato da Giovannino Guareschi ha parecchio da dire sulla vita e sulla morte, sulla gioia e sul dolore: in altre parole, sulla fede. E lo fa in maniera tanto cristallina da lasciare senza parole, – invitando allo stupore. Dopo don Camillo, il Vangelo dei semplici, personaggi di Mondo piccolo tornano in questa nuova raccolta a dire la loro sulle questioni decisive per ogni esistenza umana. Lo schema è sempre lo stesso: un brano del Vangelo, un racconto, un commento (di Michele Brambilla, Giovanni Lotto, Giovanni Lugaresi, Alessandro Maggiolini, Giorgio Torelli, Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro, Roberto Laurita). E il lettore, preso per mano dal teologo Peppone, ci può mettere del suo, sicuro di non correre rischi”. (dalla seconda di copertina).

TIMONE N. 19 – ANNO IV – Maggio/Giugno 2002 – pag. 48 – 49

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