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5.12.2024

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Giubileo: che cosa rimane?
31 Gennaio 2014

Giubileo: che cosa rimane?

 

 

Un bilancio dell’anno giubilare: Dio presente nella storia dell’uomo per salvarlo; la Chiesa ne è testimone; la fede è forza e compito dei cristiani: genera cultura, purché non sia tradita.
Dal Giubileo rinasce la missione di portare Gesù Cristo ad ogni uomo.

1. Gesù Cristo è stato l’effettivo protagonista del Giubileo. È accaduta una ripresa di contatto con il mistero della Sua Presenza, nella coscienza e nel cuore di milioni di persone, in tutto il mondo. In Lui i cristiani hanno trovato, nella oggettività del mistero della Chiesa e per la testimonianza di Giovanni Paolo II, la definitiva presenza di Dio alla vicenda umana. È per questa presenza, e soltanto per questa presenza, che l’uomo può essere accolto fino alla profondità misteriosa ed inevitabilmente ambigua del suo cuore, e coinvolto nell’esperienza di una salvezza reale, che comincia già nella storia. Per moltissimi non credenti è stato “trovare” o “ritrovare” una Presenza carica di promessa. Una promessa di verità e di liberazione, al di là di tutte le illusioni e delusioni dell’ideologia, al di là delle violenze che hanno caratterizzato e caratterizzano una società senza Cristo e senza Dio. Una presenza dunque assolutamente pertinente l’uomo: perché riguarda l’uomo, nella sua natura profonda, nel suo inesorabile ed inesauribile desiderio del vero, del bene, del bello e del giusto. Perché “l’uomo supera infinitamente l’uomo” (B. Pascal).
2. Nella persona e nella testimonianza di Giovanni Paolo II innanzi tutto i cristiani hanno imparato che Cristo si rende presente nella testimonianza dei “suoi” e che la Chiesa è il luogo di questa permanente e reciproca testimonianza. Milioni di persone hanno “reincontrato” Gesù Cristo, nella testimonianza del Papa. Questo Papa vecchio, malato, che non nasconde i segni delle sue molte fragilità. Ha detto al mondo con le sue parole e con i suoi gesti che egli vive di Cristo e per comunicare Cristo. Così, paradossalmente ma realmente, la stessa debolezza è stata in qualche modo trasfigurata ed è diventata segno della presenza di Cristo e del suo potere di cambiare l’uomo e la realtà. Così abbiamo imparato che la Chiesa è un popolo di “testimoni” del Signore risorto e che appartenere alla Chiesa è innanzi tutto riconoscere la testimonianza di Cristo come sostegno della unità e desiderare di essere, a nostra volta, testimoni di Cristo di fronte al mondo. Noi siamo di Cristo e, di fronte ad ogni persona e ad ogni situazione, non possiamo far altro che comunicare Cristo “redentore dell’uomo, centro del cosmo e della storia” (cfr. Redemptor hominis, 1).
3. Per l’evidenza in noi di tutto questo, sentiamo di dover dire, con più forza, con più decisione, ma anche con più sacrificio il nostro “NO” al tradimento della fede. La fede è tutta la nostra forza e tutto il nostro compito. Per questo non possiamo vendere la nostra “primogenitura” per nessun “piatto di lenticchie”. Non per il compromesso con le ideologie mondane, non per mantenere privilegi o potere nella società. Affermando la totalità di Cristo per la nostra vita e per cuore del mondo noi aiutiamo l’uomo a combattere contro tutti i progetti totalitari (anche quello insidiosissimo ed attuale della tecnocrazia) con le inevitabili conseguenze di violenza nei confronti dei più poveri, primi fra tutti i giovani. Per noi la fede rivissuta nel giubileo è, ancor più chiaramente che nel passato, fonte di cultura: concezione adeguata dell’uomo e della realtà, impeto ad affermare il valore dell’uomo come irrinunciabile, in qualsiasi situazione e di fronte a qualsiasi difficoltà. Nella radicale povertà della nostra fede sta tutta la nostra forza. “Tutto posso in Colui che mi da forza” (S. Paolo).
4. Così dalla celebrazione del grande Giubileo rinasce l’impegno alla missione. Ci è stata data la grazia della fede perché diventi movimento missionario nel mondo, per la verità e per la libertà di ogni uomo. Nostro compito è quello di portare Cristo di fronte al cuore di ogni uomo, nella concretezza della vita ed attraverso la concretezza della vita. È, infatti, la nostra vita quotidiana – resa diversa dalla presenza del Signore – che diventa segno della sua presenza e capace di comunicarla.
Secondo la grande intuizione di Giovanni Paolo II “era necessario che l’eroico diventasse quotidiano perché il quotidiano diventasse eroico”. Nel quotidiano delle nostra vita, la certezza di Cristo si dirà al cuore dell’uomo come il grande annunzio e la grande promessa di cambiamento: e così ogni uomo dovrà correre positivamente il rischio della propria libertà. La missione diventa così il più significativo strumento di valorizzazione della libertà dell’uomo.

 

 

IL TIMONE N. 11 – ANNO III – Gennaio/Febbraio 2001 – pag. 14-15

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