Dopo che Giuda aveva rivelato al viceré che tornare dal loro padre senza Beniamino avrebbe significato farlo morire nell’angoscia più grande, dovette esserci qualche momento di silenzio. Non è facile immaginare gli sguardi terrorizzati dei fratelli di Giuseppe. Forse erano caduti nelle mani di un pazzo che misteriosamente si accaniva contro di loro. Prima li aveva accusati di essere spie, poi aveva imprigionato Simeone, aveva voluto indagare sulla loro famiglia, aveva sempre rimesso il denaro del grano acquistato nei loro sacchi e ora voleva tenere presso di sé Beniamino. Chi poteva salvarli dalle sue mani? Nella tensione inimmaginabile, risuona alto un grido del viceré: «Fate uscire tutti dalla mia presenza!». Gli egiziani escono prontamente. Giuseppe rimane solo di fronte alla costernazione di quegli undici uomini.
È scritto che egli allora «diede in un grido di pianto e tutti gli Egiziani lo sentirono e la cosa fu risaputa nella casa del faraone. Giuseppe disse ai fratelli: “lo sono Giuseppe. Vive ancora mio padre?”». Glielo avevano detto e ridetto che suo padre era vivo, ma in quella domanda c’è tutto il pathos dei tredici anni trascorsi senza saper nulla di lui, senza potergli far sapere che anch’egli era vivo.
È scritto che i suoi fratelli dopo quel grido sono come atterriti. Il loro primo pensiero sarà stato: siamo nelle sue mani, ora può vendicarsi. Ma Giuseppe dice ancora: «Avvicinatevi a me. lo sono Giuseppe, il vostro fratello, che avete venduto per l’Egitto. Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita. Perché già da due anni vi è la carestia nel paese e ancora per cinque anni non vi sarà né aratura né mietitura. Dio mi ha mandato qui prima di voi per assicurare a voi la sopravvivenza nel paese e per salvare in voi la vita di molta gente. Dunque non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio ed egli mi ha stabilito padre per il faraone, signore su tutta la sua casa e governatore di tutto il paese d’Egitto. Affrettatevi a salire da mio padre e ditegli: Dice il tuo figlio Giuseppe: Dio mi ha stabilito signore di tutto l’Egittto. Vieni quaggiù presso di me e non tardare. Abiterai nel paese di Gosen e starai vicino a me tu, i tuoi figli e i figli dei tuoi figli, i tuoi greggi e i tuoi armenti e tutti i tuoi averi…; affrettatevi a condurre quaggiù mio padre. Allora egli si gettò al collo di Beniamino e pianse. Anche Beniamino piangeva stretto al suo collo. Poi baciò tutti i fratelli e pianse stringendoli a sé». Questa pagina è un’anticipazione suggestiva di quanto è descritto nei Vangeli e nelle Lettere apostoliche. San Giovanni scrive: «Dio è amore; se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri…; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui». Gesù aveva detto: «Amate i vostri nemici… siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».
Ora Giuseppe realizza questa perfezione. Egli vive nella rettitudine più grande, nell’amore; Dio gli ha fatto dono del suo spirito e anche di una grande intelligenza. Egli fu capace di amministrare i beni del faraone con giustizia e con accortezza, assolvendo il suo compito con fedeltà. L’interpretazione dei sogni del faraone fu causa di salvezza per l’Egitto e per tanti altri popoli. Ora ha di fronte quei suoi fratelli che l’avevano odiato ingiustamente, eccetto Ruben e Giuda, al punto di valerlo uccidere. Egli aveva conosciuto la loro malizia e, ciò che era stato ancora più tremendo, la loro indifferenza nei confronti del loro padre. Sapevano quanto egli avrebbe sofferto per la sua morte, ma non avevano esitato a fargli credere che una belva lo aveva sbranato.
E anche ora i loro cuori erano ottenebrati. Fin dopo la morte di Giacobbe, temettero che Giuseppe potesse vendicarsi di loro. Chi è perverso non conosce l’immenso valore del perdono. È scritto che Giuseppe, piangendo, li strinse a sé uno ad uno. Sì, egli aveva conosciuto le vie del Signore: da un loro gesto di estrema perfidia, Dio aveva fatto derivare un gran bene per tutta la sua numerosa famiglia. Infatti, in Egitto, Israele sarebbe diventato un grande popolo. Ma ora Giuseppe vuole che quei suoi fratelli non pensino più al passato e si rallegrino con lui. Egli li ha perdonati. Ora bisogna guardare avanti, ridare gioia al cuore del loro padre, una gioia indicibile che fu come un risorgere da morte. (continua)
IL TIMONE – N. 35 – ANNO VI – Luglio/Agosto 2004 – pag. 60
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