I diritti della persona umana sono annunciati già nella sacra Scrittura. E sono alla base della giustizia. Ma per regolare i rapporti tra gli uomini serve qualcosa in più: la solidarietà. Che la Chiesa non si stanca di proclamare
Diritti della persona umana e regime di giustizia che ne consegue: non vi è dubbio che ad essi, almeno nelle intenzioni, negli ultimi tre secoli di storia sia stata rivolta un’attenzione particolare, come forse mai prima era avvenuto.
Quei diritti, che, occorre subito sottolinearlo, esistevano già tutti “in nuce” nel Vangelo e negli altri scritti del Nuovo Testamento. Basterebbe, per eliminare ogni dubbio al proposito, ricordare anche solo quel che dice san Paolo nella sua lettera ai Galati (3,28): «Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché voi siete uno in Cristo Gesù». L’incarnazione del Verbo di Dio in Gesù di Nazareth, dunque, ha svelato una volta per tutte e in modo inequivocabile da dove tragga origine quell’uguaglianza radicale tra gli uomini che il cristianesimo ha da sempre affermato: essa nasce dalla comune figliolanza divina.
Tutto questo senza se e senza ma, perché niente, nella visione dell’essenza umana che ne deriva, può farle ostacolo. Non la razza, non il censo o lo stato sociale di appartenenza, non il sesso, non qualsivoglia altra differenza. E questo perché in Gesù Cristo tutto viene azzerato e riportato ad un uguale punto di partenza per poi aprirsi ad un cammino di elevazione che è possibile per ogni uomo e che tocca vertici che giungono fino al Cielo. Una visione certamente rivoluzionaria, quella proposta dal cristianesimo, persino in quell’impero romano nel quale era stata inizialmente proclamata; impero che era la patria del diritto, ma che prevedeva istituti come quelli di una schiavitù legalizzata e tranquillamente accettata. Una visione che, tuttavia, riuscì a scalzare solo in parte le ingiustizie di allora e quelle che poi seguiranno nel corso dei secoli. Del resto, sappiamo bene che la Chiesa non ha come suo compito quello di operare direttamente il cambiamento sociale, cercando di governare i popoli. La sua vocazione, infatti, è piuttosto quella di accompagnare la storia, cercando di provocare all’interno di essa una progressiva evoluzione delle coscienze. Visione che tuttavia certamente ha contribuito in maniera decisiva a sviluppare quel concetto di persona, relativo all’essere umano, uomo o donna che sia, che sta evidentemente alla base di ogni diritto nella nostra civiltà occidentale, ma che è stato fermento positivo in tutto il mondo.
Date queste premesse, non è certo difficile sostenere come pure quella che viene considerata la svolta storica per eccellenza che ha dato origine alla modernità anche nel campo dei diritti umani – quella Rivoluzione francese che aveva per motto liberté, égalité, fraternitè – sia l’epigono di quella presa di coscienza progressiva del valore di ogni persona umana che lungo i secoli era sempre venuta dalla predicazione cristiana. Ma, al contempo, come questo evento sia anche una testimonianza assai chiara della spaccatura che si era andata ormai operando tra l’albero illuminista e le sue radici cristiane. Di come, cioè, cancellato Dio dall’orizzonte umano – come la Rivoluzione aveva tentato di fare – la riflessione sui diritti umani andava ormai compiendosi all’interno di una visione sempre più laicizzata dell’uomo e del mondo. E, proprio per questo motivo, da quel momento in poi sarebbe spesso avvenuta proprio contro quei principi cristiani dai quali in realtà era scaturita.
Nessuna meraviglia, dunque, se tale ricerca sui diritti, pur meritoria in se stessa ma ormai slegata da una visione sacrale dell’uomo, abbia finito più di una volta per avvitarsi su se stessa, ottenendo nella pratica risultati opposti a quelli che si proponeva. Pensiamo, per esempio, a quelle ghigliottine montate in nome dei diritti umani, sulle quali miseramente finì la ricerca di libertà, uguaglianza, fraternità dei rivoluzionari francesi. Oppure a quei gulag sovietici in cui finirono uccisi non solo milioni di uomini ma anche le speranze di giustizia e di uguaglianza che le ideologie sottese a quelle “svolte storiche” avevano ogni volta generato.
Ma anche la nostra epoca non è esente da queste contraddizioni. Pensiamo, per esempio, al travaglio che ha accompagnato e tuttora accompagna un gesto come l’aborto dove porre l’accento, come si fa attualmente, soprattutto sui diritti di una parte, la madre, finisce per schiacciare inevitabilmente quelli del membro più debole della relazione e cioè il nascituro. Per questo, nonostante sia stata spesso tacciata di invadenza, la Chiesa non ha mai smesso al proposito non solo di parlare ma anche di operare in tutti gli spazi che le si aprivano innanzi, ponendosi spesso come elemento di equilibrio. Un rapporto a tratti anche fortemente conflittuale che tuttavia essa si è sempre sforzata e si sforza di continuare senza sosta, anche se talvolta viene accusata – e non è difficile capire quanto ingiustamente – di essere proprio essa, con la sua visione sacrale dell’uomo e del mondo, l’ostacolo ad una affermazione piena di quelli che oggi vengono intesi come diritti umani. E che invece, spesso, nelle forme che assumono attualmente, si rivelano piuttosto come pericolosi egoismi frutto di un individualismo esasperato che la Chiesa, intuendone i pericoli, non può non denunciare.
Un contributo essenziale, dunque, quello che la Chiesa offre al mondo, anche in questo campo dei diritti della persona umana. Ma non è il solo. Perché da quella comune figliolanza divina a cui abbiamo accennato, il cristianesimo trae non solo l’uguaglianza radicale degli uomini tra loro, ma anche, e con la medesima importanza, quella fratellanza che, nel comune amore di Dio, li lega strettamente gli uni agli altri. Un particolare, quest’ultimo, importantissimo perché fa subito intuire una conseguenza di vitale importanza. E cioè il fatto che, se il riconoscimento dei diritti di ogni persona umana è certamente basilare e importante per una vita sociale che sia ordinata e giusta, tuttavia esso non è sufficiente per rendere tale vita davvero umana e felice. E che, dunque, se la giustizia può essere la base dei rapporti pubblici tra gli esseri umani organizzati in comunità, i rapporti intimi, personali tra di loro, se vogliono essere davvero soddisfacenti, hanno bisogno di salire un gradino in più. Hanno bisogno di raggiungere un livello diverso che è quello della fratellanza, che vissuta concretamente si traduce in misericordia reciproca.
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio, dente per dente”, ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti percuote la guancia destra tu porgigli anche l’altra, e a chi ti vuole chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello» (Mt 5,38). Un invito ad essere dei deboli rinunciatari che cedono ai soprusi? No, una sapienza profonda che attinge ad una fonte diversa che è quella dell’amore. Dice l’enciclica Dives in Misericordia: «L’esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all’annientamento di se stessa, se non consente a quella forza più profonda che è l’amore di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni. È stata appunto l’esperienza storica che, tra l’altro, ha portato a formulare l’asserzione: sommo diritto, somma ingiustizia (summum ius, summa iniuria). Tale affermazione non svaluta la giustizia e non attenua il significato dell’ordine che su di essa si instaura, ma indica solamente sotto altro aspetto la necessità di attingere alle forze dello spirito, ancor più profonde, che condizionano l’ordine stesso della giustizia». E continua il Papa: «Così, dunque, la misericordia diviene elemento indispensabile per plasmare i mutui rapporti tra gli uomini nello spirito della reciproca fratellanza. È impossibile ottenere questo vincolo tra gli uomini se si vogliono regolare i mutui rapporti unicamente con la misura della giustizia».
È l’atteggiamento del Padre del Figliol prodigo – icona di Dio – che sapendo perdonare e accogliere cancella la potenza viscida del male e permette al bene di ripartire. Permette a quell’uomo, che nell’errore e nel peccato aveva oscurato la sua dignità, di ritrovarla nell’amore che gli ha mostrato colui che aveva offeso. Permette, infine, a colui che comprende e perdona, di arricchire enormemente il proprio cuore, facendo esperienza di quell’amore paziente e benigno che lo avvicina sempre più a Dio.
Ricorda
«(…) là dove il peccato perverte il clima sociale, occorre far appello alla conversione dei cuori e alla grazia di Dio, per ottenere cambiamenti sociali che siano realmente al servizio di ogni persona e di tutta la persona. La carità, che esige e rende capaci della pratica della giustizia, è il più grande comandamento sociale».
(Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 404).
IL TIMONE N. 111 – ANNO XIV – Mrzo 2012 – pag. 56 – 57
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