Approfittando della solidarietà internazionale per soccorrere le vittime del maremoto, le solite agenzie dell’ONU dirottano i soldi per diffondere aborto e contraccezione. Un modo per neutralizzarle: donare soltanto a organizzazioni di cui si conoscono le finalità.
Raccogliere soldi. Non c’è dubbio questa sia diventata la risposta stand a ogni tipo di problema che si presenti nella nostra società. Malattie, disastri, emergenze di qualsiasi tipo, l’unica risposta raccogliamo soldi. La tragedia dello tsunami che scorso 26 dicembre ha colpito il Sud Est asiatico e lambito l’Africa orientale non ha fatto eccezione. pena si è avuta la percezione della gravità del disastro è partita la gara della solidarietà: giornali, associazioni private, tutti a lanciare sottoscrizioni. Un impulso di generosità certamente encomiabile per alcuni versi, commovente. Ma con il passare giorni ci si poteva legittimamente aspettare, alme dai governi e dalle Nazioni Unite, che si dicesse c chiarezza a cosa esattamente questi soldi dovrebbero servire, a quali progetti indirizzarli. Perché per rispondere ai bisogni i soldi sono una condizione necessaria, altrettanto necessario è un modo corretto di impiegarli. E invece, a livello soprattutto di istituzioni internazionali, l’accento è stato posto quasi esclusivamente sulla raccolta.
Eppure sappiamo che tra i vari attori chiamati a gestire i fondi per le vittime dello tsunami ci sono m di molto diversi di considerare il “modo corretto” impiegarli. Se ne è avuto sentore all’inizio di gennaio quando improvvisamente è scoppiata una polemica tra Stati Uniti e Nazioni Unite (di cui si è avuto riverbero anche in Italia) su chi avesse il compito gestire la ricostruzione. Ma risolta diplomaticamente la faccenda si è tornati ai soliti appelli: ci voglio soldi, date i soldi. Alla fine, tra pubblici e privati, si è arrivati a una cifra che supera i 10 miliardi di doli cifra tutt’altro che modesta: per dare un’idea equivale a poco meno del Prodotto interno lordo annuo dello Sri Lanka.
Per capire quanto la questione della “gestione fondi” sia rilevante basta dare un’occhiata al comportamento di alcune agenzie dell’ONU. L’UNFPA ad esempio, ovvero il Fondo per la popolazione: non erano passate 24 ore dal passaggio del maremoto che già annunciava lo stanziamento di 1 milione di dollari per interventi di «salute riproduttiva», concetto che nasconde l’intenzione di promuovere aborto e contraccezione a livello globale, come vedremo meglio più avanti. Passano ancora pochi giorni e l’UNFPA mette maggiormente a fuoco il suo obiettivo: in un comunicato si afferma che tra le popolazioni colpite ci sono 150mila donne in stato di gravidanza che vanno aiutate e lancia un appello per raccogliere 28 milioni di dollari. Sappiamo, purtroppo, che se queste donne cadono nelle mani del personale deIl’UNFPA, di bambini ne nasceranno ben pochi, aggiungendo vittime a vittime. In ogni caso la risposta all’appello non tarda: i primi e più generosi sono i governi del Giappone e dell’Olanda, rispettivamente con contributi straordinari di 5,5 milioni di dollari e di un milione. Nessuna sorpresa, sono tradizionalmente governi molto generosi nel sostenere i piani di controllo delle nascite. E non sorprende neanche che a ri-spondere all’appello dell’UNFPA siano fondazioni private, come la Fondazione Hewlett – storicamente legata ai programmi per sostenere la diffusione dell’aborto e della contraccezione – che già alla fine di dicembre aveva versato 1 milione e 200mila dollari per sostenere gli interventi di “salute riproduttiva” nei Paesi colpiti dallo tsunami: 900mila per l’UNFPA, 300mila per l’lnternational Planned Parenthood Federation (IPPF), che è la più importante organizzazione non governativa a promuovere l’aborto nel mondo e che dell’UNFPA è il principale partner. Si ha quasi l’impressione che questi signori abbiano in realtà una certa simpatia per lo tsunami, visto che lavorano per lo stesso obiettivo.
Qualcuno penserà che stiamo esagerando; in realtà non facciamo altro che prendere atto di ciò che la stessa UNFPA ha sempre sostenuto. Il Fondo ONU per la Popolazione infatti si descrive come «il più grosso fornitore pubblico a livello mondiale di contraccettivi, preservativi e altri elementi essenziali per la salute riproduttiva» e afferma che tali forniture «sono fondamentali per proteggere la salute riproduttiva nelle situazioni di emergenza». Allora nel comunicato del 6 gennaio, in cui si chiedono 28 milioni di dollari, l’UNFPA spiega che serviranno per «ristabilire i servizi basilari di salute riproduttiva» in Indonesia, per «ristabilire i servizi di salute riproduttiva», per l’acquisto di «prodotti di salute riproduttiva» e la promozione della «salute riproduttiva per gli adolescenti» alle Maldive, e per rispondere alle «urgenti necessità di salute riproduttiva» e sensibilizzare sui «servizi di salute riproduttiva di emergenza» in Sri Lanka.
Per saperne di più vediamo cosa troviamo nel manuale dell’UNFPA «Salute riproduttiva nelle situazioni d’emergenza». Dunque le «necessità di salute riproduttiva» per i rifugiati includono «la garanzia di disponibilità di profilattici gratuiti». Il manuale descrive anche i «kit di salute riproduttiva», pensati dall’UNFPA proprio per «l’iniziale fase acuta dell’emergenza». Ebbene, il kit include: «preservativi, contraccettivi orali e iniettabili» (inclusa la pillola del giorno dopo, che è un abortivo) e «la spirale». Di questa fornitura fa parte anche il «kit per l’emergenza ostetrica» che ufficialmente dovrebbe garantire condizioni igienico-sanitarie sufficienti per il parto, ma in realtà contiene l’«aspiratore manuale» che viene usato soprattutto per praticare aborti, ovviamente «sicuri» (secondo la terminologia ONU).
I kit sono già pronti nei magazzini dell’UNFPA in modo da «poterli distribuire immediatamente in caso di terremoti, alluvioni… o altre situazioni di crisi». Ecco perché l’UNFPA è in grado di «provvedere una risposta rapida alle emergenze, specialmente nelle fasi iniziali può far arrivare forniture di preservativi e altri prodotti nel giro di pochissimi giorni». Nel 2003 l’UNFPA ha distribuito ben 300 «kit di salute riproduttiva» in 34 «destinazioni d’emergenza»: ogni kit è in grado di coprire una popolazione di 1 0-15mila persone per un periodo di tre mesi. Ed è bene sapere che l’UNFPA non agisce da sola, ma di concerto con altre agenzie dell’ONU: Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Alto Commissariato per i Rifugiati (ACNUR) e UNICEF, con cui già dal 1995 ha creato un Gruppo di Lavoro permanente per i servizi di salute riproduttiva tra i Rifugiati (anche le vittime dello tsunami rientrano in questa categoria).
Sia ben chiaro: tutto ciò non ha lo scopo di scoraggiare la generosità, tutt’altro. Il desiderio è piuttosto che tale generosità non venga mortificata da un uso del denaro per scopi contrari a quelli voluti dai donatori. Un consiglio: donare anche con maggiore generosità – a organizzazioni e istituzioni di cui conosciamo le finalità.
Sarebbe il caso che i ‘governi occidentali che finanziano l’UNFPA – inclusa l’Italia – guardassero più attentamente a dove vengono spesi i soldi che con tanta generosità i cittadini offrono per soccorrere dei simili in difficoltà.
Ricorda
«Non è possibile rimanere indifferenti e inerti dinanzi alla povertà e al sottosviluppo.
Non ci si può rinchiudere nei propri interessi egoistici, abbandonando innumerevoli fratelli e sorelle nella miseria, e, cosa ancor più grave, lasciando che molti di loro vadano incontro a una morte inesorabile.
Facendo leva sulla capacità creativa e sulla generosità di cui l’umanità dispone per porre fine a questa piaga sociale e morale, occorre trovare adeguate soluzioni di carattere economico, finanziario, tecnico e politico.
Come però ho avuto modo di ricordare in altra occasione, tutte queste misure sarebbero insufficienti se non fossero animate da valori etici e spirituali autentici.
(Giovanni Paolo Il, Messaggio per la Giornata Mondiale del Turismo, 27 settembre 2003).
Bibliografia
Michel Schooyans, Il volto nascosto dell’ONU, Il Minotauro, 2004
Riccardo Cascioli, Il complotto demografico, Piemme, 1996
IL TIMONE – N. 41 – ANNO VII – Marzo 2005 pag. 14-15