Approfittare di una vacanza in montagna per gustare la bellezza del creato. Con l’aiuto di certi libri. Ma quali mettere in valigia? Ecco qualche suggerimento prezioso.
Il silenzio fresco e umido delle pinete profumate di resina, il quieto scampanio di una vacca da latte, la compagnia dei propri cari davanti allo scenario alpino sono l'occasione propizia per lettori incalliti o alle prime armi.
Si metta in valigia, partendo per le vacanze, il Purgatorio di Dante, avventurandosi assieme a Virgilio per i ripidi sentieri del “monte delle sette balze”, a cui va aggiunto il commento di Charles S. Sìngleton La poesia della Divina Commedia (II Mulino, 1999), nella prospettiva di un'abbondante cena dell'animo e dello spirito; non ci scoraggi l'iniziale difficoltà dell'escursione, come dice il Canto IV:
Ed elli a me: “Questa montagna è tale,
che sempre al cominciar di sotto è grave;
e quant'uom più va su, e men fa male”.
La salita offre spunti di preghiera, nei ragionamenti virgiliani, di Marco Lombardo e di Stazio, il quale pronuncia uno dei versi più belli: “per te poeta fui, per te cristiano”. Che sorpresa sarà, poi, incontrare Beatrice cioè l'amore tra creature secondo il progetto di Dio. Si legga infine l’Ascesa al monte Ventoux di Francesco Petrarca (Tarara, 1996), cronaca trecentesca di una salita secondo un alpinismo spirituale e allegorico, realmente avvenuta nell'aprile 1336.
Raccontando le AlpiII sentiero muove da lontano perché senza Dante né Petrarca è impossibile prendere quota e la montagna risulta incomprensibile ossia “turistica”; oggi, l'idea della bellezza incontaminata delle cime inviolate è la scusa buona per contaminarle e violarle, com-plice una filosofia erronea, espressa ne Le Alpi di von Mailer (Tararà, 1999): la filosofia dell'illuminista che reputa il montanaro uno zotico, custode inconsapevole di un paradiso terrestre il cui godimento spetta di diritto ai cittadini. Così non rende onore alla maestà dei luoghi visitati, crede di viaggiare e invece sta solo osservando lo scenario dal finestrino.
Chi cerca l'accordo con la realtà della montagna attraverso la pagina scritta si rivolga alla narrativa di Adalbert Stifter (1805-1868), classico della prosa austriaca, i cui romanzi possiedono più di una parola per il turista del XXI secolo: Pietre colorate (Oscar Mondadori, 1994) sono novelle che toccano corde intime ai lettori che non dimenticano di essere stati bambini; Cristallo di rocca (Adelphi, 1987) è struggente leggenda natalizia i cui protagonisti, due fanciulli, sono felicemente trasposti persino nella recente versione cinematografica, per la regia di Maurizio Zaccaro. Una cavalcata al piccolo trotto per boschi e sottoboschi del passato è La cartella del mio bisnonno (Marietti, 1996) mentre L'antico sigillo (Marsilio, 2000) narra “la vita di coloro che sono vissuti prima di noi… storie insignificanti! Risalgono al nonno e al bisnonno, e spesso non raccontano che battesimi, nozze, sepolture, sostentamento dei figli. La norma è il grande fiume di amore che scorre fino a noi dai millenni attraverso i cuori delle madri, delle spose, dei padri, dei fratelli e delle sorelle, degli amici: ma ci si è dimenticati di segnalarla. L'altro movente, quello dell'odio, è l'eccezione: ma in migliaia di libri non si parla d'altro”.
L'Austria di Stifter è insomma una terra ancora intatta dal trauma della storia, legata alla natura e alla cultura, a tradizioni popolari e ai cicli delle stagioni: una microstoria regionale tanto lontana da risultare attuale, in tempi globalizzati. Consigliabile a lettori di ogni età.
Leggende vere e false
I frequentatori delle Dolomiti conoscono, almeno per sentito dire, le storie del tempo andato sull'origine dei Monti Pallidi e del meraviglioso colorito rosato che essi assumono in certi frangenti. Chi è in vacanza con la famiglia deve imparare la leggenda del Rosengarten ovvero “giardino delle rose”, raccolta da Karl Felix Wolff in Re Laurino e il suo roseto (Athesia, 1997), e andare a guardare le montagne negli istanti magici che il re dimenticò di maledire: l'alba e il tramonto, quando la roccia pare fiorire di rose perché la principessa che vi abitava… Bene, si scopra “come va a finire” leggendola come storiella della buonanotte, a figli o nipoti.
Uomini e boschi: le memorie di un reduce
Nei libri di Mario Rigoni Stern si eleva sempre un canto d'amore per le montagne, specie per l'Altopiano di Asiago: anche attraverso la durissima prova della ritirata di Russia nel '42, una rustica osservanza alle leggi di natura si conserva fedele, malgrado il fatto che l'ideologia comunista renda i momenti “politici” dei suoi scritti i meno felici.
Gli amori autentici, dalla caccia alla convivenza con una natura creata dal Creatore, fanno di Rigoni Stern un “cristiano implicito”: vocazione che chiarisce da // bosco degli urogalli (Einaudi, 1962) a Storia di Iònie ad Arboreto salvatico sino a Sentieri sotto la neve. Spesso l'autore racconta le storie per il gusto di farlo ma anche per conservare e perpetuare un'eredità di modi di essere, quelli del montanaro, ruvidi e gentili, verso un futuro che pare ignorare come “a sera, attorno al fuoco, fumando, ci raccontavamo storie e vicende della vita. Lassù la montagna è silenziosa e deserta. La neve che è caduta abbondante ha cancellato i sentieri dei pastori, le aie dei carbonai, le trincee della Grande Guerra, le avventure dei cacciatori. E sotto quella neve vivono i miei ricordi”.
Come tantissimi italiani del secolo scorso, Rigoni Stern ha vissuto la tragica illusione del comunismo quale surrogato di religiosità e ricerca del senso delle cose; ma tutta la sua opera, edita da Einaudi, ironizza l'intellettualismo di molti suoi presuntuosi colleghi portati dall'editore torinese in palmo di mano verso il “lettore colto”. La scrittura sterniana sa di bosco, di resina, di vita che serve alla vita; il cittadino la osserva incantato, muto dinanzi a una montagna.
Infine, la dolcezza sembra essere la firma dei racconti di Inverni lontani (1999) e Tra due guerre (2000), pagine scritte con riconoscenza e che suscitano gratitudine in chi legge, perché “in attesa dell'inverno è bello lavorare non per accumulare denaro sul conto, ma scorte di legna secca, farina, patate, verdura in composta, marmellate, funghi secchi, oca a pezzi nel suo grasso… e così via con i prodotti che la natura ci dona dalle semine di primavera alle raccolte d'autunno”.
IL TIMONE N. 14 – ANNO III – Luglio/Agosto 2001 – pag. 46-47