I conflitti armati sono una costante nella storia. La Chiesa ne prende atto con realismo: la guerra non è sempre un male morale, ma è giusta solo come extrema ratio e a certe condizioni. Ecco una sintesi di questa dottrina, spesso ignorata dagli stessi cattolici
La guerra, inutile strage
La brutalità di queste considerazioni può lasciarci turbati, e a qualcuno può apparire perfino anacronistica. È ben vero che da alcuni decenni si registra una mutata sensibilità dell’uomo moderno verso la guerra, per la verità tutto a favore di una “pax borghese” che preferisce tenere i conflitti lontano dalla porta di casa, soprattutto per evitare fastidi e sacrifici. E tuttavia, nonostante questo atteggiamento di favore per la pace, la guerra infuria continuamente, ogni giorno, in molte parti del mondo. Assumendo forme sempre più disumane.
Il fatto che la guerra sia una costante nella storia dell’umanità non significa che essa debba essere accettata con fatalismo arrendevole, o addirittura alimentata e incoraggiata. L’esperienza insegna che le guerre producono morte e distruzione, sono di esito incerto, possono protrarsi per molto tempo, e solo di rado riescono a sciogliere il nodo per cui sono state iniziate. Inoltre, le guerre danno libero sfogo ai peggiori istinti che covano nell’uomo, e attenuano l’orrore per l’omicidio. Quando Hitler cominciò a pensare di eliminare i tedeschi “difettosi” con l’eutanasia, disse ai suoi collaboratori che sarebbe stato meglio iniziare il progetto quando fosse iniziata la guerra, in un clima in cui – scrisse il Fuhrer – la gente avrebbe considerato meno grave uccidere. Anche in termini meramente umani, il bilancio delle guerre è sempre in rosso, tanto che, secondo un’espressione provocatoria, con la guerra non ci sono mai vincitori ma solo sconfitti.
Il realismo cattolico
Se poi assumiamo lo sguardo soprannaturale della sapiente dottrina cattolica, scopriamo che Gesù chiama «figli di Dio» coloro che si adoperano per la pace (Mt 5,9). Dopo il diluvio universale, Dio spiega che chiederà conto a ogni uomo del sangue versato del fratello (Gn 9,5). La guerra è certamente un terreno gradito al diavolo, che è omicida fin dal principio, e che si compiace dello scempio di vite umane determinato dalle azioni belliche.
La guerra ci mette davanti un problema fondamentale: e cioè che in guerra si deve uccidere. Ora, il quinto comandamento vieta proprio di togliere la vita all’uomo, e quindi si tratta di capire in che modo tenere insieme questo ordine di Dio con l’uso delle armi allo scopo di uccidere il nemico. La guerra coinvolge due attori diversi: gli Stati che la decidono, e i soldati che la combattono. Sull’argomento, la Chiesa ha sempre avuto un insegnamento chiaro ed esplicito. Per quanto riguarda la posizione dell’uomo combattente, il Catechismo del Concilio di Trento (noto anche come Catechismo romano), promulgato da San Pio V nel 1566, spiega senza alcuna esitazione che i soldati non peccano quando «combattono e uccidono i nemici in una guerra giusta» poiché «il loro movente non è la cupidigia e la crudeltà, ma l’amore e la tutela del pubblico bene» (§328).
Per quanto riguarda gli Stati, il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 scrive che «finché esisterà il pericolo della guerra […] una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa» (n. 2308). L’atteggiamento della Chiesa nei confronti della guerra è estremamente interessante, perché conferma tutto il realismo del cattolicesimo, e insieme tutto il rigore di una dottrina morale che non può mai ammettere eccezioni a una norma di diritto divino. A titolo riassuntivo, se ne ricava che per la Chiesa:
a. la guerra deve essere scongiurata fintanto che ciò è possibile;
b. la guerra non è un male in sé, tanto è vero che può essere giusta a certe condizioni;
c. in guerra non tutto è permesso. C’è un modo umano di combattere e ci sono azioni gravemente illecite sempre ingiustificabili.
Le condizioni per una guerra giusta
Dunque, sotto il profilo morale la guerra non è né automaticamente legittima, ne è un male in sé, cioè un’azione intrinsecamente cattiva. Si tratta di una precisazione importante: ad esempio, l’aborto direttamente voluto è sempre un male in sé stesso, e non c’è alcuna ragione al mondo che può renderlo giusto; non lo stesso si può dire della guerra, che può essere giusta o ingiusta. Questa è anche la ragione per cui l’obiezione al servizio militare obbligatorio è legittima, ma non doverosa; mentre l’obiezione di coscienza a una legge sull’aborto è sempre un dovere per ogni essere umano.
Quando una guerra può dirsi giusta? Il Catechismo della Chiesa Cattolica riconduce la guerra giusta sempre e soltanto al concetto di “legittima difesa con la forza militare”. Questo inquadramento ci permette di riconoscere una differenza fondamentale: nella guerra giusta si uccide per difendere sé e gli altri; nelle diverse forme di omicidio (dall’uxoricidio all’aborto) si uccide un innocente, cioè qualcuno che letteralmente non ci sta nuocendo, aggredendo noi o altri.
Dunque, anche alla guerra si devono applicare i requisiti intrinseci tipici della legittima difesa: l’esistenza di un ingiusto aggressore, la gravità della minaccia, la proporzionalità della reazione, l’attualità del pericolo, la non evitabilità con altri mezzi. Per scongiurare un uso disinvolto della guerra sottoforma di legittima difesa, il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 2309 prevede quattro rigorose condizioni di legittimità morale, elementi della tradizionale dottrina della guerra giusta:
a. «che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo;
b. che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci;
c. che ci siano fondate condizioni di successo;
d. che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione».
La lettura di questi requisiti, che devono essere tutti presenti contemporaneamente, fa subito capire quanto non sia frequente il verificarsi delle condizioni necessarie a legittimare una guerra giusta. Oltretutto, accanto agli argomenti più squisitamente di principio, incombe quella valutazione di sano realismo circa le «fondate condizioni di successo», che complica ulteriormente il quadro. È da sottolineare che la valutazione di tutte le condizioni di legittimità spetta a coloro che sono responsabili del bene comune, cioè ai governanti.
Cristianesimo e non-violenza
Quanto abbiamo detto serve a sgomberare il campo da una convinzione oggi diffusa anche fra i cattolici: che le guerre siano tutte uguali, e che siano sempre da rigettare come ingiuste. Può darsi che questo sia vero per molte o anche per tutte le guerre che si susseguono nel nostro tempo. Ma ciò non toglie che l’uso delle armi e della forza sia, in linea di principio e alle condizioni appena viste, legittimo e perfino doveroso. Questa evidenza esclude categoricamente la riduzione del cristianesimo a “non violenza”, dottrina che non ammette in alcun caso il ricorso alla forza. Oltretutto, la Chiesa ricorda che la pace non è semplicemente assenza della guerra, ma è la «tranquillità dell’ordine» (Sant’Agostino, De civitate Dei, 19.13; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2304).
Durante la guerra non tutto è permesso
La Chiesa insiste anche nell’insegnare che in guerra non tutto è permesso. C’è un modo umano di combattere e ci sono azioni gravemente illecite che non hanno mai giustificazione (Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2312-2313). La legge morale, infatti, non è sospesa o abrogata durante un conflitto, ma resta pienamente in vigore. È dovere degli Stati belligeranti, ad esempio, riservare un trattamento umano ai prigionieri, ai feriti, a coloro che non combattono. Le guerre dell’era moderna si sono segnalate per le frequenti violazioni di queste norme elementari; si pensi ad esempio all’uso della rappresaglia sui civili, perfino regolamentata dal diritto internazionale, in risposta a forme terroristiche di attentati compiute da formazioni irregolari, i cosiddetti partigiani.
I bombardamenti sulle città e le armi moderne
La Chiesa riafferma con forza una dottrina morale irreformabile intorno al tema dei bombardamenti sui civili: «ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti è delitto contro Dio» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2314) che deve essere condannato senza esitazioni. Questo giudizio colpisce in modo particolare il ’900, che è stato il secolo del coinvolgimento massivo e sistematico dei civili nelle guerre. I bombardamenti aerei operati dai tedeschi su Londra, dagli anglo- americani sulle città italiane, su Dresda, su Hiroshima e Nagasaki, rappresentano tutti una clamorosa, gravissima violazione di un principio inderogabile di natura morale, riaffermato con forza dalla Chiesa: anche in guerra non è lecito uccidere deliberatamente donne, vecchi, bambini e in generale i non combattenti.
Il cambiamento delle armi e degli stili di combattimento influenza i giudizi morali sull’uso della guerra: l’uso di armi nucleari comporta infatti l’eliminazione intenzionale non solo di un esercito nemico, ma di milioni di civili.
La guerra nel terzo millennio
La lettura delle rigorose indicazioni del Magistero sulla guerra rende ancora più evidente la “scollatura” fra la parola della Chiesa e la logica del mondo moderno. Pio XII denunciò lucidamente questo tragico divorzio nella serie dei suoi Radiomessaggi Natalizi, evocati dal n. 93 del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. In particolare:
a. non ci può essere guerra giusta se le nazioni aboliscono il concetto di diritto naturale;
b. la guerra deve avere lo scopo di vincere il nemico, eventualmente di convertirlo al bene, non di annientarlo; ma per le ideologie moderne (comunismo, nazionalsocialismo, liberalismo) è vero il contrario, contro ogni logica di pietà verso gli sconfitti;
c. la società non dovrebbe alimentare un clima di guerra permanente, ma considerarla un evento eccezionale e riservato a una parte della collettività; ma dalla Rivoluzione francese in poi, con l’avvento della leva obbligatoria, gli Stati hanno alimentato la prassi della guerra totale, cioè del coinvolgimento di tutta la società nel conflitto;
d. la visione cristiana umanizza la guerra; la secolarizzazione e la laicizzazione dello Stato e della società la disumanizza e, soprattutto, la spoglia di riferimenti a ideali superiori e oggettivi. In questo modo, la “volontà del sovrano” diventa l’unico criterio guida, e le guerre vengono definite giuste o ingiuste in base a ragioni di convenienza economica e di utilità politica.
La guerra e il Vangelo
La legittimazione della guerra giusta discende da un ideale nobilissimo e cristologico: non vi è amore più grande che dare la vita per i propri amici. Il soldato che combatte una guerra – veramente giusta e nel modo giusto – afferma una verità grande: su questa terra, la vita non è il valore supremo, ma può essere sacrificata in vista di un bene più grande. Ecco perché lo spettacolo di un cavaliere in armi che lascia la sua casa per liberare la Terra Santa rimane ancora oggi, nel clima della guerra totale e disumana, l’immagine più bella di un ideale, forse definitivamente tramontato.
Per saperne di più…
Luigi Andrianopoli, Il Catechismo Romano commentato, Ares, 1983.
Catechismo della Chiesa Cattolica, testo tipico latino, 1999, nn. 2302-2314.
Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 2004, n. 497-515.
Romano Guardini, Il diritto alla vita prima della nascita, Morcelliana, 2005.
Mario Palmaro, Aborto & 194, Fenomenologia di una legge ingiusta, Sugarco, 2008, pp. 23-27.
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GUERRA E PACE
IL TIMONE N. 104 – ANNO XIII – Giugno 2011 – pag. 39 – 41
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