Se avete intenzione di andare pellegrini in Terrasanta, accettate un consiglio: scegliete un periodo lontano dalle feste comandate e possibilmente denso di attentati.
Vi spiego perché. Sono stato in Israele una prima volta, diversi anni fa, da solo, invitato dall’Istituto Italiano di Cultura di Haifa per una conferenza. Proprio in quei giorni, erano esplosi un paio di ristoranti e bar affollati di cristiani e turisti. Tutto ciò contribuì, grazie alle immagini trasmesse dai tg, a impaurire visitatori e pellegrini, con gran danno per il turismo israeliano (forse proprio quel che il terrorismo intendeva ottenere). Tutti quelli che sapevano dove dovevo andare facevano la faccia terrorizzata e mi sconsigliavano. Io, che ormai avevo preso un impegno di lavoro, feci qualche telefonata ad Haifa e ne fui rassicurato: le bombe erano passate, il territorio era in sicurezza, potevo stare tranquillo. Comunque, il clima in Italia era tale che sull’aereo ero quasi solo. Meglio. L’unica noia, per me, furono i controlli severissimi all’aeroporto di Tel Aviv (mi fecero togliere anche le scarpe e la cintura dei pantaloni). Rimasi in Israele un’intera settimana. E potei visitare in tutta serenità i Luoghi Santi. Per esempio, nella Basilica dell’Annunciazione di Nazareth, completamente deserta, il frate francescano mi accompagnò cortesemente fino al punto esatto in cui la Vergine colloquiò con l’Angelo e si compì l’Incarnazione del Verbo. Potei comodamente inginocchiarmi, baciare la pietra indicatami, soffermarmi quanto volli a riflettere e meditare sull’Evento. Stesso copione nel tour attorno al lago di Tiberiade, dove ci sono Cafarnao e la casa di Pietro, Cana, il luogo dell’apparizione del Risorto, i monti delle Beatitudini e della Trasfigurazione eccetera. Le uniche tracce di un Paese reduce da un attacco terroristico erano i vari check-point (che superai senza alcun problema), gli echi lontani delle cannonate sulle alture del Golan, qualche jet con la stella di David solcante i cieli, le gite scolastiche primaverili scortate da giovani soldati armati fino ai denti. Alcuni di loro, va detto, erano avvenenti ragazze infagottate nelle mimetiche. In Israele, infatti, vige la leva obbligatoria per ambo i sessi: tre anni per i maschi e uno e mezzo per le femmine.
Bisogna avere un po’ di pazienza sui prezzi: oggi, 2.50 euro per un espresso all’italiana e 5 per un bicchiere di vino. La moneta è lo shekel (cioè il siclo ebraico), ma sono benvenuti euro e dollari. Meglio mangiare all’araba e bere succo di melograno spremuto all’istante, costa meno e non è affatto male. Anche la paccottiglia turistica è cara. In compenso, puoi risparmiare tempo perché vendono tutti le stesse cose: rosari in legno d’ulivo, Menorah (i candelabri a sette braccia), Mani di Allah, corni Shofar (d’ariete: suonandoli, il rabbino annuncia la prima stella del sabato), Sali del Mar Morto, costosissimi modellini dell’Arca dell’Alleanza, boccette d’acqua del Giordano, icone cristiane e via elencando. Meglio essere ferrati in inglese, perché anche le insegne sono in ebraico e dovrete farvi capire da tassisti palestinesi che l’inglese lo masticano peggio di voi. Usate le mappe: se chiedete di essere condotti, che so, alla Casa di Caifa, magari scoprite che quello non sa nemmeno di cosa stiate parlando. Negli alberghi, attenzione al sabato (“shabbat”): gli ascensori si fermano a ogni piano e le macchinette del caffè sono spente. Anche i frigoriferi hanno la “funzione sabba”: un timer impedisce che, se li aprite di sabato, si accenda la luce (approntare “fuochi” è vietato di sabato perché considerato “lavoro” e il riposo deve essere assoluto). Certo non tutti, lì, sono ferventi religiosi; anzi, pare che alla maggioranza (come da noi) non gliene importi più di tanto. Comunque, i negozi sono chiusi e negli alberghi l’attività è ridotta.
Per chi in Terrasanta non fosse mai stato e, da buon cristiano, abbia letto il Vangelo o ascoltato a messa i passi delle Scritture e si fosse fatto una sua idea dei luoghi di Gesù e degli Apostoli, ebbene, sappia che non vedrà praticamente nulla di tutto questo. Gerusalemme fu distrutta dai Romani col suo Tempio nel 70 d.C. Sulle sue rovine l’imperatore Adriano edificò Aelia Capitolina, ripopolandola e disseminandola di templi pagani. Agli ebrei era vietato tornarci, pena la morte. Tre secoli dopo, sant’Elena, madre di Costantino, riportò faticosamente alla luce tutto, dal Sepolcro al Cenacolo al Calvario al Getsemani. Ritrovò pure la Vera Croce, che riconobbe tra altre perché, si dice, vi fece distendere uno appena morto e costui risuscitò. Su ognuno di questi posti sacri Costantino fece erigere chiese e basiliche. Altri tre secoli e nel 613 provvidero i Persiani a raderle al suolo, portandosi via anche la Vera Croce. Risparmiarono solo la basilica dell’Annunciazione perché, nei fregi, videro figure vestite come loro, i Magi. Fu l’imperatore bizantino Eraclio, con una grandiosa spedizione, a riconquistare la Croce e i Luoghi Santi, ricostruendone le chiese. Il giorno in cui la Vera Croce fu riportata a Gerusalemme era un 14 settembre e la festa è rimasta come Esaltazione della Croce. Ma pochi decenni dopo arrivarono gli Arabi maomettani, e le moschee sostituirono le chiese per i seguenti quattro secoli. La prima crociata riprese Gerusalemme e tolse la mezzaluna dalle moschee (che non distrusse) mettendoci la croce. Nel secolo seguente, con Saladino, i Luoghi Santi cambiarono ancora una volta padrone (Saladino trascinò la Vera Croce, capovolta, per le strade di Damasco), per rimanere in mani islamiche, dopo alterne vicende storiche che non è questa la sede per elencare, praticamente fino al 1967, anno in cui Gerusalemme fu proclamata (unilateralmente) capitale di Israele.
Insomma, qualunque idea vi siate fatti dei posti in cui visse e operò Gesù, toglietevela dalla testa. Vedrete una chiesa di epoca relativamente recente e la guida vi dirà che sorge sul probabile luogo in cui Pietro rinnegò Cristo e il gallo cantò (c.d. Sanctus Petrus in Gallicantu). Ne vedrete un’altra in grigio cemento anni Sessanta e saprete che là c’era la casa di Maria. Vedrete un modesto rettangolo recintato con qualche ulivo dentro. Due o tre alberi, grossi e contorti, pare abbiano giusto duemila anni. E questo è l’Orto degli Ulivi. La Via Dolorosa? Un budello pavimentato che da secoli è un bazar mediorientale, con una serie infinita di negozietti uno attaccato all’altro e che vendono tutti le stesse cose, mentre i venditori, il cui occhio è addestrato, vi chiamano: «Italiano, italiano!». Insomma, è tutto così, rarissime le pietre d’epoca e pure queste, per giunta, probabili, anche perché l’archeologia sacra è scienza recente e deve operare in siti sottoposti a un’infinità di divieti incrociati.
Se invece avete scelto un pellegrinaggio organizzato, magari per Natale, allora le cose si complicano. Nell’appena trascorsa festività, in Terrasanta, solo gli italiani erano (eravamo) 75mila. Ma i cristiani sono cattolici, protestanti, ortodossi, siriaci, greci, melkiti, malabaresi, armeni, abissini, copti, bizantini e via distinguendo. Tutta questa massa biblica di gente vuole visitare gli stessi edifici quasi nello stesso momento. Possiamo limitarci a descrivere quel che accade al Santo Sepolcro. La basilica in cui esso è contenuto è d’epoca bizantina con miriadi di rifacimenti successivi. Il “Santo Sepolcro” sarebbe una specie di buco sotto a un altare che sta dentro un’angusta edicola: per venerarlo, bisogna mettersi carponi e passare uno alla volta. Il che significa, nella migliore delle ipotesi, code senza fine e attesa media di due-tre ore. Ben pigiati davanti e dietro. A meno che non vi piazziate lì alle 4 del mattino e, dopo avere atteso che le varie confessioni abbiano espletato i rispettivi riti (quelli ortodossi sono piuttosto lunghi), nel buio delle lampade e candele (niente luce elettrica), se siete fortunati ci mettete solo un’ora. La basilica avrebbe due porte, ma una è murata dai tempi del Saladino. Già: le diverse confessioni che si dividono l’edificio praticamente non permettono alcun intervento per timore di perdere mezzo metro delle rispettive giurisdizioni. Per questo, fin dall’epoca dei sultani ottomani, la chiave dell’unica porta è in custodia di un musulmano. Il clero delle varie confessioni è infatti più volte venuto addirittura alle mani per via del difficile condominio. Né la fraternità cristiana va meglio tra i pellegrini (come diceva Gustave Thibon, è quasi impossibile attuare il comandamento dell’amor del prossimo su un autobus nell’ora di punta). Io stesso, nella strettissima scala che porta al punto del Calvario (medesima basilica), ho dovuto spintonare rudemente un russo che cercava di bloccarmi per far passare i suoi amici. Ah, se il Luogo che state visitando è in mani ortodosse, la vostra attesa sarà senza fine, perché i pellegrini di fede ortodossa hanno diritto di precedervi anche se venuti dopo. Certo, viene un po’ di tristezza al pensiero che si è lì per devozione e invece ci si ritrova ad arrabbiarsi o a litigare col furbo che salta la fila. Mentre tu, magari anziano, sono ore che stai in piedi sbatacchiato dalla calca. Ma la gazzarra la sopportava lo stesso Gesù, quando le folle si calpestavano l’un l’altro per poterlo toccare (Lc 12,1) e Lo pressavano da ogni parte. Dunque, andiamoci, in Terrasanta. Almeno una volta nella vita.
IL TIMONE – Marzo 2014 (pag. 20 – 21)