Il Timone n. 41 – anno 2005 –
«Molti di noi ricordano le “campagne per la pace” contro la Nato, contro la guerra di Co-rea, voluta dall’Onu per contrastare l’attacco del Nord contro il Sud Corea; mentre non c’è notizia di proteste pacifiste per l’occupazione cinese del Tibet, la partecipazione cinese alla guerra di Corea e l’occupazione militare dell’Europa orientale da parte delle truppe sovietiche. Di fronte alla repressione sovietica contro i movimenti popolari nel 1953 in Germania orientale e nel 1956 in Ungheria, i pacifisti non protestarono. […] Paolo Mieli pone ai pacifisti questa domanda: «C’è da qualche parte del mondo un conflitto che, pur non coinvolgendo americani e israeliani, sia in grado di attirare la vostra durevole attenzione?» (Corriere della Sera, 22 aprile 2003».
(Piero Gheddo, Mondo e Missione, febbraio 2005, pago 85).
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«Quando si parla di carattere simbolico dei miracoli di Cristo, e più in generale degli avvenimenti che lo riguardano: se si intende affermare che il significato di tali miracoli e avvenimenti non si esaurisce nei limiti del puro fatto storico, ma li oltrepassa – perché profezia e presentimento di realtà ulteriori -, l’affermazione è ineccepibile, ed è in linea con l’interpretazione «simbolica» di Giovanni, che definisce «segni» tutte le cose che Gesù ha fatto e che l’evangelista ha raccontato nel suo Vangelo.
Se, invece, quando si parla di simbolicità, si intende negare la «storicità» dei miracoli e degli avvenimenti di Cristo, risolvendoli in creazioni successive, costruite ed elaborate in vista di un insegnamento e di una sistemazione teologica, allora siamo fuori dalla fede cristiana, privata del fondamento della storia e ridotta a ideologia».
(Inos Biffi, Verità cristiane nella nebbia della fede, pago 41).
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«C’è un famoso dialogo di epoca medievale tra un abate e il suo alunno, anch’esso un monaco, dove si presenta la questione del perché Dio sia diventato uomo. Perché Dio ha mandato suo Figlio perché diventasse uomo? Che cosa poteva spingere Dio a mandare suo Figlio in questo mondo?
In questo lungo dibattito tra l’abate e il suo alunno, a un certo momento la conversazione arriva a un punto morto. Poi l’abate, sant’Anselmo di Canterbury (+ 1109), dice al suo alunno Bosone: «Non hai considerato quanto peso abbia il peccato». Ci vuole un passo del tutto diverso per rendersi conto del peso del peccato.
Vorremmo tentare questo passo adesso, con il cuore, con la fede. Cerchiamo di tener presente quel che ci dice la fede, sebbene non sempre sia possibile percepirlo anche emotivamente. Nella fede affermiamo che il peccato ha un peso tale che è costato la vita a Dio: il Figlio di Dio è morto a causa dei nostri peccati. Quanto pesa il peccato si capisce soltanto quando consideriamo quale sia il riscatto pagato da Dio».
(Christoph Schonbom, Seguire Gesù ogni giorno. Stimoli per un approfondimento della fede, pp. 124-125).
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«Ma perché l’Occidente ha dato prova di questa straordinaria cecità di fronte ai crimini del comunismo? Forse per il timore della potenza sovietica, forse perché il comunismo rivelava un volto democratico e più “illuminato”, forse per il rispetto della divisione del mondo nei due blocchi decisa a Yalta, forse per il cinismo di politici e affaristi di ogni colore, che hanno costruito ingenti fortune col comunismo, oltre che con il variegato capitalismo. O forse perché, più subdolamente, come insinua lo stesso Courtois (autore del Libro nero del Comunismo, ndr), dopo il 1945 il comunismo ha capito benissimo quanto potesse servire alla propria causa l’enfatizzazione dell’antinazismo e dell’antifa-scismo: la singolarità e l’eccezionalità del genocidio ebraico hanno finito per monopolizzare e per totalizzare l’idea stessa di terrore di massa, impedendo di percepire, anzi coprendo crimini del tutto simili perpetrati nel mondo comunista».
(Alberto Franzini, A tutto campo. Orizzonti pastorali, pp. 193-194).
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«Il primo influsso sulla società è da individuare nel giudizio: il primo servizio che si può offrire all’uomo è quello della verità, tutto il resto è conseguenza. Questo significa, cioè, investire la società nei suoi problemi reali. Il primo influsso che una famiglia può dare nella società è quello di una coscienza capace di giudicare quello che accade per offrire soluzioni originali, cioè derivanti dalla fede, e creative. Se il Figlio di Dio è diventato uomo, il primo valore da affermare è quello della persona e quindi della libertà, come possibilità di vivere i diritti fondamentali che derivano da Dio».
(Luigi Negri, Il matrimonio, pp. 7172).
IL TIMONE – N. 41 – ANNO VII – Marzo 2005 pag. 34