Il Timone n. 89 – anno 2010 –
«La Congregazione per la Dottrina della Fede stata obbligata in questi decenni a intervenire più volte per correggere gravi errori di teologi, i quali pretendevano di avallare tali errori in nome del Concilio. Nonostante tutti questi avvertimenti ed indicazioni sia da parte del Magistero che di numerosi autorevoli teologi e pensatori veramente fedeli alla Chiesa e alla Tradizione, a partire dall’immediato postconcilio è diventato sempre più influente un movimento cosiddetto “progressista”, o altrimenti definito, il quale ha preteso e pretende di essere il vero interprete, continuatore e all’occorrenza correttore delle dottrine conciliari. Ma tale movimento, nonostante la sua pretesa di presentarsi come una novità suggerita dallo Spirito Santo e dalla più avanzata critica teologica e biblica, in realtà si è rivelato sempre di più – al di là di qualche elemento valido – una riedizione aggiornata e peggiorata di quel modernismo che a suo tempo fu smascherato e condannato da San Pio X». (Giovanni Cavalcoli, o.p., Karl Rahner. Il Concilio tradito, pp. 7-8).
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«Il Santo Padre insiste molto sull’aspetto della sacralità della liturgia, di ogni liturgia; egli nota con una certa amarezza che proprio la sacralità manca spesso alle liturgie odierne, come si celebrano in tanti luoghi. Ritrovare il senso del sacro è senza dubbio un imperativo assoluto per tutta la Chiesa. Se, per assurdo, lo perdesse, avrebbe perso il mezzo normale di comunicare con Dio: Dio è tre volte Santo, come lo descrive il profeta Isaia, davanti a lui l’uomo non può che tacere in un sacro silenzio profondo di adorazione; poi ascoltarlo, e solo allora potrà nascere nel suo cuore e nella sua bocca una parola di risposta, di ringraziamento». (Camille Perl, in Vincenzo Nuara [a cura di], Il Motu proprio “Summorum Pontificum” di S.S. Benedetto XVI, p. 18).
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«Perciò si può arrivare a Cristo-Verità per vie personali diverse ma sempre nella verità, beninteso quella tracciata dalla Chiesa e nell’ambito di essa. Da qui, per esempio, le vie personali alla santità modellate dai singoli eroi della fede attraverso delle vie mai uguali fra loro. Il Vero, altrimenti detto “dogma”, è un fermo, un immobile, significativamente enunciato negli articoli del Simbolo di Nicea, il Credo, già anticipato dalle parole dell’evangelista Giovanni: “Ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio”». (Giovanni Tortelli, Tradizione Profetica. Appunti dal pensiero di Romano Amerio, p. 7).
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«Solo se innamorato di Cristo, il sacerdote potrà insegnare a tutti questa unione,questa amicizia intima con il divino Maestro, potrà toccare i cuori della gente ed aprirli all’amore misericordioso del Signore. Oggi i cristiani ferventi attendono molto dal sacerdote. Vogliono vedere in lui – in un mondo dove trionfano il potere del denaro, la seduzione dei sensi, il prestigio della tecnica – un testimone del Dio invisibile, un uomo di fede, dimentico di se stesso e pieno di carità. Pur rispettando il carattere sacerdotale, sappiano tali cristiani che possono influire molto sulla fedeltà dei loro sacerdoti ad un tale ideale, possono aiutarli in una più esatta comprensione del loro compito pastorale e delle loro difficoltà, attraverso una più attiva collaborazione al loro apostolato». (Padre Serafino Tognetti CFD, Santo Curato D’Ars, ho visto Dio in un uomo, p. 156).
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«Anche nel libro di suor Maria-Ionela, “Rinnegare se stesso per vivere in Cristo”, proprio l’amore di s é è il primo vizio, essendo considerato la fonte di tutti gli altri, la madre di tutti i mali, l’origine di tutti i peccati e dell’infedeltà nella vita particolare dell’uomo, nella vita della famiglia, nella società e nell’umanità. Esso è la causa dell’inferno sulla terra e nelle anime. (…) Nei dieci anni di carcere [nella Romania comunista, ndr], trasferita da una prigione ad un’altra, una più dura dell’altra, suor Maria-Ionela ha fatto l’esperienza di un mondo desacralizzato, pervaso dal peccato, un mondo di schiavi di un’ideologia, ma anche degli stessi vizi i quali, il più delle volte, erano personificati nei detenuti stessi o nei loro oppressori». (Mons. Girolamo Grillo (a cura di), Rinnegare se stesso per vivere in Cristo, pp. 12-13).
IL TIMONE N. 89 – ANNO XII – Gennaio 2010 – pag. 34