Il Timone n. 104 – anno 2011 –
«Anche nelle prove della vita e sotto le più dure sofferenze fisiche – come gli accadrà dal 1981 (anno dell’attentato) fino alla fine della sua vita –, manterrà quella fiducia riposta nella bontà del mondo, nonostante le cadute, perché la fede è un modo di guardare la vita e la storia alla luce dello Spirito Santo e, nello stesso tempo, di guardare al di là della storia: l’esperienza umana, la nascita, l’amore, la sofferenza, la morte sono poste in una luce nuova, in relazione con la vita di Cristo. La vena sentimentale, eticamente magnanima e misericordiosa di Wojtyla la si assapora a ogni passo della sua esistenza, perché, dice, il primo ad aver fede nell’essere umano fu Cristo».
(Cristina Siccardi, Giovanni Paolo II. L’uomo e il Papa, pp. 98-99).
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«Ma a mio parere c’è un atteggiamento che è particolarmente infelice: cercare di assoldare Dio come normalizzatore della vita dei propri figli. Mi spiego meglio. Si prende Dio e gli si affidano i compiti verso i figli che non vogliamo svolgere noi. Dio deve essere una specie di polizza assicurativa contro i guai che i ragazzi potrebbero combinare. L’esempio tipico è quello del genitore che la domenica mattina ha da fare tante cose, ma l’unica che non gli passa per la testa è andare a messa, pur dichiarandosi molto credente (sic!). Il figlio riceve l’ordine di recarsi alla messa mentre lascia i genitori a fare le altre cose che, essendo scelte dai grandi, va da sé che sono più importanti di quelle scelte per lui che è un bambino. Quindi la messa non è importante, egli crederà che sia cosa da bambini o da vecchi, per quelli cioè che non hanno di meglio da fare. Poi i genitori pretendono che il figlio impari a catechismo a essere un bravo ragazzo…».
(Roberta Vinerba, Fare i padri, essere figli, Paoline, Milano 2008, pp. 96-97).
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«Papa Benedetto, in ogni parte del mondo, presenta i santi e i beati locali come modelli di vita per i giovani, convinto che la santità non è mai fuori moda. I santi sono il Vangelo vissuto, i testimoni che è possibile amare il Signore con tutta la propria vita. Essi mettono in luce la fantasia di Dio che, ovunque e in ogni epoca, è capace di ispirare uomini e donne, giovani e anziani, preti e laici che, in modi diversissimi, vivano la radicalità evangelica. Dio sa cogliere l’originalità di ognuno e la fa servire alla santificazione personale: così i giovani comprendono che il santo, in realtà, non appiattisce la propria identità, le proprie doti e qualità, ma le realizza fino in fondo. L’originalità di ognuno è la stoffa dalla quale Dio parte per creare un vestito splendido: bisogna solo metterla nelle sue mani e lasciarlo lavorare in noi».
(Paolo Ghirlandi, Vi abbraccio con il cuore di Cristo. La parola di papa Benedetto XVI ai giovani, p. 114).
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«Credo che non sia corretto interpretare la frase evangelica “date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” come se la politica avesse da provvedere ai bisogni “materiali” della persona e la fede a quelli “spirituali”. Sia la politica, sia la fede cristiana guardano alla persona tutta intera. La persona non ha due chiamate diverse: una materiale e una spirituale; non persegue due destini diversi: uno terreno e l’altro eterno; non risponde a due bisogni diversi: il benessere qui e la salvezza di là. La persona è un tutt’uno e cerca semplicemente di essere, di crescere, di maturare in tutte le sue dimensioni; sente che qualsiasi singola dimensione le sta stretta e cerca di respirare al massimo, con i polmoni e con l’anima. La politica, compresa quella amministrativa, non riguarda solo un aspetto della persona, perché nella persona nessun aspetto è pienamente comprensibile se viene staccato dagli altri. La politica riguarda, quindi, tutta la persona, come pure la fede riguarda tutta la persona: la vedono da angolature diverse ma non contrapposte.
(Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste, in La Bussola Quotidiana, 12/5/2011).
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«Il terrore per l’aumento demografico si unisce poi a un’altra paura: quella della scarsità di risorse, messe in pericolo dal consumo di così tanta gente, che magari aspira anche a mangiare carne, guidare automobili e vestire adeguatamente. In realtà anche questo è un argomento inconsistente perché la storia ci dimostra che con l’aumentare della popolazione le risorse non solo sono aumentate in misura più che proporzionale ma si sono anche diversificate. Così che oggi, rispetto a cento anni fa, la popolazione è quadruplicata, ma tutti viviamo meglio, più a lungo e mangiamo di più (anche nei paesi più poveri). Il motivo è semplice: le risorse non sono definite dalla natura, ma dall’ingegno e dalla creatività dell’uomo che sa usare della natura per rispondere ai bisogni dell’umanità».
(Riccardo Cascioli, in La Bussola Quotidiana, 6/5/2011).
IL TIMONE N. 104 – ANNO XIII – Giugno 2011 – pag. 34