Il Timone n. 113 – anno 2012 –
«Che Dio esista nessuna persona intelligente lo mette in dubbio. Come l’esistenza di un orologio ci dà la certezza che esiste un operaio che lo ha fatto, così l’esistenza dell’universo ci dà la certezza che esiste Dio che lo ha fatto. Inoltre abbiamo la certezza che Dio ci ha parlato per mezzo di Gesù Cristo, perché solo Gesù Cristo – a differenza di tutti gli altri fondatori di religioni – ha dato la prova di parlare a nome di Dio compiendo i miracoli, ossia fatti che solo Dio può compiere. Il miracolo più grande compiuto da Gesù è la sua stessa risurrezione dalla morte, ed è un fatto così certo che da esso nasce la fede in Gesù Figlio di Dio. Tutti i suoi apostoli hanno sacrificato la vita per testimoniare la loro fede in Gesù risorto.».
(Don Massimo Astrua, Reincarnazione o risurrezione. La verità sul nostro destino dopo la morte, pp. 13-14).
«C’è un vecchio adagio, che dice: “uno muore come è vissuto”. In molti casi è davvero così, soprattutto quando uno va consapevolmente incontro alla propria morte. Allora il segmento finale della vita di quella persona non esprime soltanto la conclusione di un’esistenza, ma – quasi come la punta di un iceberg – ne dice tutta l’esperienza precedente, tutto il progetto di vita. […] Così, la morte di croce esprime l’intero progetto di vita di Gesù, che è totalmente, da Betlemme al Golgota, pane spezzato e vino versato. Nel racconto dell’ultima cena Matteo ci dice, insomma, che tutta la vita di Gesù, potentemente illuminata dalla croce, è vita donata. È un’esistenza aperta, regalata, un’esistenza per. Matteo, fin dall’inizio della passione, ce ne svela il senso profondo, mettendo davanti alle moltitudini, cioè a tutti, il progetto di vita di Gesù: una vita tutta donata, che alla fine lascia vuota la tomba, e vince la morte».
(Raniero Cantalamessa – Enrico dal Covolo, Cristo nostra salvezza. Il mistero pasquale nella Bibbia e nei Padri, p. 37).
«La cultura della vita non è un’ideologia né di tipo religioso né di tipo etico o familiaristico. La battaglia per la cultura della vita è l’esistenza di un popolo che vive intensamente la propria identità umana nel cristianesimo. E vivendo questa identità umana offre la sua esperienza di vita come un grande annunzio, una grande possibilità offerta a tutti gli uomini, di uscire da quello che un grande filosofo tedesco definiva “il sentiero polveroso del nulla”. Uscire da questo e cominciare a camminare sul sentiero che porta alla vita, quella vita piena di cui il Signore è stato portatore, e che ha in qualche modo identificato la pienezza storica della sua missione: “Sono venuto perché abbiano la vita, e la abbiano piena”».
(S.E. Mons. Luigi Negri, in La Bussola Quotidiana, 26/3/2012).
«Oggi dobbiamo chiederci, come cristiani, chi sono i nuovi poveri. Certo, sono anche coloro che non hanno beni materiali a sufficienza. Non siamo puri spiriti e Cristo si dedicava anche a moltiplicare pani e pesci. Ma nel nostro Occidente la povertà odierna più grande, quella che molti pauperisti non sanno vedere, è quella spirituale. Abbondano i poveri che mancano del senso della vita: così soli e indigenti da vivere senza Dio; così poveri da non sapere cosa siamo al mondo a fare; così poveri da cercare inutilmente, nell’egoismo sfrenato e nel consumismo di beni materiali o di affetti sciupati, un goccio di vita vera. A costoro la Chiesa deve spezzare il pane della sapienza, anche tornando ad essere luogo di bellezza, nel canto, nell’arte, nella liturgia. Deve ridare Dio, il senso della grazia e del peccato, ed il senso del sacro. Sono questi i maggiori doni che si possono fare ai poveri di spirito, pasciuti o non pasciuti, ma spesso egualmente disperati, di oggi».
(Francesco Agnoli, in Il Foglio, 22/3/2012).
«Distinguiamo la modernità da quanto c’è nella modernità. La modernità è indubbiamente anticristiana, nella modernità invece ci sono molte cose buone. La modernità vuol dire che l’uomo non va mai oltre se stesso come diceva Hume, che dell’anima e di Dio non ci può essere conoscenza come affermava Kant, che il nostro agire morale non può avere motivazioni come diceva sempre Kant, che il mondo è un meccanismo che procede per sue leggi indipendentemente da Dio come diceva Cartesio, che l’uomo non può sapere cosa egli sia ma solo come funzioni come diceva il positivismo, che è vero solo quello che posso toccare come affermava sempre il positivismo, che la libertà precede la verità come sosteneva Fichte e così via… La modernità è la superbia della disperazione. Nella modernità, invece, possiamo trovare varie cose positive, che hanno origine o dal lascito cristiano o dal buon senso comune o da quanto resta della legge morale naturale».
(S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi,intervistato dall’agenzia Zenit, 5/3/2012).
IL TIMONE N. 113 – ANNO XIV – Maggio 2012 – pag. 34
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