Il Timone n. 109 – anno 2012 –
«Infatti, se vogliamo essere onesti, dobbiamo riconoscere che è aumentato anno dopo anno, tra i teologi e religiosi, tra suore e vescovi, il gruppo di quanti sono convinti che l’appartenenza alla Chiesa non comporta il riconoscimento e l’adesione a una dottrina oggettiva. Si è affermato un cattolicesimo “à la carte”, in cui ciascuno sceglie la porzione che preferisce e respinge il piatto che ritiene indigesto. In pratica un cattolicesimo dominato dalla confusione dei ruoli, con sacerdoti che non si applicano con impegno alla celebrazione della messa e alle confessioni dei penitenti, preferendo fare dell’altro. E con laici e donne che cercano di prendersi un poco per loro il ruolo del sacerdote, per guadagnare un quarto d’ora di celebrità parrocchiale, leggendo la preghiera dei fedeli o distribuendo la comunione».
(Arcivescovo Adriano Bernardini, Nunzio Apostolico in Italia, 22 febbraio 2011).
«Colui che ha creato le cose dal nulla, le mantiene nell’essere dopo averle create. Tutto ciò che esiste, dal granello di sabbia alle vette dei monti, dal filo d’erba al bimbo che nasce, riceve da Dio l’essere in ogni momento della sua esistenza.
Se Dio per un attimo sottraesse al creato l’essere, il creato ripiomberebbe in quel nulla da dove Dio lo aveva tratto.
Gli atei che balbettano le loro blasfemie prive di senso possono farlo solo perché Dio lo permette: potrebbero in un attimo precipitare nell’abisso del nulla, se solo Dio lo volesse; ma Egli non lo fa perché, dopo aver creato l’universo, non si limita a conservarlo nell’essere, ma lo dirige a un fine e anche le offese che riceve fanno parte di un progetto di cui i negatori di Dio sono inconsapevoli strumenti».
(Roberto de Mattei, Il mistero del Male e i castighi di Dio, pp. 22-23).
«Tutti coloro che sono guidati da buon senso e razionalità teologica dovrebbero concordare sul fatto che la precedente forma liturgica deve essere rispettata e costituisce un costante punto di riferimento non solo per approfondite considerazioni di carattere storico ma anche come termine di confronto per possibili apporti migliorativi al nuovo rito. Questa ricerca deve essere incoraggiata soprattutto nelle nuove generazioni le quali non serbano alcun ricordo della forma precedente e non possono quindi dedurre alcunché di vivo e sperimentato. Sarebbe, quindi, veramente patologico per un liturgista e teologo voler rapportarsi al rito precedente con sufficienza e ironia. Ciò non sarebbe indice di fede e pietà autentica e ancor meno di considerazione per il popolo dei fedeli. Le cose di Dio devono essere sempre trattate con circospezione, rispetto e venerazione».
(Enrico Finotti, La liturgia romana nella sua continuità, pp. 11-12).
«Il relativismo, mentre tenta di accomunare ogni manifestazione del sacro in una subdola tolleranza religiosa, pretende anche di superare il fenomeno del sacro, allontanando l’uomo dalla verità e quindi dal problema della religio vera. Si tratta perciò di una vera sfida, come più volte denunciato dal Romano Pontefice Papa Benedetto XVI: il relativismo è una perniciosa malattia del nostro Occidente secolarizzato, apparentemente benevolo e tollerante verso tutti, ma dal cuore insofferente nei confronti di Dio, della verità della persona umana, della coscienza come sacrario dell’uomo».
(Card. Raymond Leo Burke, in AA.VV., Le religioni ad Assisi. Nessuna rinuncia alla Verità, p. 77).
«Il semplice popolo di Dio ha trovato lungo i secoli una risposta consolante. Quando tutto sembra ambiguo e rimescolato, quando la passione per la verità si illanguidisce, quando si moltiplicano le insidie alle certezze della fede, ogni fiducia e ogni sicurezza vanno riposte nell’amore filiale alla Madre di Gesù, che è anche la madre nostra, e nella sua materna protezione. C’è un’antica preghiera liturgica che esprime bene tale convincimento della gente “di Chiesa”: “Rallegrati vergine Maria: tu sola hai sbaragliato tutte le eresie”. Maria ci assicura ogni speranza di vittoria della verità sull’errore, appunto perché in lei l’eterno disegno salvifico del Creatore (la “divina Sofia”) prende a sussistere entro la storia apparentemente scombinata ed enigmatica dell’umanità».
(Giacomo Biffi, Dodici digressioni di un italiano cardinale, pp. 68-69).
«Quando il feto viene ucciso, intendo, anche una parte della madre viene uccisa: una “parte” fisica e una “parte” spirituale; anche una parte del padre muore, per sempre. Anche una parte del loro amore, se ne va, tanto è vero che vi sono coppie, come raccontano medici che hanno seguito questi casi, che si separano in seguito ad un aborto; altre che resistono, ma senza più amarsi come prima, tenute insieme magari dal rimorso di quello che hanno fatto e dal ricordo di chi ora potrebbe essere con loro. L’atto chirurgico, è vero, stacca e uccide qualcosa che sembra a sé stante, che appare, superficialmente, una vita autonoma, seppure ospitata: in verità quella vita era sì individuale, unica, ma era anche l’incontro biologico e spirituale delle vite dei suoi genitori; era anche parte del sangue, del corpo, dello spirito, dei pensieri, dei sogni, della madre (e del padre)».
(Francesco Agnoli, L’aborto è un po’ anche suicidio, in La Bussola Quotidiana, 30/11/2011).
IL TIMONE N. 109 – ANNO XIV – Gennaio 2012 – pag. 34
Riceverai direttamente a casa tua il Timone
Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone
© Copyright 2017 – I diritti delle immagini e dei testi sono riservati. È espressamente vietata la loro riproduzione con qualsiasi mezzo e l’adattamento totale o parziale.
Realizzazione siti web e Web Marketing: Netycom Srl