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14.12.2024

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I cattolici e la sfida della globalizzazione
31 Gennaio 2014

I cattolici e la sfida della globalizzazione

 

 

 

 

Non è opponendosi alla globalizzazione che si vince la povertà nel mondo. Questa è innanzitutto un problema culturale, di educazione. E quando i popoli accolgono Cristo, anche lo sviluppo economico è più facile.
Nel settembre scorso sono stato un mese in Bangladesh e nel gennaio 2002 parto per la Birmania. Da quasi cinquant’anni (sono prete dal 1953), la mia vita è a servizio delle giovani Chiese e dei missionari.
Mi meraviglia sempre questo fatto: quando vado in un paese povero e parlo con chi vive sul posto, mi accorgo che quanto mi dice sulle cause della miseria è molto diverso da quello che leggo sulla stampa e sento nei dibattiti in Italia. I vescovi, i sacerdoti locali e i missionari vedono le cause interne (storiche, culturali, religiose, politiche, ecc.) che rendono un popolo povero; noi popoli ricchi, che in genere discutiamo senza mai essere vissuti a lungo nel “terzo mondo”, diamo del problema una visione “globale”, cioè basata sulle cause esterne (finanze, aiuti, commerci, debito estero, prezzi delle materie prime, ecc). L’aiuto allo sviluppo è un tema molto complesso, non si risolve in poche battute, ma in genere noi in Occidente non comprendiamo i popoli poveri e quindi non riusciamo ad aiutarli veramente. La nostra analisi del sottosviluppo è errata in quanto materialista (capitalista o marxista non importa): noi siamo ricchi perché loro sono poveri e viceversa; riduciamo la miseria ad un problema economico, mentre è anzitutto un problema culturale, di educazione. Pensiamo di dover dare aiuti economici e tecnici, mentre in realtà gli aiuti dovrebbero essere soprattutto educativi religiosi-culturali. Giovanni Paolo II scrive nella “Redemptoris Mìssio “ (1991) che “lo sviluppo di un popolo non dipende primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi. È. l’uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro o la tecnica. La Chiesa educa le coscienze rivelando ai popoli quel Dio che cercano ma non conoscono, la grandezza dell’uomo creato ad immagine di Dio, l’eguaglianza di tutti gli uomini come figli di Dio…”.
Quando leggo i testi pontifici e dei sinodi episcopali, trovo scritto: “La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire al sottosviluppo in quanto tale… [ma] da il primo contributo alla soluzione dell’urgente problema dello sviluppo, quando proclama la verità su Cristo, su se stessa e sull’uomo, applicandola ad una situazione concreta” (“Solliciduto rei socialis”, n. 41). “Il miglior servizio al fratello è l’evangelizzazione, che lo dispone a realizzarsi come figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente” (Conferenza latino-americana dei vescovi a Puebla, 1979, n. 3760). Mi chiedo perché, quando si parla di sviluppo e sottosviluppo in libri, riviste e circoli culturali cattolici (a volte anche missionarii), il tema dell’evangelizzazione non viene mai fuori.
Eppure corrisponde all’esperienza dei missionari che vivono fra i popoli poveri: quante volte li ho sentiti, paese per paese, spiegarne i motivi in modo preciso e concreto! Siamo entrati nel tempo della globalizzazione: dopo l’11 settembre e il conflitto nell’Afghanistan, ancor più il mercato mondiale e l’integrazione delle culture rimangono senza alternative. Siamo tutti d’accordo con lo slogan dei “no-global”: “Vogliamo uno sviluppo diverso”, poiché quello attuale non soddisfa nessuno; ma la domanda: quale modello e come realizzarlo? rimane senza risposta. I tentativi fatti in questo senso, pur buoni in sé, sono del tutto insufficienti per dare all’umanità un orientamento diverso: mercato equo-solida-le, banca etica, consumo critico, bilanci di giustizia per le famiglie, protesta contro le multinazionali, lotta contro la produzione di armi, ecc.

Roberto Beretta (giornalista di “Avvenire”) e il sottoscritto abbiamo scritto un libro a due mani: “Davide e Golia – I cattolici e la sfida della globalizzazione”, edito dalla San Paolo (pagg. 234 – Lire 26.000). Un libro contro-corrente rispetto ai “cattolici no-global”, che documenta in modo molto concreto il tema in tre punti:
1) La globalizzazione, come dice Giovanni Paolo.Il, non è né buona né cattiva: è uno strumento che si può usare bene o male, quindi è sbagliato demonizzarla e combatterla a priori. Bisogna impegnarsi a creare modelli alternativi attraverso l’educazione nostra e dei popoli, il dialogo inter-religioso, gli aiuti, gli scambi culturali. I popoli del mondo vivono in epoche storiche diverse e camminano con mentalità e velocità diverse: noi siamo nel 2001 dopo Cristo, altri sono nel 1400 dopo Maometto oppure da poco sono usciti dalla preistoria. La globalizzazione è il movimento di mondializzazione che fa incontrare e integrare i popoli, sia in senso economico che culturale: oggi non è più possibile vivere divisi, separati, ciascuno per conto suo!
2) La globalizzazione è una grande possibilità di sviluppo per il “terzo mondo”. Il pericolo oggi, per i popoli più poveri (ad esempio quelli dell’Africa nera), non è di essere “sfruttati”, ma marginalizzati dallo sviluppo globale. Chi non sale sul treno dello sviluppo (Corea del Nord, Myanmar, Afghanistan, molti paesi africani) rimane a terra e va indietro: è falso e diseducativo per gli stessi popoli poveri continuare a dire loro che sono poveri perché i ricchi li rapinano, li sfruttano.
Bisogna invece stimolare quei popoli in senso positivo, affinché creino le condizioni (democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e della donna, stabilità politica, educazione del popolo, aiuti all’agricoltura, superamento dei razzismi e tribalismi) per partecipare allo sviluppo portato dalla globalizzazione in tutti i sensi: non solo in campo economico, ma anche secondo la Carta dei Diritti dell’uomo dell’Orni.
3) L’evangelizzazione è di fronte ad una nuova sfida “globale”: il mondo diventa sempre più piccolo, culture e costumi vengono a contatto, i popoli si conoscono, dialogano, si educano a vicenda. Tutti possono portare i loro valori per la costruzione di un mondo più giusto. La Chiesa ha un solo valore assoluto, Gesù Cristo e il suo Vangelo. Noi crediamo che Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo per salvare tutti gli uomini: se questo è vero, è inevitabile che, nell’incontro mondiale dei popoli, i valori del Vangelo e la figura di Cristo si impongano spontaneamente come ispirazione e guida per un mondo più umano per tutti. L’imperativo per noi cristiani è quindi di tornare a Cristo e di portare ai popoli il Vangelo.

 

 


RICORDA

 

“(…) Io sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi. E’ l’uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro o la tecnica. La Chiesa educa le coscienze rivelando ai popoli quel Dio che cercano, ma non conoscono, la grandezza dell’uomo creato a immagine di Dio e da lui amato, l’uguaglianza di tutti gli uomini come figli di Dio, il dominio sulla natura creata e posta a servizio dell’uomo, il dovere di impegnarsi per lo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini”.
(Papa Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, n. 58).

 

 

 

IL TIMONE N. 17 – ANNO IV – Gennaio/Febbraio 2002 – pag. 6 – 7

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