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12.12.2024

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I Concili nella vita della Chiesa
31 Gennaio 2014

I Concili nella vita della Chiesa

 

 

 

 

 

 

 

Che cosa sono, che cosa decidono? Quanti sono stati e che importanza hanno avuto? Un approccio alla più alta espressione dell’autorità della Chiesa,i vescovi con il Sommo Pontefice.

La professione di fede che viene recitata durante le messe festive (il Credo, come comunemente viene definito) si chiama anche Simbolo niceno-costantinopolitano. Il riferimento è ai due primi Concili ecumenici della storia della Chiesa, entrambi svoltisi in Oriente e convocati dagl’imperatori Costantino, nel 325, e Teodosio, nel 381.
Ecumenico è un concilio al quale partecipa una porzione significativa dei vescovi cattolici e soprattutto quando le sue decisioni vengono accettate dalla maggioranza della Chiesa e ratificate dal vescovo di Roma, senza il cui assenso non hanno validità. Infatti, per esempio a Nicea, il vescovo di Roma, papa Silvestro I (314-335), non era presente a causa dell’età avanzata, ma era rappresentato da suoi inviati e comunque approvò quanto venne deciso.
Quando ha il consenso del Papa, il Concilio ecumenico esprime il più alto magistero della Chiesa, come confermano il Codice di Diritto Canonico e il Catechismo della Chiesa Cattolica.

 

A Nicea e a Costantinopoli
Così, nel 325, l’imperatore Costantino (274-337) convoca a Nicea, in una sala del palazzo imperiale d’estate, i vescovi di tutta la Chiesa, per definire la verità più importante della fede cattolica, cioè quale sia la natura del Figlio di Dio Gesù Cristo. Un prete di Alessandria d’Egitto, infatti, di nome Ario (256-336), seguace di Luciano di Antiochia (235-312), affermava da tempo che il Logos era una creatura del Padre, perciò non era eterno perché «ci fu un tempo in cui egli non esisteva» (Jedin, p. 19).
AI Concilio di Nicea partecipano più di 250 vescovi, alcuni dei quali avevano nel corpo i segni della tortura subita per aver confessato Gesù Cristo, come il vescovo Paolo di Neocesarea sull’Eufrate, che aveva entrambe le mani paralizzate perché i tendini erano stati distrutti dal ferro rovente, oppure l’egiziano Pafnuzio che aveva perso un occhio nella persecuzione dell’imperatore Massimino (305-310).
Anche questo era un segno del cambiamento epocale.
Se fino all’Editto di Milano, con cui nel 313 l’imperatore Costantino instaurava la libertà religiosa e poneva fine a ogni persecuzione della Chiesa, il martirio era stato il segno distintivo principale della testimonianza dei cristiani nell’Impero, dopo il 313 diventerà il monachesimo la testimonianza più emblematica, come affermazione pubblica attraverso i voti religiosi dei valori che non verranno mai meno, oltre la vita terrena: la povertà rispetto ai beni terreni, il celibato per il regno rispetto all’amore coniugale e genitoriale, l’obbedienza rispetto al potere e alla propria volontà.
Ma la nuova epoca della storia della Chiesa era anche contrassegnata dalla necessità di definire la fede cattolica, turbata dalle eresie, come appunto quella di Ario. Quest’ultimo difese personalmente la sua dottrina davanti ai padri conciliari, sostenuto dall’importante vescovo di corte Eusebio di Nicomedia († 341), ma dopo molte discussioni, lotte e riflessioni prevalsero quei vescovi che definiranno la fede nicena negando qualsiasi subordinazione del Logos dal Padre e invece affermando solennemente quello che ancora oggi viene professato da tutte le liturgie cattoliche a proposito del Signore Gesù: «Dio da Dio, luce da luce, vero Dio dal vero Dio, generato e non fatto, consostanziale (homousios) al Padre». È il simbolo niceno-costantinopolitano, affermato a Nicea e confermato a Costantinopoli, dove parteciparono soltanto vescovi orientali ma le cui decisioni saranno fatte proprie anche dalla Chiesa latina.

 

Ario e Alessandro
Il Concilio di Nicea si tiene soltanto 12 anni dopo il raggiungimento della libertà religiosa e già la Chiesa è impegnata da una grande tribolazione a causa dell’eresia. L’arianesimo, infatti, non finisce con il Concilio di Nicea ma continua negli anni successivi, anche dopo la morte di Ario, avvenuta nel 336, quando il partito ariano aveva conquistato il favore imperiale e il prete scomunicato stava per essere riammesso nella Chiesa. La principale vittima delle lotte interne alla Chiesa sarà sant’Atanasio (295-373), il capo degli ortodossi e uno dei principali estensori del Simbolo, diventato vescovo di Alessandria ma costretto all’esilio ben cinque volte, nel corso della sua vita.
La Chiesa era entrata così decisamente in un’epoca diversa da quella sperimentata nei primi tre secoli, segnata dal martirio e dalla mancanza di riconoscimenti da parte del potere politico. Dopo avere ottenuto la libertà e in attesa di diventare “ufficiale”, la Chiesa sperimenta gravi contrasti interni su quanto ha di più decisivo e caro: la persona di Gesù. Ma sempre il Signore permette un peccato per ricavarne un bene più grande, in questo caso la definizione della fede cattolica attraverso i Concili ecumenici di Nicea e di Costantinopoli.

 

I successivi Concili
Così accadrà anche nelle epoche successive, in ognuna delle quali la Chiesa cercherà, anche e soprattutto attraverso i Concili, di adeguare la propria risposta pastorale alla mutata situazione culturale della società oppure a definire o ridefinire meglio alcune verità fondamentali inerenti la fede o la morale. Saranno così ventuno i concili ecumenici, fino all’ultimo, il Vaticano II (1962-1965).
Nell’età medioevale saranno assai numerosi – dopo i primi otto, svoltisi tutti in Oriente, detti dell’«antichità,) dal celebre storico Hubert Jedin (anche se gli ultimi si tennero già nell’alto medioevo) – senza peraltro avere l’importanza né di alcuni degli antichi né dei successivi, come il Tridentino o i due Concili Vaticani, I e Il. Probabilmente questo avvenne perché i concili del Medioevo non dovettero affrontare minacce gravissime, come era stata la crisi ariana, o svolte epocali, come sarà quella determinata dalla Riforma protestante. A quest’ultima dovette rispondere il Concilio di Trento (1545-1563), uno dei più importanti sia per le definizioni dottrinali della fede cattolica, sia per la riforma pastorale che determinò. Se sant’Atanasio era stato il “campione” di Nicea, san Carlo Borromeo (1538-1584) lo sarà di Trento, incarnando l’esempio del vescovo residente nella propria diocesi, impegnato nel raggiungere tutte le parrocchie per trasmettere, confortare e confermare nelle verità fondamentali della fede, che erano state messe in dubbio dalle idee protestanti.
Da Trento sarebbe nato il primo catechismo universale della Chiesa cattolica, imitato soltanto dal Catechismo della Chiesa Cattolica dopo il Vaticano Il, nel quale è possibile cogliere l’immensa portata della riforma tridentina, in particolare per la rielaborazione dottrinale della dottrina della giustificazione che, se fosse stata proposta nel quinto Concilio Lateranense (1512-1517), avrebbe evitato la riforma protestante o almeno l’avrebbe costretta a prendere un’altra strada, come ha scritto sempre Jedin (p. 143).
Tre secoli dopo Trento, la Chiesa era alle prese con una società ostile, soprattutto in Europa dopo la Rivoluzione francese del 1789, e sentì la necessità di un nuovo Concilio, che venne convocato per l’8 dicembre 1869. Il Vaticano I passerà alla storia soprattutto come quello dell’infallibilità pontificia, anche se si occuperà di altre e importanti questioni, prima di chiudersi frettolosamente per l’ingresso a Roma dell’esercito italiano il 20 settembre 1870, che poneva così termine al potere temporale esercitato dal Papa su Roma e sugli Stati pontifici. Anche questo era il segnale di una modernità che tentava di ergersi contro la Chiesa, che peraltro avrebbe resistito, con fatica ma anche con efficacia. Né i giacobini, né Napoleone riusciranno a piegarla, mentre nel corso dell’800 essa si fronteggerà con asprezza e vigore contro le rivoluzioni liberali e nazionaliste, così come di fronte al nascente socialismo. Ferita ed emarginata in molti Paesi europei, la Chiesa seppe resistere e ritornare ad avere un grande ruolo pubblico, soprattutto per la testimonianza intelligente e coraggiosa che seppe dare nel “secolo delle idee assassine”, quel Novecento che la rivide protagonista della storia nella resistenza contro i diversi totalitarismi.
Ma anche questa stagione ideologica stava per finire e per lasciare il campo a una nuova evangelizzazione degli antichi Paesi europei, stanchi e disorientati, arroganti e presuntuosi di fronte alla questione religiosa, eppure alla disperata ricerca di un senso per una vita migliore e degna di essere spesa. Di questo uomo ferito e infelice, sul quale la Chiesa deciderà di piegarsi come sul Sa maritano del Vangelo, si occuperà il Vaticano Il. E arriviamo così ai giorni nostri.

 

RICORDA

 

«Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con il capo e con i membri del Collegio, e nel quale permane perennemente il corpo apostolico, insieme con il suo capo e mai senza il suo capo, è pure soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale».
(Codice di Diritto Canonico, 336).

 

«ll Collegio dei Vescovi esercita in modo solenne la potestà sulla Chiesa universale nel Concilio Ecumenico».
(Codice di Diritto Canonico, 337).

BIBLIOGRAFIA

 

Hubert Jedin, Breve storia dei concili. I ventuno concili ecumenici nel quadro della storia della Chiesa, 5 ed. it., Morcelliana, 1978.
Alessandro Massobrio, Storia della Chiesa, Newton & Compton, 2002.
Alberto Torresani, Storia della Chiesa. Dalla comunità di Gerusalemme al Giubileo del 2000, Ares, 1999.

IL TIMONE N. 80 – ANNO XI – Febbraio 2009 – pag. 58-59

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