Dopo il successo di La Passione di Mel Gibson, i cristiani stanno riuscendo a proporre al grande pubblico alcuni film e telefilm cristianamente ispirati e di buon livello tecnico. Vediamo alcuni esempi.
Il successo planetario tanto di The Passion of the Christ come del Codice da Vinci (rispettivamente 604 e 749 milioni di dollari di incasso nel mondo, entrambi fra i primi 30 incassi mondiali di tutti i tempi) ha rimesso prepotentemente in primo piano il problema del rapporto complesso, non facile da comprendere nei suoi vari risvolti, di Hollywood con il cristianesimo.
Un rapporto che ha alcuni aspetti paradossali: nei mesi scorsi una consulente che lavora a Hollywood da qualche decennio mi diceva che secondo lei la Columbia aveva approvato il finanziamento al film sul Codice da Vinci, in virtù della sua qualifica come film «religioso»: «Si parla di Leonardo da Vinci, di Gesù Cristo e della Maddalena? Un film religioso, allora. Benissimo, l’argomento tira. Lo facciamo». Questo è il ragionamento, a parere di chi conosce bene il ragionare a spanne dei finanziatori del cinema. Che poi il film fosse una (stupida) messa in discussione delle basi della religione cristiana era una questione secondaria per questi signori. Sarà andata veramente così? Non sappiamo, ma certamente non è impossibile, in quel mondo un po’ avulso dalla realtà che si affaccia sulle coste del Pacifico.
Certo è che il successo del film di Mel Gibson è stato un detonatore in profondità anche per molti cristiani – cattolici e protestanti – che si sono resi conto con chiara evidenza che progetti cinematografici anche molto «forti» e chiarissimamente connotati in senso cattolico potevano avere fortuna, nonostante tutte le opposizioni e le paure dell’establishment cinematografico e nonostante anche la poca capacità di public relations del coraggioso regista di The Passion.
Di fatto un primo grande ulteriore risultato cinematografico il film di Gibson lo ha ottenuto: il progetto sulle Cronache di Narnia, tratto dalla serie di fantascienza scritto dal ben noto apologeta anglicano C.S. Lewis, che giaceva sul tavolo dei dirigenti Disney da qualche anno, ha avuto il disco verde e il finanziamento alla produzione proprio grazie al clamoroso successo della Passione.
Quello che è interessante è che la casa di produzione che aveva sviluppato per la Disney il progetto di Narnia, la Walden Media, è a sua volta una creatura di un miliardario cristiano (in questo caso un protestante, Philip Anschutz) che, dopo aver accumulato ingenti fortune con altri business, aveva la chiara volontà di produrre un intrattenimento cinematografico in sintonia con i valori della propria fede. Dopo alcuni progetti della Walden Media non ben riusciti o con poco riscontro commerciale, il primo Narnia è stato un grandissimo successo e naturalmente si sta già preparando il secondo, che arriverà nelle sale nel 2008. Ancora, nelle sale italiane esce ai primi di dicembre Nativity, altro film che sembra fatto con le migliori intenzioni e che è stato accolto bene nelle anteprime rivolte a un pubblico di credenti.
Il produttore esecutivo di The Passion, Stephen McEveety (un cattolico fervente come Jim Caviezel, che ha impersonato Gesù nel film di Gibson), nei mesi scorsi ha lasciato la Icon per mettersi in proprio e ha appena presentato al festival di Toronto un film che ha vinto il premio del pubblico (non raramente un’anticamera per gli Oscar): sui siti specializzati come l’Internet Movie Data Base (imdb.com), i finora pochi spettatori che hanno assistito alle anteprime sono assolutamente entusiasti del film, che sembra abbia un chiaro e commovente messaggio pro-life. Il film si chiama Bella, ed è la storia di una giovane messicana in attesa di un bambino. Ma altri progetti sono in fase di sviluppo e, se tutto va bene, qualche altra buona notizia nei prossimi anni arriverà anche da Hollywood.
Nel frattempo, un’opportunità per comprendere meglio il rapporto fra Hollywood e il cristianesimo è l’uscita all’inizio del 2007 della traduzione italiana di un’interessantissima raccolta di saggi e testimonianze, scritte da sceneggiatori, registi e produttori hollywoodiani che si riconoscono nella fede cristiana. Alcuni sono molto noti agli addetti ai lavori: c’è l’autrice di una bellissima serie televisiva per adolescenti, Joan of Arcadia (trasmessa in orari un po’ sfortunati da Italia 1 quest’estate), il produttore di X Men, il regista dell’Esorcismo di Emily Rose e molti altri. Raccontano in modo intelligente, fresco e spesso con una interessantissima presa diretta sul mondo in cui lavorano, la loro esperienza di cristiani in un mondo che viene da una fortissima radice ebraica, ma di ebrei assai raramente credenti, bensì ormai purtroppo laicizzati da due o tre generazioni. Il saggio, che in originale si intitola Behind the Screen e in italiano si chiamerà Cristiani a Hollywood (Ares, Milano 2007), è stato curato da Spencer Lewerenz e Barbara Nicolosi. Quest’ultima è direttrice di un’iniziativa formativa molto interessante, che ha già fatto molto parlare di sé sulle riviste di oltre Atlantico: una scuola per sceneggiatori e produttori di cinema, che è nata nel 2000, proprio a Hollywood, con l’obiettivo di formare e poi inserire cristiani coerenti nel mondo dell’industria cinematografica. Il desiderio è quello di colmare il gap esistente fra un mondo così importante come la prima industria del cinema mondiale e l’ambiente dei credenti. Il nome della scuola è Act One, come dire il primo atto, l’inizio di un ritorno dei cristiani in un mondo che hanno troppo a lungo abbandonato. Barbara Nicolosi è ormai un personaggio molto noto negli Usa: fa conferenze per tutto il Paese, viene intervistata da radio e televisioni e il suo blog – un diario molto personale, ma ricco di riflessioni intelligenti e spesso anticonformiste sul mondo del cinema e sui film che vede
– ha superato nei mesi scorsi i 500.000 visitatori. Il titolo del blog è tutto un programma: www.churchofthemasses.blogspot.com. «Church of the masses» significa naturalmente «chiesa delle masse», che è poi il cinema, l’unico luogo – come diceva Frank Capra – in cui si può parlare a milioni di persone, per due ore, al buio, dicendo loro quello che si vuole.
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